Indietro Indice Autori Italiani

Cesare Beccaria
(✶1738   †1794)

Cesare Bonesana-Beccaria, marchese di Gualdrasco e di Villareggio (Milano, 15 marzo 1738 – Milano, 28 novembre 1794) è stato un giurista, filosofo, economista e letterato italiano, figura di spicco dell'Illuminismo, legato agli ambienti intellettuali milanesi.

La sua opera principale, il trattato Dei delitti e delle pene, un'analisi politica e giuridica contro la pena di morte e la tortura, condotta sulla base del razionalismo e del pragmatismo, ispirò, tra l'altro, il nuovo codice penale voluto dal granduca Pietro Leopoldo di Toscana, e alcuni tra i Padri fondatori degli Stati Uniti d'America come Thomas Jefferson, Benjamin Franklin e John Adams. Beccaria era inoltre il nonno dello scrittore Alessandro Manzoni.

Beccaria è spesso ricordato come uno dei padri fondatori della teoria classica del diritto penale. È considerato uno degli iniziatori della criminologia di scuola liberale.

Origini familiari e matrimonio

Cesare Beccaria nacque a Milano, figlio di Giovanni Saverio di Francesco e di Maria Visconti di Saliceto, il 15 marzo 1738. Studiò a Parma, poi a Pavia dove si laureò nel 1758.

Il padre sposò la Visconti in seconde nozze nel 1736, dopo essere rimasto vedovo nel 1730 di Cecilia Baldroni. Nel 1760, contro la volontà del padre, rinunciando ai suoi diritti di primogenitura, sposò l'allora sedicenne Teresa Blasco (originariamente De Blasio) nata a Rho nel 1744, dalla quale ebbe quattro figli: Giulia Beccaria (1762-1841), Maria Beccaria (1766 - 1788), nata con gravi problemi neurologici e morta giovane, Giovanni Annibale nato e morto nel 1767 e Margherita anch'essa nata e morta nel 1772.

Il padre lo cacciò di casa dopo il matrimonio, e dovette essere ospitato da Pietro Verri, che lo mantenne anche economicamente per un periodo. Beccaria si vergognò molto di questo periodo, e nonostante l'amicizia di Verri, faticava a riconoscere i suoi debiti a quest'ultimo. Teresa morì il 14 marzo 1774, a causa della sifilide o della tubercolosi. Beccaria, dopo appena 40 giorni di vedovanza, firmò il contratto di matrimonio con Anna dei Conti Barnaba Barbò, che sposò in seconde nozze il 4 giugno 1774, ad appena 82 giorni dalla morte della prima moglie, suscitando grande scalpore. Da Anna Barbò ebbe un altro figlio, Giulio Beccaria.

continua sotto




L'Accademia dei Pugni e i primi lavori

Il suo avvicinamento all'Illuminismo avvenne dopo la lettura delle Lettere persiane di Montesquieu.

Fece parte del cenacolo dei fratelli Pietro e Alessandro Verri, collaborò alla rivista Il Caffè e contribuì a creare l'Accademia dei Pugni nel 1761, fondata secondo un suo concetto della educazione dei giovani mirante a rispettare i suoi concetti di legalità. Cesare Beccaria pensava che l'uomo acculturato fosse meno incline a commettere delitti.

Dalle discussioni con gli amici Verri gli venne l'impulso di scrivere un libro che spingesse a una riforma in favore dell'umanità più sofferente. Fu stimolato in particolare da Alessandro Verri, protettore dei carcerati, a interessarsi alla situazione della giustizia.

La pubblicazione di Dei delitti e delle pene

Dopo la pubblicazione di alcuni articoli di economia, nel 1764 diede alle stampe Dei delitti e delle pene, inizialmente anonimo, breve scritto contro la tortura e la pena di morte che ebbe enorme fortuna in tutta Europa e nel mondo (Thomas Jefferson e i padri fondatori degli Stati Uniti, che la lessero direttamente in italiano, presero spunto per le nuove leggi americane) e in particolare in Francia, dove incontrò l'apprezzamento entusiastico dei filosofi dell'Encyclopédie, di Voltaire (che ebbe anche una corrispondenza con Beccaria) e dei philosophes più prestigiosi che lo tradussero (la versione francese è opera dell'abate filosofo André Morellet, con le note di Denis Diderot) e lo considerarono come un vero e proprio capolavoro. L'opera fu messa all'Indice dei libri proibiti nel 1766, a causa della distinzione tra peccato e reato.

Per molti l'opera fu scritta in realtà da Pietro Verri, che riprese temi simili nelle Osservazioni sulla tortura e pubblicata anonima a Livorno per non incorrere nelle ire del governo austriaco. Lo stile analitico appare però diverso da quello del Verri, che è più vivace, e non vi sono prove certe a proposito: in realtà si può dire che il trattato germinò dal dibattito che animava la rivista Il Caffè, di cui i fratelli Verri erano gli intellettuali di primo piano.

Il viaggio in Francia e gli ultimi anni

Beccaria viaggiò poi controvoglia (al momento della partenza ebbe una crisi di panico, quando dovette lasciare la moglie a Milano) fino a Parigi, e solo dietro l'insistenza dei fratelli Verri e dei filosofi francesi desiderosi di conoscerlo. Fu accolto per breve tempo nella circolo del barone d'Holbach. La sua giustificata gelosia per la moglie lontana e il suo carattere ombroso e scostante, fecero sì che appena possibile tornò a Milano, lasciando solo il suo accompagnatore Alessandro Verri a proseguire il viaggio verso l'Inghilterra.Come Rousseau, Beccaria era a tratti paranoico e aveva spesso sbalzi d'umore, la sua personalità era abbastanza indolente e il carattere debole, poco brillante e non portato alla vita sociale; ciò non gli impediva però di esprimere molto bene i concetti che aveva in mente, soprattutto nei suoi scritti.

continua sotto




Tornato a Milano non si mosse più, divenne professore di Scienze Camerali (economia politica) e cominciò a progettare una grande opera sulla convivenza umana, mai completata.

Entrato nell'amministrazione austriaca nel 1771, fu nominato membro del Supremo Consiglio dell'Economia, carica che ricoprì per oltre vent'anni, contribuendo alle riforme asburgiche sotto Maria Teresa e Giuseppe II. Fu criticato per questo dagli amici (tra cui Pietro Verri), che gli rimproveravano di essere diventato un burocrate.

Il suo rapporto con la figlia Giulia, futura madre di Alessandro Manzoni, fu conflittuale per gran parte della sua vita; ella era stata messa in collegio (nonostante Beccaria avesse spesso deprecato i collegi religiosi) subito dopo la morte della madre e lì dimenticata per quasi sei anni: suo padre non volle più sapere niente di lei per molto tempo e non la considerò mai sua figlia, bensì il frutto di una relazione extraconiugale delle numerose che la moglie aveva avuto. Beccaria non si sentiva adeguato al ruolo di padre, inoltre negò l'eredità materna alla figlia, avendo contratto dei debiti: ciò gli diede la fama di irriducibile avarizia. Giulia uscì dal collegio nel 1780, frequentando poi gli ambienti illuministi e libertini. Nel 1782 la diede in sposa al conte Pietro Manzoni, più vecchio di vent'anni di lei: il nipote Alessandro nacque nel 1785, ma pare fosse in realtà il figlio di Giovanni Verri, fratello minore di Pietro e Alessandro, nonché amante di Giulia. Prima della morte di Cesare, Giulia lasciò, nel 1792, il conte Manzoni e Milano, andando a vivere a Parigi con il conte Carlo Imbonati, rompendo definitivamente i rapporti col padre.

Beccaria morì a Milano il 28 novembre 1794, a causa di un ictus, all'età di 56 anni, e trovò sepoltura nel Cimitero della Mojazza, fuori Porta Comasina, in una sepoltura popolare (dove fu sepolto anche Giuseppe Parini) anziché nella tomba di famiglia. Quando tutti i resti vennero traslati nel cimitero monumentale di Milano, un secolo dopo, si perse traccia della tomba del grande giurista. Pietro Verri, con una riflessione valida ancora oggi, deplorò nei suoi scritti il fatto che i milanesi non avessero onorato abbastanza il nome di Cesare Beccaria, né da vivo né da morto, che tanta gloria aveva portato alla città. Ai funerali di Beccaria era presente anche il giovane nipote Alessandro Manzoni (che riprenderà molte delle riflessioni del nonno e di Verri nella Storia della colonna infame e nel suo capolavoro, I promessi sposi), nonché il figlio superstite ed erede, Giulio.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

1/4
Pagina successiva
Indietro Indice Autori Italiani