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Jacopo da Leona
(✶XII sec.   †1277)

Jacopo da Leona (Levane, ... – Volterra, 1277) è stato un poeta e giurista italiano.

Ser Jacopo del fu Tancredo da Leona nacque nella prima metà del Duecento nel borgo di Levane Alta che nel XIII secolo dipendeva amministrativamente dal Castello di Leona da cui il suo patronimico. Il territorio di Leona, in cui Jacopo cominciò la professione notarile, era retto all'epoca dalla famiglia degli Ubertini di Arezzo. E proprio di uno di loro, Ranieri degli Ubertini, ne divenne segretario e lo seguì a Volterra dove, quando nel 1273 Ranieri ne venne eletto vescovo, fu nominato giudice.

Ma più che per la carriera di giurista Jacopo da Leona è ricordato per la sua attività di rimatore di cui rimane un canzoniere di sonetti riportati in vari codici tra cui il Codice Vaticano 3793 che ne contiene sette. Questi sonetti, sessanta in tutto, si dividono sostanzialmente in sonetti d' amore e sonetti di scherno o di satira. I primi riprendono lo stile e i temi della poesia cortese e risultano, nonostante una certa originalità, piuttosto manieristici[1]. Tra questi, il più celebre, è uno scambio di battute in forma di dialogo noto con il titolo di "Madonna, di voi piango":

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«- Madonna, di voi piango e mi lamento,
ché m' ingannate, ond' io doglio sovente.
- Messere, ed io doglio che da voi cento
fiate sono ingannata malamente.
- Madonna, per voi ho pena e tormento
e dolor ne lo core e ne la mente.
- Messere, gioco è 'l vostro ver ch' eo sento;
per voi m' encende el foco tropp' ardente.
- Madonna, tutto avvèn per gelosia
per fin amare, ché ciascun ha doglia,
che teme di perder ciò c'ha 'n balia.
- Messere, quel che divenire soglia
agli amadori, più fra noi non sia:
ma ciò che l'uno vuol e l'altro voglia -»

I sonetti di tono scherzoso, propri del genere "tenzone", invece spiccano per la loro vivacità e per l'audacità delle tematiche visto che in un sonetto indirizzato all'amico e poeta Rustico di Filippi, detto il Barbuto, si fa apertamente burla della sua omosessualità. Poesie che oltretutto venivano recitate in presenza di pubblico come si evince da titoli quali "Signori, udite strano maleficio".

Alla sua morte, Guittone d'Arezzo, lo pianse in un'ode che vale una biografia:

«[...] Perduto ha vero suo padre, valore,
E pregio, amico bono e grande manto
E valente ciascun suo compagnone,
Giacomo da Leona, in te, bel Frate.
Oh che crudele ed amororo amaro
Nella perdita tua [...]
Tu, Frate mio ver, bon trovatore
In piana ed in sottil rima ed in chiara,
E in soavi e saggi e cari motti.
Francesca lingua e provenzal labore
Più dell'Artina, è bono in te, che chiara
La parlasti, e trovasti in modi tutti.
Tu sonatore, e cantator gradivo
Sentitor bono, e parlador piacente,
Dittator chiaro, ed avvenente, e retto,
Adorno e bello aspetto,
Cortese lingua, e costumi avvenenti [...]
Non dica alcun donque tropp' io t' onori»
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Bibliografia

Alessandro d' Ancona, Le antiche rime volgari secondo la legione del Codice vaticano 3793, a cura Della Biblioteca Vaticana, Roma, 1888
Achille Pellizzari, La vita e le opere di Guittone d'Arezzo, Pisa, Tip. Successori Fratelli Nistri, 1906
Eugenia Levi, Lirica italiana antica: novissima scelta di rime dei secoli decimoterzo, decimoquarto, e decimoquinto, Firenze, R. Bemporad, 1908
Il Duecento in Storia letteraria d'Italia, Vallardi, Milano, Roma Buenos Aires, 1929—35
Mario Marti, Cultura e stile nei poeti giocosi del tempo di Dante, Pisa, Nistri, 1953
James J. Wilhelm, Gay and Lesbian Poetry: An Anthology from Sappho to Michelangelo, Taylor Francis, 1995
Luciano Rossi, I sonetti di Jacopo da Leona in Il genere «tenzone» nelle letterature romanze delle Origini in Atti del Convegno internazionale, Losanna, 13—15 novembre 1997

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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