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Antonio Rosmini
(✶1797   †1855)

Da Pio VIII a Benedetto XVI: la stima dei papi per Rosmini

Papa Pio VIII disse a Rosmini, in udienza il 15 maggio 1829:

«È volontà di Dio che voi vi occupiate nello scrivere libri: tale è la vostra vocazione. Ella maneggia assai bene la logica, e la Chiesa al presente ha gran bisogno di scrittori: dico, di scrittori solidi, di cui abbiamo somma scarsezza.

Per influire utilmente sugli uomini, non rimane oggidì altro mezzo che quello di prenderli colla ragione, e per mezzo di questa condurli alla religione. Tenetevi certo, che voi potrete recare un vantaggio assai maggiore al prossimo occupandovi nello scrivere, che non esercitando qualunque altra opera del Sacro Ministero. »

Gregorio XVI, successore di Pio VIII, in risposta alla lettera che Antonio Rosmini gli aveva indirizzato il 10 gennaio 1832, il 27 marzo dello stesso anno gli scrisse:

«Diletto Figlio, a te il nostro saluto e la nostra Apostolica Benedizione.
Abbiamo volentieri e con animo lieto ricevuto la tua lettera con i sensi della tua devota sommissione a Noi e alla Sede Apostolica che ci hai mandato il 10 gennaio, in cui ci parli della pia Società, chiamata Istituto della Carità e che con le tue fatiche è stata fondata nel territorio della diocesi di Novara con l'approvazione del Vescovo. E soprattutto ci hai anche informato che il medesimo Istituto è stato da poco chiamato anche dal Vescovo di Trento nella sua diocesi e che qui molti ecclesiastici, di provate virtù, vi hanno aderito. Per questi fatti davvero rendiamo il nostro umile grazie a Dio autore di ogni bene. E quantunque questo Istituto non sia stato ancora confermato dall'autorità di questa Santa Sede, tuttavia speriamo in bene di esso e ci allietiamo che lo stesso si dilati con il consenso dei nostri Venerabili Fratelli nell'Episcopato. Quinti, per quanto riguarda le Sante Indulgenze connesse a questo istituto, che domandi siano concesse, ricevi diletto figlio il nostro Rescritto unito a questa lettera, da cui sicuramente comprenderai che rispondiamo positivamente alla tua richiesta. Ti assicuriamo anche che ci è pervenuto il libro sopra i Principi della Dottrina Morale da te edito e mandatoci in omaggio e ti dichiariamo il grazie del nostro animo per il dono. Tuttavia per la tensione nelle gravissime fatiche del Governo Apostolico non abbiamo ancora letto lo stesso libro, ma siamo certamente persuasi che esso sia in tutto conforme alla più sana dottrina e utilissimo alla sua difesa. Continua dunque, diletto figlio, lo studio e prosegui a spendere le tue fatiche ad onore di Dio per l'utilità della Chiesa; in Cielo sarà copiosa la ricompensa per la tua opera. Frattanto la paterna carità con cui ti abbracciamo nell'umanità di Cristo sia pegno dell'apostolica benedizione, che sgorgante dall'intimo del cuore ti impartiamo.»
(Da Breve pontificio di Gregorio P.P.XVI, del 27 marzo 1832)

Pio IX rivolgendosi al Vescovo di Cremona, nel 1854 dopo il decreto Dimittantur opera omnia parlando di Rosmini disse:

«Non solo è un buon cattolico, ma santo: Iddio si serve dei santi per far trionfare la verità»

Il papa Leone XIII, al tempo delle aspre e dolorose lotte che si svolgevano intorno al pensiero rosminiano sul finire del diciannovesimo secolo, in una lettera indirizzata agli arcivescovi di Milano, Torino e Vercelli, del 25 gennaio 1882, fra l'altro scrisse:

«Ma non vogliamo che con questo abbia a patir detrimento il religioso Sodalizio della Carità; il quale come per lo innanzi spese utilmente le sue fatiche a beneficio del prossimo, secondo lo spirito dell'Istituto, così è desiderabile che fiorisca in avvenire e prosegua a rendere ognora più abbondanti frutti»
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Giovanni XXIII, negli ultimi anni della sua vita, meditò in ritiro spirituale le rosminiane "Massime di Perfezione Cristiana", assumendole come propria regola di condotta. Anche Paolo VI prestò interesse nel Rosmini: in occasione del 150º anniversario di fondazione dell'Istituto della Carità inviò un messaggio all'allora padre generale, in cui elogiava l'intuizione del Rosmini nel dare un grande peso alla missione caritativa già nel nome del nativo istituto religioso, appunto l'Istituto della Carità. Pubblicamente Paolo VI citò Rosmini durante il discorso tenuto alla Federazione Universitaria Cattolica Italiana del 2 settembre 1963 riguardante la cultura cattolica e l'Europa. Inoltre sotto il suo pontificato venne tolto il divieto di pubblicazione dell'opera Dalle Cinque Piaghe della Santa Chiesa.

Alla morte di Paolo VI venne eletto papa Giovanni Paolo I, che si era laureato in sacra teologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma con una tesi su L'origine dell'anima umana secondo Antonio Rosmini. È bene precisare che Luciani era fortemente critico nei riguardi del pensiero rosminiano, solo successivamente cambiò opinione, rivolgendo nei riguardi di Rosmini parole di ammirazione e stima.

Tuttavia fu con il pontificato di Giovanni Paolo II che il pensiero rosminiano ha potuto liberarsi delle aspre critiche e delle condanne che accompagnavano l'Istituto della Carità fin dai tempi della sua fondazione. Nella Lettera Enciclica Fides et ratio, Giovanni Paolo II ha annoverato Rosmini «tra i pensatori più recenti nei quali si realizza un fecondo incontro tra sapere filosofico e Parola di Dio». Ne ha inoltre concesso l'introduzione della causa di beatificazione, conclusasi nella sua fase diocesana novarese il 21 marzo 1998.

Il 1º giugno 2007, papa Benedetto XVI, che da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede emanò nel 2001 il famoso documento Nota ai Decreti dottrinali sul Rev.do sac. Antonio Rosmini Serbati, ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il Decreto sul miracolo della guarigione di Suor Ludovica Noè, attribuito all'intercessione di Antonio Rosmini. Tra quelli portati dalla postulazione dei padri rosminiani, si è scelto di dare maggiore impulso a quello della guarigione della suora sopracitata, poiché il medico che la curò si convertì in seguito all'accaduto.

Il cardinale Joseph Ratzinger, il 18 maggio 1985 (quando la questione rosminiana era ancora ben accesa), nell'ambito di una serata organizzata dal Centro Culturale di Lugano, disse:

Nel confronto con le parole classiche della fede che sembrano così lontane da noi, anche il presente diventa più ricco di quanto sarebbe se rimanesse chiuso solo in se stesso. Vi sono naturalmente anche tra i teologi ortodossi molti spiriti poco illuminati e molti ripetitori di ciò che è già stato detto. Ma ciò succede ovunque; del resto la letteratura dozzinale è cresciuta in modo particolarmente rapido proprio là dove si è inneggiato più forte alla cosiddetta creatività. Io stesso per lungo tempo avevo l'impressione che i cosiddetti eretici fossero per una lettura più interessante dei teologi della chiesa, almeno nell'epoca moderna.

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Ma se io ora guardo i grandi e fedeli maestri, da Mohler a Newman a Scheeben, da Rosmini a Guardini, o nel nostro tempo de Lubac, Congar, Balthasar - quanto più attuale è la loro parola rispetto a quella di coloro in cui è scomparso il soggetto comunitario della Chiesa.

In loro diventa chiaro anche qualcos'altro: il pluralismo non nasce dal fatto che uno lo cerca, ma proprio dal fatto che uno, con le sue forze e nel suo tempo, non vuole nient'altro che la verità. Per volerla davvero, si esige tuttavia anche che uno non faccia di se stesso il criterio, ma accetti il giudizio più grande, che è dato nella fede della Chiesa, come voce e via della verità.

Del resto io penso che vale la stessa regola anche per le nuove grandi correnti della teologia, che oggi sono ricercate: teologa africana, latinoamericana, asiatica, ecc. La grande teologia francese non è nata per il fatto che si voleva fare qualcosa di francese, ma perché non si presumeva di cercare nient'altro che la verità e di esprimerla più adeguatamente possibile.

E così questa teologia è diventata anche tanto francese quanto universale. La stessa cosa vale per la grande teologia italiana, tedesca, spagnola. Ciò vale sempre. Solo l'assenza di questa intenzione esplicita è fruttuosa. E di fatto non abbiamo davvero raggiunto la cosa più importante se noi ci siamo convalidati da soli, ci siamo accreditati da soli e ci siamo costruiti un monumento per noi stessi.

Abbiamo veramente raggiunto la meta più importante se siamo giunti più vicino alla verità. Essa non è mai noiosa, mai uniforme, perché il nostro spirito non la contempla che in rifrazioni parziali; tuttavia essa è nello stesso tempo la forza che ci unisce. E solo il pluralismo, che è rivolto all'unità, è veramente grande.»

Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della CEI, a margine del Convegno sulla sfida educativa tenuto a Milano il 18 marzo 2010, ha tenuto un intervento intitolato "Istanze educative e questione antropologica" in cui ha riconosciuto le istanze pedagogiche del Beato Antonio Rosmini. Il 1º luglio 2010, il card. Angelo Bagnasco ha presieduto a Stresa la celebrazione eucaristica per il Dies Natalis di Antonio Rosmini.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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