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Anna Banti
(✶1895   †1985)


«Presente e passato sono un istante da catturare e stringere come una lucciola nella mano.»
(A. Banti, Un grido lacerante, 1981, p. 161)

Anna Banti, pseudonimo di Lucia Lopresti (Firenze, 27 giugno 1895 – Ronchi di Massa, 2 settembre 1985), è stata una scrittrice italiana.

Anna Banti si è occupata di critica d'arte, narrativa, traduzioni, saggistica (oltre che d'arte, ha scritto articoli di costume, storici, letterari, di cinema).

La sua cólta scrittura dà vita a una prosa ricca, elegante, raffinata.

Principali figure, temi e motivi ricorrenti nelle sue opere: la donna, specialmente se artista, in un mondo per nulla fatto a sua misura; la memoria ed il farsi della scrittura (riflessioni metanarrative, su diegèsi e personaggi); l'autobiografismo trasposto; percorsi immaginativi nel passato o nel futuro e intreccio di pittura, scrittura, musica (cfr.: Artemisia; Lavinia fuggita in Le donne muoiono; Noi credevamo; Je vous écris d'un pays lointain; La camicia bruciata).

Da ricordare, alcune monografie specialistiche nell'ambito delle arti figurative (ad es.: Lotto; Velazquez; Monet), la narrativa (racconti e romanzi) di ambientazione storica (vedi sopra), traduzioni dall'inglese e dal francese (ad es.: Woolf; Alain-Fournier; Colette; Austen; Defoe), articoli/saggi su importanti scrittori del passato o a lei contemporanei (molti dei quali raccolti in Opinioni).

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Excursus

Premessa

Lucia
Figlia unica, nata nel capoluogo toscano alla fine del XIX sec. da una famiglia d'origine siciliana spostatasi prima in Calabria e poi in Piemonte, viene incoraggiata sin dall'inizio dal padre Luigi-Vincenzo, avvocato delle Ferrovie, a intraprendere gli studi umanistici. La madre, Gemma Benini, è originaria di Prato.

Dopo la laurea in Lettere «con una tesi sullo scrittore d'arte secentesco Marco Boschini, relatore Adolfo Venturi», appare nel 1919 su «L'Arte» (diretta dallo stesso Venturi) un suo saggio proprio sul Boschini e viene lodato da Benedetto Croce su «La Critica». È la prima pubblicazione.

Nel 1924 sposa il critico e storico dell'arte Roberto Longhi (1890-1970), incontrato nel 1914 come professore al Liceo Tasso di Roma, uomo di profonda cultura, sia letteraria che artistica. Il loro non è comunque un rapporto semplice: «[...] nel film della sua vita si ha una dissolvenza. La sua immagine scompare e riappare a fianco di Longhi: per un viaggio a Vienna nel dicembre 1930, in Versilia durante l'estate. È tutto». e riviare al saggio introduttivo Meridiano

Non ebbero figli. Insieme, tuttavia, danno vita nel 1950 alla rivista Paragone (nella doppia veste "Arte" e "Letteratura"), della cui sezione letteraria la Banti tiene la direzione fino alla morte del marito (3 giugno 1970), per poi assumersi l'impegno di seguire entrambe. «L'anno dopo viene riconosciuta ufficialmente la Fondazione Longhi, alla quale dona l'edificio di via Fortini. In seguito, dopo un periodo difficile, [...] viene nominata Presidente del Consiglio direttivo della Fondazione, alla quale si dedica con ritrovata alacrità», sino all'ultimo.

Anna
Anna Banti è quindi un nom de plume, come spiega in un'intervista a Sandra Petrignani nel 1983: «Mi sarebbe piaciuto usare il cognome di mio marito. Ma lui l'aveva già reso grande e non mi sembrava giusto fregiarmene. Il mio vero nome, Lucia Lopresti, non mi piaceva. Non è abbastanza musicale. Anna Banti era una parente della famiglia di mia madre. Una nobildonna molto elegante, molto misteriosa. Da bambina mi aveva incuriosita parecchio. Così divenni Anna Banti. Del resto il nome ce lo facciamo noi. Non è detto che siamo tutta la vita il nome della nostra nascita».

Da una lettera del '73 a Giuseppe Leonelli: «Anna Banti? Quella signora velata di bianco che da bambina m'incantava non fu che un pretesto alla mia insicurezza quando dovetti firmare. E poi il mio nome vero è un nome infantile (almeno per me: nelle Marche, a Fontespina, mi chiamavano Luciòla). Avevo bisogno di un nome del tutto diverso che s'imponesse a me stessa, segreto e autoritario. Da "Infanta di Spagna", fantasticavo».

Nel 1930 esordisce dunque nella narrativa come "Anna Banti" con il racconto Barbara e la morte, che confluirà dopo alcune modifiche nel libro del '37. Accantona così, ma non del tutto, gli studi e le aspirazioni giovanili:

[...] non ero fatta per la storia dell'arte. Non è stato un male cambiare campo. Anche perché visto che c'era già Longhi a fare il critico così bene, non mi pareva ci fosse bisogno di un'altra a fare la stessa cosa molto meno bene. Lui era un genio della critica d'arte, io sarei stata una normale storica dell'arte. Anche se qualche intuizione, in questo campo, l'ho avuta...
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Tableaux vivants
Sin dai primi «incunaboli narrativi», uno dei tratti caratteristici della scrittura di Anna Banti riguarda il suo porsi come narratrice in un modo particolare di fronte alle storie, capace al contempo di assecondarle e di rifiutarne le suggestioni, per rimanere più libera non solo di immaginare ma anche di creare nuovi rapporti con i personaggi.

La Banti mette in luce storie complesse - soprattutto di donne - a sfondo psicologico, analizzando, attraverso la convergenza di vari punti di vista, personaggi colti con grande acutezza nei loro momenti di crisi morale ed esistenziale. Il grande tema è la solitudine della donna alla ricerca di una dignità nel mondo degli uomini, in una dolorosa vicenda di umiliazioni e riscatti.

Secondo Gianfranco Contini,

il tema fondamentale è quello, per così dire, della condizione femminile, indagata con un pathos che, contenendosi, si converte di continuo in durezza anche sbrigativa. Per questa necessità di allontanare da sé l'oggetto, i suoi riconosciuti capolavori sono quelli in cui le figure hanno il remoto della storia, eventualmente richiamata anche con mezzi stilistici [...] che dànno il colore del tempo, e che all'autrice, espertissima frequentatrice di archivî e riesumatrice di documenti importanti (in particolare sul Caravaggio e la sua cerchia), riescono molto felici. Tale è il caso di Artemisia [...]

Sempre su Artemisia, Contini aggiunge:

Artemisia («donna, inferno per me, male per gli altri») è il personaggio che si muove nell'intervallo fra le definizioni di «donna forte» [...] e di «donna altera ma debole» [...]. [...] vittima pregiudizialmente dannata (e a questo punto la desinenza in a non dovrebbe celare oltre l'umanità generale del tipo, non limitato a una fisiologica metà della razza), in codesto impasto di fragilità umiliata e repressa che per orgoglio simula la forza, ravvisiamo la dominante, non diremo l'ossessione, che individuava le figure della Banti [...].

Nel tempo la sua scrittura, memore della più genuina "prosa d'arte" (ad es., quella di Emilio Cecchi e, ovviamente, di Longhi), farà via via a meno - secondo Pier Paolo Pasolini - della propria «rigidezza madreperlacea»:

la patina di vecchia pergamena, la rifinitura da mirabile opera minore che esclude che nelle proprie superfici possa sopravvivere anche la minima zona non perfettamente elaborata; la pagina ha perduto la compattezza del ricamo, la durezza del damasco. Naturalmente la Banti continua a scrivere come sa, com'è sua tradizione linguistica interiore, suo «idioletto». Ma una fretta di dire, [...] di scorrere negli anni per giungere ai giorni importanti, [...] fa sì che il suo stile [...] applichi nel modo più spiccio le proprie inalienabili regole, non badi a qualche trasandatezza, non tema di scendere al servizio di una affabulazione che faccia di esso, così «estremo», una elegante lingua media! [...] d'improvviso, tutto ciò non ha come esito l'immobilità, la fissazione del tempo; al contrario, [...] invece che «fissare» la realtà, pare comunicarle una sua misteriosa ansia di scorrere, di fluire. Forse la pittura si è fatta cinema.
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Anni '30-'40

Itinerario di Paolina (1937)
Attento e delicato ritratto di Paola (alter ego dell'autrice) in tredici parti o "capitoli", dalle primissime esperienze dell'infanzia fino alle soglie della giovinezza.

Il coraggio delle donne (1940)
Cinque racconti sulla condizione femminile tra la fine dell'800 e gli inizi del '900.

Sette lune (1941)
Romanzo «acerbo» a detta della stessa autrice. Maria e Fernanda stringono amicizia in vista di un esame universitario, ma le loro vite «post belle-époque» seguiranno un diverso destino.

Le monache cantano (1942)
Undici racconti, in generale collegati dalla figura, più o meno evidente, della studiosa o «visitatrice [...] in cerca di pitture celebri».

Anni '40-'50

Artemisia (1947)
Primo, grande successo di critica, è il libro più famoso e sofferto: la Banti deve riscriverlo due volte, avendo perduto la prima stesura in un bombardamento del '44 su Firenze. Un romanzo nel romanzo. Assieme alla ricerca del personaggio tra le macerie della Storia (e del cuore) e al rapporto con esso, l'autrice rievoca la vita della pittrice seicentesca Artemisia Gentileschi, «donna eccezionale, né sposa né fanciulla», narrando la vocazione artistica di una donna in lotta contro i pregiudizi del suo tempo («"Vedranno chi è Artemisia"»)

Una delle prime donne che sostennero colle parole e colle opere il diritto al lavoro congeniale e a una parità di spirito fra i due sessi.

Una vita travagliata (lo stupro, il processo) in cerca dell'affermazione di sé e della propria dignità («"Ma io dipingo" scopre Artemisia, risvegliandosi: ed è salvata»; «[...] una donna che dipinge nel milleseicentoquaranta è un atto di coraggio, [...] fino ad oggi»); ma soprattutto alla disperata ricerca di affetto, dell'amore mai goduto fino in fondo per le persone care: il devoto e un po' incompreso fratello Francesco, il tenero e sùbito perduto marito Antonio, l'ostile figlia Porziella, l'ombroso e irraggiungibile - se non a momenti, in particolare verso la fine - padre Orazio, con cui un giorno riesce a parlare il "suo" (il loro) linguaggio, quello dell'arte, «dei puri, degli eletti». Dopo l'umiliazione di "Corte Savella", una lontana sera «sul finire d'agosto» era già avvenuto qualcosa:

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il ritorno di Orazio fu improvviso, a ventun'ora, quando le vicine non avevano ancora cenato e la dispersione del chiacchiericcio e dei lazzi, dietro le impannate della finestra chiusa, isolava con più rilievo l'operosa solitudine di Artemisia, seduta al suo lavoro, negletta di vesticciola, una tazza di latte posata accanto ai fogli del disegno. Per insidia che imbastisse la persuasione d'esser sospettata e giudicata male, Artemisia non poté, questa volta, che rispecchiarsi innocente. Aveva a modello un'ala grigia di piccione, pazientemente ricucita e incollata, che doveva figurara ala d'angelo e, sul manichino, un ritaglio di broccato azzurro. Gli occhi chiari della fanciulla sollevati sul padre che entrava riflettevano quell'azzurro: assorta e limpida essa gli apparve come quando la ritraeva bambina, che se ne stava quieta a vederlo dipingere. Dapprima non ci furono parole, ma, nello sguardo d'Orazio, quella luce gioviale di quando discorreva di pittura o gliene mostravano, specchio di un'attività desiderosa e felice. Erano anni che la figlia non la ritrovava e fu un raggio di sole che le distese la mano chiusa sul lapis, illuminò il foglio, disciolse le sue membra umiliate. Come si chinava su di lei, essa gli vide, all'angolo dell'occhio, quella contrazione di rughettine benevole che preludeva un sorriso, un segno di soddisfazione: col polpastrello del pollice egli fuse delicatamente l'ombra un po' tagliente del carboncino nella veste dell'angelo. Si rialzò, e anche lei si levava intimidita ma non più goffa. Orazio disse: «Finisci», ed entrò in camera. Dopo un minuto lo sentì che fischiettava, risciacquandosi.

Poi, più tardi, «nella eretica Inghilterra»

La soggezione di Artemisia, pronta a sollevare e ad accomodare i quadri nella miglior luce, e poi ritta accanto al cavalletto dove ogni dipinto veniva posato, era adesso d'una sollecitudine ansiosa, sì, ma tutta dedita e scoperta. Non c'era nulla, sulla tela, che volesse nascosta o dissimulata, né si vergognava di essere esposta così, nel suo lavoro, povero o felice che fosse, essenza, sapore unico di giorni in cui s'era dolcemente persa a ricreare un viso, un panno, a inventare una luce sagace, a stendere una velatura eloquente. Non un medico e neppure il confessore l'avrebbero trovata più sincera e umile. Un linguaggio si parlava, a occhiate, nobile e segreto, che pure abbracciava tutto il mondo visibile e anche un gran tempo, oltre la vita umana: in un'eterna accademia di maestri di cui Orazio portava il segno e il giudizio. E dopo il necessario silenzio, furon scambiate le parole libere ed efficaci dell'arte e una incantata parità di espressione si stabilì, che oltrepassava le contingenze di età, di sesso, di parentela. Ecco giustificata Artemisia, matrona bizzarra che è partita sola di casa, senza necessità, come la gente può dire. Eccola sicura e lieta, di fronte a questi gesti e parole, incomparabilmente rispettosi, a questi riconoscimenti, a queste leali riserve. Due spiriti, non un uomo e una donna, non un padre e una figlia. E la figlia, affrancata dall'ossequio, sciolta in un fervore di dimostrazione che la fa ardita, alza la fronte e gli occhi. Spiega le difficoltà; chiarisce le intenzioni: riconosce gli errori senza soffrirne; gode delle riuscite senza insuperbirne, anzi ridendo, come di scherzi ben condotti. Un tantino di ebberezza: il pugno della donna si appoggia al fianco, virilmente; tutto il corpo, compresso nella rigida ampiezza dei panni, sfoggia gesti poco femminei, ma così innocenti! Questa dannata pittura! «Ti dico che uno scorcio di questo taglio il Baglione e gli altri romani non lo azzeccherebbero.» «No, lascia stare i paesi, non son cose per te.» Ora la vita di Artemisia par tutta un armonioso fluire dai primi insegnamenti paterni, all'ascetico giovanile esercizio: sino ad oggi, che Orazio le discorre con limpida rudezza, come ai compagni di via della Croce, i migliori pittori di Roma. Una felicità intoccabile, in cui l'onore così presto perduto vien restituito a un animo che già cedeva. Non importa esser stata donna, più volte sconsigliata, due volte tradita. Non c'è più dubbi, un pittore ha avuto nome; Artemisia Gentileschi.
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Le donne muoiono (1951)
Raccolta di quattro racconti, tra cui spicca Lavinia fuggita: nella Venezia di Vivaldi, tre amiche orfane all'Ospedale della Pietà, Orsola, Zanetta e Lavinia, sognano il proprio futuro; la terza, più di tutte, appare divisa tra la bruciante passione di comporre musica "in incognito " e l'altrettanto forte desiderio di scoprire le proprie radici.

Secondo Cecchi, in Lavinia fuggita si ha «la piena, splendida misura del talento della Banti [...] il perfezionarsi dell'arte che [...] è qui giunta a chiarezza suprema»:

un racconto che sta fra quanto di meglio nella letteratura narrativa in questi anni è stato prodotto, e non soltanto in Italia. [...] Le due meschinelle, Orsola e Zanetta, che discorrono di quando erano all'orfanotrofio, e rievocano la ribelle Lavinia, non meno di costei sono figure di cui sarà difficile scordarsi.

Il bastardo (1953)
Romanzo "fratello" di Artemisia ovvero anch'esso perduto durante la seconda guerra mondiale e riscritto. Di ambientazione contemporanea, vi si narra la storia della famiglia De Gregorio, «espressione di una società intimamente logorata» (Niccolò Gallo). Indimenticabile è «l'episodio notturno che conclude il primo capitolo del romanzo, dove Cecilia scopre l'esistenza del bastardo, figlio illegittimo di suo padre, il barone De Gregorio»; nel 1951, su "Paragone" tali pagine erano intitolate Luna sull'orto, anticipazione del testo ancora inedito. Nel '61, una nuova edizione del libro reca invece il titolo La casa piccola, «che fa riferimento alla famiglia illegittima del barone De Gregorio (tiene "casa piccola", secondo un'espressione gergale)».

Allarme sul lago (1954)

«Dalla sosta forzata di una viaggiatrice in un alberghetto sulle rive di un lago alpino, all'allarme misterioso che annuncia una imminente e imprecisata catastrofe (l'eco di Hiroscima [...] è ancora viva) che, del resto, è e rimane puramente indiziale, l'azione romanzesca viene precisandosi in contorni estremamente spogli; ne è immagine immediata la stanza del Miralago, dove [Costanza-]Eugenia, la viaggiatrice, incontra [...] tre donne in fuga»: Katrina, Ottorina e Adele. «E la cornice rimane immutata tutto il tempo che durano i racconti che in essa si formano, evocati, quasi, dalla situazione straordinaria [...] che ripete puntualmente la condizione esistenziale di queste donne, prese come esempio dalla schiera delle "recluse" della normale "vita a due"».

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Anni '60

Del 1967 è il romanzo storico Noi credevamo, quantunque la Banti precisi che i suoi andrebbero considerati non romanzi storici bensì "interpretazioni ipotetiche della storia". Anno 1883: in esilio nella casa torinese, un anziano e sofferente patriota "democratico" mette a fuoco, analizza e giudica un'esistenza vissuta tra ideologia e azione, vergando uno "scartafaccio" ovvero le proprie memorie, sull'attività politica clandestina, la prigionia subìta da detenuto politico nelle carceri borboniche, la disillusione postunitaria. Protagonista è il gentiluomo calabrese Domenico Lopresti, «di incrollabile credo repubblicano», mazziniano e garibaldino, nella cui figura si adombra il nonno paterno della Banti. Prima corriere settario, poi galeotto a Procida e a Montefusco insieme con Carlo Poerio e Castromediano, egli finisce, dopo «l'impresa dei Mille vissuta a fianco di Garibaldi», per impiegarsi presso le dogane del nuovo Regno d'Italia. Ma si ritirerà, in seguito all'ultimo bruciante disinganno di Aspromonte. Vivendo nel continuo e sfibrante ricordo degli eventi, le "fratture", che ne hanno segnato il passato, don Domenico cerca di darsi delle spiegazioni; amaramente, prenderà atto del crollo degli ideali risorgimentali in cui aveva creduto, mentre scrive con rabbia, di nascosto, quasi vergognandosene, abbandonandosi ai momenti di una vita raminga fatta di amicizie, tradimenti, speranze e delusioni. Una visione disincantata del Risorgimento italiano: «Ma io non conto, eravamo tanti, eravamo insieme, il carcere non bastava; la lotta dovevamo cominciarla quando ne uscimmo. Noi, dolce parola». Prendendo spunto dal libro, è stata tratta la sceneggiatura dell'omonimo film (2010) diretto da Mario Martone, che restituisce meritatamente notorietà, dopo decenni di oblio, all'opera e alla Banti: «Questo grande romanzo mi ha fornito spaccati narrativi importantissimi per il mio film». Il regista ne ricava due episodi: la prigionia a Montefusco e l'Aspromonte.

Anni '70-'80

Nel 1973 pubblica La camicia bruciata, terza grande "interpretazione storica" dopo Artemisia e Noi credevamo. La storia comincia nel 1661 e si conclude nei primi anni del secolo successivo, dopo aver seguito le vicende e analizzato la psicologia di due principesse di casa Medici, Marguerite-Louise e Violante.

Nel 1981 esce Un grido lacerante, ultima «autobiografia trasposta» che si ricollega al primo libro, Itinerario di Paolina (1937), quasi a chiudere idealmente il cerchio.

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Nota bibliografica


Opere principali di Anna Banti

Narrativa
Romanzi e racconti (contiene Itinerario di Paolina, Conosco una famiglia..., Felicina, Vocazioni distinte, Artemisia, I porci, Lavinia fuggita, La libertà di Giacinta, Il bastardo, Arabella e affini, Un lungo rancore, Campi Elisi, Noi credevamo, Je vous ècris d'un pays lontain, La camicia bruciata, Tela e cenere, La signorina, Un grido lacerante), a cura e con un saggio introduttivo di Fausta Garavini con la collaborazione di Laura Desideri, Collana I Meridiani Mondadori, Mondadori, Milano, 2013 ISBN 978-88-04-62710-4.

Romanzi
Itinerario di Paolina, Augustea, Roma, 1937;
Sette lune, Bompiani, Milano, I ed. 12 luglio 1941;
Artemisia, Sansoni, Firenze, 1947; poi Collana Grandi Narratori Italiani, n.8, Mondadori, Milano, 1953; poi nella Collana Il Bosco, n. 158, Mondadori, 1965; apparso insieme a Noi credevamo, col titolo Due Storie, Mondadori, 1969; negli Oscar Mondadori, con introduzione di Attilio Bertolucci, 1974; presso Rizzoli, Collana La Scala, 1989; per la Collana Grandi Tascabili Bompiani, Introduzione di Giuseppe Leonelli, 1994-2001-2005, ISBN 88-452-5099-7; con prefazione di Margherita Ghilardi, UTET-Fondazione Goffredo e Maria Bellonci, Torino-Roma 2007 (Collezione Premio Strega. I 100 capolavori)
Il bastardo, Collana Biblioteca di Paragone, Sansoni, Firenze, 1953; col titolo La casa piccola, Collana Narratori italiani/ Opere di Anna Banti volume II, Mondadori, Milano 1961
Allarme sul lago, Collana Grandi Narratori Italiani vol. XX, Milano, 1954;
La casa piccola, Collana Opere di Anna Banti volume II, Mondadori, Milano, 1961;
Le mosche d'oro, Collana Narratori Italiani n. 96, Opere di Anna Banti, vol. III, Mondadori, Milano, 1962; di prossima ripubblicazione presso l'Editore Hacca, ISBN 88-89920-89-0
Noi credevamo, Collana Narratori Italiani n.155/ VI volume delle Opere di Anna Banti, Mondadori, Milano, 1967; poi in Oscar Mondadori, con introduzione di Giulio Cattaneo, 1978; disponibile oggi negli Oscar scrittori moderni, con postfazione di Enzo Siciliano, Mondadori 2010 ISBN 978-88-04-60384-9.
La camicia bruciata, Collana Scrittori Italiani e Stranieri, Mondadori, Milano, 1973; poi con un'introduzione di Attilio Bertolucci, Oscar Mondadori, Milano, 1979; Collana Evergreen. Grande Biblioteca dei ragazzi, Mondadori/De Agostini, 1987.
Un grido lacerante, Prefazione di Cesare Garboli, Collana La Scala, Rizzoli, Milano, 1981 (Finalista al Premio Campiello) ISBN 88-17-45079-0.

Racconti
Il coraggio delle donne, Le Monnier, Firenze, 1940;
Le monache cantano, Roma, 1942;
Le donne muoiono, Collana La Medusa degli italiani n. LXIII, Mondadori, Milano, 1951; riedito nel 1998 da Giunti, con prefazione di Enza Biagini;
La monaca di Sciangai e altri racconti, Collana Grandi Narratori Italiani, Mondadori, Milano, 1957; poi nella Collana Narratori Italiani n. 45/ Opere di Anna Banti volume V, Mondadori, Milano, 1963;
Campi Elisi, Collana Narratori Italiani/ IV volume delle Opere di Anna Banti, Milano, 1963;
Je Vous écris d'un pays lointain, Collana Scrittori Italiani e Stranieri, Mondadori, Milano, 1971;
Da un paese vicino, Collana Scrittori Italiani e Stranieri, Mondadori, Milano, 1975;
Lavinia fuggita, Collana Piccoli Tascabili, La Tartaruga, 1996 ISBN 88-7738-211-2.

Teatro
Corte Savella, Milano, Mondadori (collana "Narratori Italiani" n.72, "Opere di Anna Banti" volume I), 1960 (riduzione per le scene di Artemisia).

Saggistica
Lorenzo Lotto, regesti, note e cataloghi di Antonio Boschetto, Biblioteca di Proporzioni, Sansoni, Firenze 1953; Rivelazione di Lorenzo Lotto, Sansoni, Firenze, 1981; Rivelazione di Lorenzo Lotto, Skira, Ginevra-Milano 2011
Fra Angelico, Collana Pinacotheca, Sidera Edizioni, Milano 1953
Diego Velazquez (1599-1660), Serie Arte n.98, Garzanti, Milano 1955
Claude Monet (1840-1926), Serie Arte, Garzanti, Milano 1956
Opinioni, Collana La Cultura, Il Saggiatore, Milano, 1961;
Matilde Serao,(biografia), Collana La vita sociale della Nuova Italia, UTET, Torino, 1965-1979;
Giovanni da San Giovanni. Pittore della contraddizione, Sansoni, Firenze, 1977.
Cinema: 1950-1977, a cura di Maria Carla Papini, Fondazione di Studi di Storia dell'Arte Roberto Longhi, 2008 ISBN 88-87815-43-7
Quando anche le donne si misero a dipingere, Collana Miniature, Abscondita, 2011 (già uscito nella Collana Narrativa n. 2, La Tartaruga, 1982 ISBN 88-7738-042-X).

Traduzioni
William Makepeace Thackeray, La fiera delle vanità, Longanesi, Milano 1948; Curcio, Roma, 1982; Newton Compton, Roma 2005
Virginia Woolf, La camera di Giacobbe, Mondadori, 1950; La camera di Jacob, con postfazione di Anna Banti, Mondadori, Milano 1980
Francis Carco, L'amico dei pittori, Martello, Milano 1955
André Chastel, L'arte italiana, Sansoni, Firenze 1957-1958, 2 voll; Storia dell'arte Italiana, Laterza, Roma 1987
Alain-Fournier, Il grande amico, Mondadori, Milano 1971 (Classici di ieri e di oggi per la gioventù); edizione integrale con prefazione di A. Banti, Il gran Meaulnes, 1974 (I capolavori della Medusa, serie 2)
Colette, La vagabonda, Mondadori, Milano 1977 (con prefazione Les moralités di Colette); ES, Milano 1994
Jane Austen, Caterina, con nota su Caterina, pp.245–247, Giunti-Marzocco, Firenze 1978 (Gemini); L'abbazia di Northanger, Giunti, Firenze 1994
Jack London, Zanna Bianca, Giunti-Marzocco, Firenze 1981 (Gemini); Giunti, Firenze 2007 (Giunti Junior)

Curatele
Bernardo Bizoni, Europa Milleseicentosei. Diario di viaggio, con prefazione, pp.9–25, Rizzoli, Milano-Roma 1942 (Il sofà delle Muse: collezione diretta da Leo Longanesi, 19); con il titolo Europa Milleseicentosei
Daniel Defoe, Opere, a cura di Anna Banti e Giuseppe Caetano Castorina, Introduzione di Anna Banti, Collana I Meridiani Mondadori, Milano 1980; introduzione a Diario dell'anno della peste, Mondadori, Milano 2000
Vincenzo Giustiniani, Discorsi sulle arti e sui mestieri, con prefazione, pp.5–12, Sansoni, Firenze 1981.

Carteggi
Lettere ad Alberto Arbasino, a cura di Piero Gelli, Collana Lettere, Archinto, 2006.

Opere principali su Anna Banti

Enza Biagini, Anna Banti, Milano, Mursia, 1978.
L'Opera di Anna Banti. Atti del Convegno di Studi (Firenze, 8-9 maggio 1992), a cura di E. Biagini, Firenze, Olschki, collana Cultura e Memoria, 1997 (ISBN 978-88-222-4491-8).
Maria Luisa Di Blasi, L'altro silenzio. Per leggere «Un grido lacerante» di Anna Banti nel segno di una trascendenza femminile, Firenze, Le Lettere, collana La Nuova Meridiana, 2001.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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