1072. Perchè, accompagnato per solito da una proposizione principale negativa, prende il senso di benchè, quantunque; ma più nel verso che nella prosa. - Perchè egli pur volesse, egli nol potrebbe nè saprebbe ridire. Boccaccio. - Perchè le nostre genti Pace sotto le bianche ali raccolga .... Non fian dai lacci sciolte Dell'antico sopor l'itale menti. Leopardi. - E separatamente per .... che vale, anche in prosa, per quanto; p. es. per gridare ch'egli facesse (per quanto gridasse) nissuno l'udì. Non vi fate servo d'abitudine esteriore nessuna, per buona che sia. Tommaseo.

1073. Non che formola abbreviata per non si pensi che, non dirò che ecc. si adopera quando per porre in rilievo il fatto principale se ne afferma o nega un altro minore e incluso in quel primo, come il meno nel più. Differisce quindi da non solamente, affermando con più forza l'esclusione d'una cosa. Nulla (nessuna) speranza li conforta mai Non che di posa, ma di minor pena. Dante.

1074. Lieta si dipartio non che sicura. Petrarca. - Non che l'altrui onte vendicasse, anzi infinite a lui fattene sosteneva. Boccaccio. - Non che aprirsi con nessuno (è lo stesso che alcuno) su questa sua nuova inquietudine, la copriva anzi profondamente. Manzoni. - Dopo non che non si ripete la negativa non, neppure quando parrebbe richiesta dal senso, come si vede nell'ultimo di questi esempii. - Oggi non che si adopera abusivamente nel semplice significato di e, come pure, e inoltre; p. es. Presi meco la moglie, non che i figli e i servitori.

Le interiezioni

1075. Le interjezioni propriamente dette non hanno di per sè alcun senso chiaro o preciso, ma sono espressioni istintive di qualche affetto o sensazione. Non si può determinare esattamente a quale sentimento corrisponda ciascuna di esse, potendo una medesima interjezione manifestare più e diversi moti dell'animo. Diremo soltanto, così in generale, che oh esprime, più che altro, la maraviglia;

1076. ah l'allegrezza; eh una maraviglia mista di ripugnanza; mah, cheh (solita a scriversi che), incredulità o disprezzo; ahi, ohi, uh, uhi il dolore; ohibò, un senso deciso di ripugnanza; puh, ripugnanza e sdegno; ih, la rabbia e la stizza; ehi, olà, la chiamata di alcuno; deh, la preghiera; guai, la minaccia ecc. Il significato delle altre interjezioni è fatto chiaro abbastanza dalle parole stesse, di cui sono formate.

1077. Ad ahi, ohi si congiunge spesso la forma oggettiva di prima persona, me: ahimè, ohimè (ohisè antiquato). Con un aggettivo usato a maniera di interjezione si adopra la medesima forma, ed inoltre te, lui, lei, loro (non egli nè ella nè sè): felice te! me sventurato! benedetto lui! maledetti loro! poveretta lei! (Vedi addietro, cap. VI, § 8). Talora con la preposizione a: povero a me! poveretto a lui!