Passare in cavalleria

Ci scrive Gennaro S., da Capua (CE): « Gentile dott. Raso, potrebbe spiegare, cortesemente, cosa significa “passare in cavalleria”? Sento spesso quest’espressione ma, le confesso, non ne “afferro” il significato. Seguo sempre le sue “noterelle” sul buon uso della lingua italiana. Grazie e cordialità ».

Appena attaccata la cornetta del telefono Giannino si rivolse alla moglie con aria mesta ed esclamò: « Ormai di quell’affare non se ne fa più nulla, non se ne parla più, cara, è passato in cavalleria ».
Il figlio Marco, sentendo questa frase che ai suoi orecchi sonava ridicola, non poté fare a meno di chiedere spiegazioni circa l’uso e le origini. Come può un affare andare a cavallo, pensò, e soprattutto che cosa significa passare in cavalleria ?
Si usa questo modo di dire — come i più sanno — quando si vuole mettere in risalto il comportamento scorretto di una persona alla quale è stato prestato un oggetto che non viene più restituito; oppure, per estensione, il comportamento non cavalleresco di una persona che trascura, ma soprattutto che non mantiene gli impegni presi e concordati. Quante volte, gentili amici, vi sarà capitato di notare che un accordo preso con qualcuno non è stato rispettato e che il tutto è passato in cavalleria ? Per contarle occorrerebbe una calcolatrice. Ma vediamo l’origine della locuzione che ci è stata tramandata dal gergo militare.
Nei tempi passati nell’arma di Cavalleria militavano, per lo più, nobili e ricchi, mentre nella Fanteria prestavano servizio soldati di umili origini che nulla potevano contro i soprusi cui venivano sottoposti da parte dei cavalieri: ai fanti venivano sequestrati vesti, coperte, vettovaglie e tutto ciò che potesse rendere più confortevole la vita militare al “cavaliere”.
Va da sé che gli oggetti passati in cavalleria non venivano più restituiti ai legittimi proprietari: di qui il passaggio di significato.

08-02-2017 — Autore: Fausto Raso