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Melchiorre Cesarotti
(✶1730   †1808)

Melchiorre Cesarotti (Padova, 15 maggio 1730 – Selvazzano Dentro, 4 novembre 1808) è stato un poeta, scrittore e linguista italiano.

Figlio di Giovanni (Zanne) e Medea Bacuchi, Cesarotti nacque da una famiglia di antica origine nobile ma da tempo entrata nel "ceto civile". Studiò nel seminario della sua città, dove ebbe come guida il Toaldo, qui ottenne il titolo e il privilegio di abate - prese gli ordini minori senza diventare sacerdote -, e dove fu poi accolto come giovanissimo professore di retorica e belle lettere nei primi anni cinquanta del Settecento. Nel novembre 1760 lasciò Padova per trasferirsi a Venezia come precettore presso la famiglia Grimani. Qui entra in contatto con le personalità più in vista nel mondo culturale come Angelo Emo, i fratelli Gasparo e Carlo Gozzi, Carlo Goldoni e Angelo Querini. Matura in questo ambiente l'esperienza che gli darà una fama europea, ovvero la traduzione in italiano dei Poems of Ossian da poco pubblicati dallo scozzese James Macpherson.

Nel 1762 pubblicò a Venezia un volume che conteneva, oltre alle traduzioni di due tragedie di Voltaire (La morte di Cesare e Maometto), due dissertazioni teoriche intitolate Ragionamento sopra il diletto della Tragedia e Ragionamento sopra l'origine e i progressi dell'arte poetica, scritto poi ripudiato ed escluso dall'edizione delle Opere (1808). L'edizione del 1762 presentava anche un Ragionamento sopra il Cesare e un Ragionamento sopra il Maometto, a partire dai quali, probabilmente, l'abate era giunto alla stesura del saggio di carattere generale. Era infine incluso un componimento in giambi latini, Mercurius. De Poetis tragicis, opera che, passando in rassegna la storia delle varie letterature, assegnava a Voltaire la corona di miglior tragico.

Nel 1768 venne nominato professore di lingua greca ed ebraica presso l'Università di Padova: cattedra che mantenne fino al 1797 quando passò, sempre nella stessa Università a quella di belle lettere, ovvero di eloquenza. Appartengono a questo periodo le sue opere più note: come traduttore dal greco (Demostene, Omero), e dalle lingue moderne (ancora l'Ossian, Gessner, Young), e come teorico dell'estetica (Saggio sulla filosofia del gusto) e della lingua (Saggio sopra la lingua italiana).

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Al principio degli anni Ottanta molti discepoli si erano ormai radunati attorno al maestro, in quella che fu una sorta di "famiglia". La fama di Cesarotti era diffusa a livello internazionale, come dimostra la sua vasta corrispondenza con illustri intellettuali di tutta Europa e il ricorso alla sua autorità in riviste e scritti stranieri. Di indole sedentaria, l'abate non aveva mai lasciato la Repubblica di Venezia sino al 1783, quando accettò l'invito a Roma dell'ambasciatore veneto Andrea Memmo. Nella città capitolina fu in Arcadia (nel 1777 era entrato a farne parte con il nome di Meronte Larisseo) e frequentò il salotto della contessa d'Albany. Conobbe inoltre Antonio Canova, il quale gli fece visitare la basilica di San Pietro e i Musei Vaticani.

Nel giugno di quello stesso 1783, Cesarotti aveva incontrato a Padova Vittorio Alfieri, che quell'anno dava alle stampe le sue prime dieci tragedie. Alfieri, ammiratore della traduzione ossianica, cercava dall'abate lumi per impossessarsi di uno stile tragico: le loro personalità, opposte sul piano umano e artistico, si scontrarono inevitabilmente. Davanti a Cesarotti e alla sua scuola Alfieri lesse La congiura de' Pazzi, tragedia lontanissima dal modello cesarottiano - fondato sulla ragione e sulla moderazione -, e il professore padovano la criticò in una missiva che l'Astigiano negò di aver ricevuto. Due anni dopo la loro contrapposizione artistica si espresse più chiaramente: Cesarotti scrisse una lettera su Ottavia, Timoleone e Merope, cui il drammaturgo rispose.

A questo punto calò il silenzio, rotto solo nel 1796 quando l'abate scrisse ad Alfieri una lettera di presentazione per Isabella Teotochi Albrizzi, animatrice di un celebre salotto veneziano - frequentato negli anni dallo stesso Cesarotti -, missiva non immune da una vena di sarcasmo riscontrabile anche nella replica dell'Astigiano. Il biografo ottocentesco Giuseppe Vedova affermò che una nota presente nella Dissertazione sopra la tragedia cittadinesca dell'abate Pier Antonio Meneghelli, pubblicata nel 1795, e apertamente ostile nei riguardi di Alfieri, fosse opera di Cesarotti, un'ipotesi tuttavia non dimostrabile.

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Da sempre sostenitore delle idee illuministe, Cesarotti fu come molti spiazzato dall'esito violento della Rivoluzione francese. All'arrivo delle truppe napoleoniche in Italia si schierò in favore di Bonaparte: per lui scrisse nel 1797 un sonetto encomiastico, e fece anche parte della delegazione inviata ad accogliere il generale vittorioso. Entrò nella Municipalità di Padova come membro «aggiunto libero» del Comitato di pubblica istruzione. In questa veste scrisse nel 1797 l'Istruzione d'un cittadino a' suoi fratelli meno istrutti, testo pensato per il popolo e decisamente lontano dalle idee radicali dei rivoluzionari, nonostante appoggiasse la causa democratica e fosse stato commissionato dal Comitato. All'Istruzione fece seguito Il patriotismo illuminato. Entrambi gli scritti apparvero a Padova, il 19 maggio e il 10 luglio rispettivamente, per i tipi di Pietro Brandolese. Nel breve periodo della Municipalità - destinata a terminare la sua avventura in quello stesso anno - contribuì anche al piano di riforma dell'Università e delle scuole, presto abortiti in ragione della mutata situazione politica.

Cesarotti fece pubblicare il suo contributo al piano di riforma dell'Università nell'edizione completa delle sue opere, con il titolo Saggio sopra le instituzioni scolastiche private e pubbliche, cui premise un Avviso degli editori redatto di suo pugno.

Nel 1803 si cimentò in una « festa teatrale », l'Adria consolata, testo composto in occasione del genetliaco di Francesco II d'Asburgo-Lorena, musicato da Ferdinando Bertoni e messo in scena alla Fenice lo stesso anno.

A Napoleone Cesarotti dedicherà un discusso poema celebrativo, la Pronea (1807), duramente commentato dal Foscolo ("misera concezione, frasi grottesche, e per giunta, gran lezzo di adulazione").

Nella sua villa a Selvazzano da lungo tempo di proprietà della sua famiglia, ospitò amici come Madame de Stael, Ippolito Pindemonte, e forse anche Foscolo, e impiantò uno dei primi giardini all'inglese in Italia.

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Le traduzioni letterarie

Cesarotti è noto per la sua opera di traduttore di Omero (pubblicò una versione in prosa dell'Iliade ed un rifacimento in versi endecasillabi sciolti dal titolo La morte di Ettore, 1795); tradusse anche il Prometeo incatenato eschileo, sette Odi di Pindaro (entrambi i lavori apparvero nel 1754), tre tragedie di Voltaire, il Maometto (data compresa tra il 1755 e il 1758), La morte di Cesare (1761) e la Semiramide (1771), la farsa in prosa Oracle (alla fine degli anni Ottanta), di Saint-Foix, l'Elegia scritta in un cimitero campestre di Gray nonché le opere di Demostene e quelle di altri oratori greci (nel Corso ragionato di greca letteratura, 1781).

Ma la traduzione che gli diede una fama europea gli capitò tra le mani quando Charles Sackville, esule britannico incontrato a Venezia, gli fornì tutte le informazioni riguardanti l'attività di James Macpherson intorno al mitico bardo Ossian. Dei Poems of Ossian pubblicati da Macpherson nel 1762-63, Cesarotti diede alle stampe una prima traduzione parziale nel 1763, intitolata Poesie di Ossian cui fece seguito nel 1772 la traduzione dell'intero corpus di canti. La sua versione, stilisticamente innovativa e di grande suggestione letteraria, attrasse l'attenzione dei letterati in Italia e Francia, suscitando numerosi imitatori. Fu per suo tramite che Goethe entrò in contatto con l'Ossian; e lo stesso Napoleone apprezzava l'opera al punto da portarla con sé anche in battaglia. Nelle Poesie di Ossian, Cesarotti riesce nell'intento di convertire tutti gli elementi e i principi della nascente lirica incentrata sulla natura e sui sentimenti, mantenendo una saldatura tra tradizione e nuovi temi poetici, di fatto dando il là al Romanticismo italiano.

Gli scritti teorici

Nel 1762 Cesarotti licenziò in un unico volume il Ragionamento sopra il diletto della Tragedia e il Ragionamento sopra l'origine e i progressi dell'Arte Poetica.

Con il saggio sulla tragedia Cesarotti contesta le teorie di Dubos e Fontenelle, e modella il ragionamento su quello dell'opuscolo Of Tragedy di Hume (1754), pervenendo a conclusioni affatto personali. Per Cesarotti, il cui modello di perfetta tragedia si trova nel teatro illuminista di Voltaire, il diletto tragico deriva dalla completa illusione che coglie lo spettatore, dapprima «intorbidato dalle passioni», mosso dalla pietà e oppresso dal dolore, poi, attraverso la ragione, spinto a trarre insegnamenti morali e a vincere il terrore di subire un destino simile a quello rappresentato dagli attori sul palcoscenico. Cesarotti concilia quindi l'estetica sensistica e quella classicistico-razionalistica: l'emozione viene sublimata dalla ragione, cosicché la tragedia veicola tramite le vicende inscenate un messaggio istruttivo per lo spettatore e per la società.

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Importanti furono anche le sue riflessioni sulla lingua. Pubblicato dapprima nel 1785 con il titolo di Saggio sopra la lingua italiana, poi mutato nell'edizione definitiva (1800) in Saggio sulla filosofia delle lingue applicato alla lingua italiana, il trattato di Cesarotti costituisce una delle voci più autorevoli e intelligenti del dibattito linguistico italiano del Settecento. Scritto in un periodo di contatti linguistici con la Francia, il trattato affronta il tema del prestito linguistico, teorizzando la possibilità che esso possa portare ad un arricchimento della lingua, inserendosi nel dibattito sorto fra i tradizionalisti impegnati a conservare la purezza della lingua e dei principi letterari ed i rinnovatori ansiosi di liberare la lingua dai modelli tipici della Crusca.

Cesarotti critica, nella prima parte, i pregiudizi vigenti sulla purezza della lingua e tende ad evidenziarne il collegamento con la storia della civiltà, poi nella seconda sezione distingue il genio grammaticale, ovvero la norma linguistica immutabile, ed il genio retorico, che essendo legato alla contingenza può mutare. Infine, sostiene che i prestiti linguistici come i francesismi si possano accettare nella lingua italiana, a condizione però che essi non vadano in contrasto con le norme del genio grammaticale, ossia che nella lingua di destinazione non sia già presente un termine equivalente.

L'edizione completa della sua opera, in 42 volumi in ottavo, iniziò ad uscire a Pisa nel 1800 e fu completata postuma nel 1813.

Bibliografia

Gianfranco Folena, Cesarotti, Monti e il melodramma tra Sette e Ottocento, in L'italiano in Europa. Esperienze linguistiche del Settecento, Torino, Einaudi, 1983, pp. 325-355. ISBN 88-06-05503-8.
Paola Ranzini, Verso la poetica del sublime: L'estetica «tragica» di Melchiorre Cesarotti, Ospedaletto, Pacini, 1998. ISBN 978-88-7781-234-6.
Gennaro Barbarisi e Giulio Carnazzi (a cura di), Aspetti dell'opera e della fortuna di Melchiorre Cesarotti, 2 volumi, Milano, Cisalpino, 2002. ISBN 88-323-4611-7.
Valentina Gallo, Cesarotti da Padova a Selvazzano, Padova, Provincia di Padova, 2008.
Antonio Daniele (a cura di), Melchiorre Cesarotti, Atti del convegno Padova 2008, Padova, Esedra, 2011. ISBN 978-88-6058-041-2.
Claudio Chiancone, La scuola di Cesarotti e gli esordi del giovane Foscolo, Pisa, Edizioni ETS, 2012. ISBN 978-88-467-3449-5.
Guido Santato, Alfieri e Cesarotti e Il pensiero politico di Melchiorre Cesarotti, in Studi alfieriani e altri studi settecenteschi, Modena, Mucchi, 2014, pp. 131-155 e 157-187. ISBN 978-88-7000-622-3.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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