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Guido Gozzano
(✶1883   †1916)

Il De Paoli non sembra cogliere l'ironia che sta alla base di quel mondo di sentimenti, che lo rende, nella sostanza se non nella forma, così lontano dal Jammes: lo rileva Giulio De Frenzi, pseudonimo di Luigi Federzoni, il futuro ministro del regime fascista, nel lungo articolo Conversazioni letterarie. Ironia sentimentale, apparso il 10 giugno su «Il Resto del Carlino», per il quale

«Guido Gozzano è il poeta dell'ironia sentimentale: è un uomo che si diverte a guardarsi dentro nell'anima, spettatore discreto e benevolo delle proprie emozioni, un uomo che indulge alle illusioni e soffre di molte nostalgie pur non ignorando il dubbio valore delle une e delle altre, un curioso stravagante che s'interessa di tante cose, futili per la maggior parte degli altri uomini e che sa scoprirvi ciò ch'essi nemmeno sospettano, un amabile scettico che non prende sul serio che il mondo de' suoi sentimenti, la sua entità psicologica: ecco, press'a poco, che cos'è e chi è Guido Gozzano, poeta di modesta ala, forse, ma così grazioso, così delicato, così nuovo e affascinante!...

È buono e semplice nella sua stessa maliziosa ironia. Vedetelo là, disteso su l'erba davanti alla villa, a sognare, mentre le sue tre nipotine, in giro tondo, cantano una loro bella filastrocca infantile:

«Trenta quaranta,
tutto il mondo canta
canta lo gallo
risponde la gallina...
Socchiusi gli occhi, sto
supino nel trifoglio,
e vedo un quadrifoglio
che non raccoglierò [....]
Socchiudo gli occhi, estranio
ai casi della vita.
Sento fra le mie dita
la forma del mio cranio:
ma dunque, esisto! O strano!
vive fra il Tutto e il Niente
quella cosa vivente
detta guidogozzano!»

Il Gozzano sente con vera originalità e sa significare con impareggiabile grazia la poesia degli oggetti fuori di moda, il sorriso un po' pietoso e un po' nostalgico che c'ispirano le antiche eleganze divenute goffaggini, le impronte d'un'epoca tramontata in cui pensiamo che saremmo stati forse felici. In un vecchio album di famiglia, il poeta ha trovato un dagherrotipo sbiadito, effigie di una giovinetta coetanea di sua nonna, con la firma, Carlotta, e la data del 1850:

«Carlotta! Nome non fine, ma dolce! Che come le essenze
risusciti le diligenze, lo scialle, la crinoline...[....]

Ti fisso nell'albo con tanta tristezza, ov'è di tuo pugno
la data: ventotto di giugno del mille ottocento cinquanta.

Stai come rapita in un cantico: lo sguardo al cielo profondo,
e l'indice al labbro, secondo l'atteggiamento romantico [....]

Ma te non rivedo nel fiore, o amica di Nonna! Ove sei,
o sola che - forse - potrei amare, amare d'amore?»
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[...] Taluno ha paragonato il Gozzano, anzi che al Civinini, a Francis Jammes, il poeta di Orthez, soavissimo cantore dell'intimità delle vecchie case provinciali, sottile sensitivo che si confessa a mezza voce. Ma Francis Jammes è un mistico, un'anima serena e pia, uno spirito innocente che, all'ombra della sua piccola chiesa di campagna - l'église habillée de feuilles... - dice le lodi del Creatore e delle creature. Guido Gozzano, invece

«[....] non credela troppo umana favola d'un Dio»

Nell'articolo Primavera di poesia, apparso il 10 giugno sul «Corriere della Sera» di Milano, Francesco Pastonchi torna a rilevare l'influsso dei moderni poeti francesi e del Jammes in particolare. È entusiasta della poesia che dà il titolo a tutta l'opera:

«Che leggera vaghezza di fantasia, qui entro! che dolce mistero di suoni! [....] Tutta la persona del Gozzano si dimostra in questa poesia che da sola basterebbe a definirlo. In fondo egli non è un contento della vita: una specie di interna debolezza, di intimo insoddisfacimento lo conduce a pensare «l'immensa vanità del Tutto». Ma non si sofferma su tal pensiero: meglio rassegnarsi, meglio anzi ricrearsi con belle fantasie; ed ecco fiorire le immagini delicate, zampillare le arguzie leggere. Il motivo malinconico ritorna a tratti, ritorna come un ritornello che s'ode e non s'ascolta e culla. La poesia di Gozzano si compiace di queste ripetizioni, e sa loro conservare una pura eleganza [....].»

Infine, la recensione del critico autorevole - e perciò « temuto » da Gozzano - Giuseppe Gargano su «Il Marzocco» del 30 giugno non è negativa ma non concede illusioni: osserva che

«una sottile ironia, una rassegnata e arguta filosofia che serpeggia nelle pagine del libro, una certa maestria di conchiudere in un breve quadro immagini ed effetti, farebbero supporre di fatto un'esperienza un po' consumata. C'è sì qualche cosa che si toglie dalle vie comuni che oggi batte la poesia, ma vi manca quella freschezza giovanile e vi traspare una certa consapevole intenzione di voler esser nuovo. Eppure qua e là si coglie come un'eco delle Rime della Selva di Arturo Graf o di qualche poesia dell'ultima incarnazione di Domenico Gnoli; è un libro d'intonazione nuova e fa l'effetto di essere un po' vecchio.»

Ricordando L'amica di Nonna Speranza, il Gargano trova

«enumerazioni di oggetti, di fatti: ma la vita, ma quella vita, io non la sento [....]. Nelle altre poesie del volume ci sono altri motivi e sono anch'essi un po' vieux style, sono un po' di romanticismo in ritardo, mancante della declamazione: qualche cosa insomma di Emilio Praga e di Vittorio Betteloni. L'artista è esperto senza dubbio; ma non è il caso di parlare davvero di un nuovo astro che sorge.»
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La malattia
A turbare la soddisfazione del successo, è la diagnosi di una lesione polmonare all'apice destro (aprile 1907), che lo spinge al primo di una lunga serie di viaggi nella vana speranza di ottenere, in climi più caldi e marini, una soluzione del male. In aprile va in Liguria, per pochi giorni a Ruta, poi in una località frequentata fino al 1912, San Francesco d'Albaro, alloggiando nell'Albergo San Giuliano o La Marinetta, dove frequenta il gruppo di giovani poeti che lì si danno convegno e collaborano alla rivista La Rassegna Latina, nella quale Gozzano pubblica due recensioni dedicate a Mario Vugliano e ad Amalia Guglielminetti, con la quale, insieme a una relazione durata solo un paio d'anni, inizia una corrispondenza che si manterrà per tutta la vita.

Qui scrive il componimento Alle soglie che, siglato 30 maggio 1907 e successivamente modificato, farà parte della futura raccolta I colloqui. Scrive inoltre Nell'Abazia di S, Giuliano e Le golose, pubblicato il 28 luglio col titolo Le Signore che mangiano le paste nella Gazzetta del Popolo della Domenica.

Alla fine di giugno torna ad Agliè, poi passa l'agosto a Ceresole Reale e l'autunno ancora ad Agliè. A dicembre si ferma a Torino per stare con la Guglielminetti e poi, dal 23 dicembre, è nuovamente a San Francesco d'Albaro per trascorrervi l'inverno.

«I colloqui»

Abbandonati gli studi giuridici nel 1908 si dedica completamente alla poesia e nel 1911 pubblica il suo più importante libro, I colloqui, i cui componimenti sono divisi, secondo un progetto ben preciso, in tre sezioni: Il giovenile errore, Alle soglie, Il reduce. Il successo avuto con "I colloqui" valse a Gozzano una grande richiesta di collaborazione giornalistica con importanti riviste e quotidiani, come La Stampa, La lettura, La Donna, sulle cui pagine pubblicò per tutto il 1911 sia prose che poesie.

L'aggravarsi della malattia e il viaggio in India

Nel 1912, aggravatosi il suo stato di salute, il poeta decise di compiere un lungo viaggio in India per cercare climi più adatti. La crociera, durata dal 6 febbraio 1912 fino al maggio seguente, compiuta in compagnia del suo amico Garrone, non gli diede il beneficio sperato ma lo aiutò, comunque, a scrivere, con l'aiuto della fantasia e di molte letture, gli scritti in prosa dedicati al viaggio. Tuttavia, i versi scritti durante il viaggio furono distrutti per ordine di Guido, perché da lui ritenuti osceni (si salvarono soltanto Ketty e Natale sul picco d'Adamo). Le lettere dall'India uscirono su La Stampa di Torino, e furono in seguito raccolte in volume e pubblicate postume nel 1917, presso l'editore Treves, con il titolo "Verso la cuna del mondo. Lettere dall'India (1912-1913)", con prefazione di Giuseppe Antonio Borgese.

Nel marzo 1914 pubblicò su "La Stampa" alcuni frammenti del poemetto le Farfalle, detto anche Epistole entomologiche, rimasto incompiuto. Nello stesso anno raccolse nel volume I tre talismani, sei deliziose fiabe che aveva scritto per il Corriere dei Piccoli. Si dimostrò sempre interessato al teatro e alla cinematografia lavorando alla riduzione di alcune novelle da lui scritte. Nel 1916, anno della sua morte, lavorò alla sceneggiatura di un film, che non vide mai la luce, su Francesco D'Assisi. Aveva già lavorato, testimonianza del suo interesse per l'arte cinematografica, nel 1911 al soggetto e alle didascalie del documentario scientifico del regista Roberto Omegna, La vita delle farfalle.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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