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Carlo Goldoni
(✶1707   †1793)

Alla necessità di riformare la commedia molti avevano risposto con vari espedienti quali la traduzione in italiano di commedie spagnole o francesi. Spesso, però, come sottolinea Goldoni nella prefazione alla prima raccolta delle sue commedie, il prodotto finale si discostava dai “gusti delle Nazioni” in quanto, provenendo da un contesto estraneo, non teneva conto dei costumi e dei linguaggi dei destinatari. “Mercenari comici” per ovviare a tale difetto si impegnarono nell'alterare il recitato tramite improvvisazioni mirate a sfigurare le commedie d'origine, in modo che “più non si conobbero per Opere di que' celebri Poeti”. Nel popolo, però, regnava il malcontento.

Gli scrittori barocchi e soprattutto i marinisti, così, avevano tentato di introdurre innovazioni quali “macchine”, “trasformazioni”, “decorazioni”, musica, canto, danza, pantomima, acrobazia, e persino gioco di prestigio. L'inserimento di intermezzi musicali era sembrato inizialmente una soluzione efficace, lo stesso Goldoni ne aveva fatto uso in la Pupilla, la Birba, il Filosofo, l'Ippocondriaco, il Caffè, l'Amante Cabala, la Contessina, il Barcaiuolo, ma “non tardò l'Uditorio a sentire quanto poca relazione colla Commedia abbia la Musica”. È proprio confrontando le soluzioni dei vari commediografi che Goldoni riesce a cogliere che il successo di una rappresentazione risiedeva in “alcuni gravi ragionamenti ed istruttivi, alcun dilicato scherzo, un accidente ben collocato, una qualche viva pennellata, alcun osservabil carattere, una dilicata critica di qualche moderno correggibil costume”, ma soprattutto ciò che più allettava il pubblico era il ricorso al semplice ed al naturale.

Come egli stesso ricorda, queste intuizioni non significarono immediatamente il successo delle sue opere: “Quando si studia sul libro della Natura e del Mondo, e su quello della sperienza, non si può per verità divenire Maestro tutto d'un colpo; ma egli è ben certo che non vi si diviene giammai, se non si studiano codesti libri”. Il successo della sua riforma teatrale è indiscutibilmente, infatti, legato alla gradualità nell'introduzione del rinnovamento.

“Sebben non ho trascurata la lettura de' più venerabili e celebri Autori, da' quali, come da ottimi Maestri, non possono trarsi che utilissimi documenti ed esempli: contuttociò i due libri su' quali ho più meditato, e di cui non mi pentirò mai di essermi servito, furono il Mondo e il Teatro”.

Inizialmente Goldoni coglie naturalmente le peculiarità dei vari individui, analizzando allo stesso tempo “i segni, la forza, gli effetti di tutte le umane passioni”.; gli si presentano, così, avvenimenti curiosi e situazioni che sottolineano i vizi ed i difetti di ognuno. Come egli stesso evidenzia, si trattava di acquisire la consapevolezza di quel materiale degno della “disapprovazione o della derisione de' Saggi”. Osservare il reale allora consentiva anche di apprendere dai virtuosi quali fossero i mezzi con i quali la virtù resisteva alla corruzione dei costumi; sottolineando l'importanza di un teatro a fine "propedeutico", che rappresentasse un mondo di valori positivi, ai quali il pubblico potesse ispirarsi attraverso la rappresentazione delle sue commedie (uno dei cardini fondamentali della sua riforma).

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Dall'analisi del secondo, invece, comprende come rappresentare sulla scena i caratteri, le passioni e gli avvenimenti che il libro del Mondo gli mostrava. Apprende quindi le tecniche per ombreggiare o dare rilievo alle diverse situazioni, destando la meraviglia o il riso. Il connubio naturalezza e buon garbo risultavano la formula vincente per generare nel cuore dello spettatore “quel tal dilettevole solletico” che nasce dall'aver riconosciuto come propri i comportamenti descritti, senza offendere. Il Teatro, inoltre, in particolare tramite la messa in scena delle sue Commedie, gli consente di conoscere il gusto del pubblico e dunque di regolare il proprio su quello di coloro che deve soddisfare. Nonostante le critiche che possono essere da tale atteggiamento generate, egli ricorda che “convien lasciar padrone il Popolo egualmente che delle mode del vestire e de' linguaggi”. Da qui il suo importante studio anche degli attori che poi dovevano dar vita ai personaggi delle sue commedie, il tener conto del loro carattere, natura e inclinazioni, fino a scrivere addirittura delle parti conseguenti a chi poi le avrebbe rappresentate, apporto fondamentale nel progetto di portare il "Mondo" nel " Teatro"', e garanzia di successo attraverso l'approvazione di un pubblico che si dimostrava sensibile alla rappresentazione della vita reale.

“La natura è una universale e sicura maestra a chi l'osserva”. Proprio perché la commedia è frutto di osservazione ed analisi l'improvvisazione, corredata dal semplice “canovaccio”, è sostituita da un dettagliato copione.

Goldoni, così, animato dall'amor di verità, abbandona la scrupolosa unità del luogo o quelle che definisce “stiticità”, come l'imposizione di impedire che più di quattro personaggi parlino in una medesima scena. Inevitabile è il ripudio della Commedia dell'arte e dell'imitazione degli antichi. Ne consegue il rifiuto di personaggi fissi stereotipati e di intrecci quasi obbligati. Scomparse le maschere, nacquero i caratteri e gli eventi ispirati alla vita semplice e modesta, borghese o popolana.

Il linguaggio stesso è ora teso a soddisfare la materia trattata ed il suo contesto, è dunque non più barocco, ma quotidiano, parlato e dialettale.

Solo uno stile semplice, naturale, non accademico od elevato può consentire ai sentimenti di esser veri, naturali, non ricercati ed alla portata di tutti. “Questa è la grand'Arte del Comico Poeta, di attaccarsi in tutto alla Natura, e non iscostarsene giammai”.

Innovare significa, però, scontrarsi contro la tradizione, perciò Goldoni fu oggetto di numerose critiche, provenienti in particolare dagli accademici e conservatori del suo tempo. A questi che lo definivano plebeo, volgare, triviale Goldoni risponde che “Coloro che amano tutto all'antica, ed odiano le novità, assolutamente parmi che si potrebbono paragonare a que' Medici, che non volessero nelle febbri periodiche far uso della chinchina per questa sola ragione, che Ippocrate o Galeno non l'hanno adoperata”.

Le stesse critiche sono per il commediografo una vittoria, il realizzarsi di un suo intento: “se quelli che o due o tre anni fa sofferivano sul Teatro improprietà, inezie, Arlicchinate da mover nausea agli stomachi più grossolani, son divenuti al presente così dilicati, che ogn'ombra d'inverisimile, ogni picciolo neo, ogni frase o parola men che toscana li turba e travaglia, io posso senza arroganza attribuirmi il merito d'aver il primo loro ispirata una tal dilicatezza col mezzo di quelle stesse Commedie che alcuni di essi indiscretamente, ingratamente, e fors'anche talvolta senza ragione si sono messi, o si metteranno a lacerare”.

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Opere

Le tragicommedie

Nel 1734 inizia la vera carriera teatrale di Carlo Goldoni, come lui stesso ha testimoniato non poteva entrare nello spettacolo come guitto anche per il rispetto delle "sue vestimenta", allora iniziò con un genere ibrido, ma nel Settecento molto gradito, che era la tragicommedia. Proprio l'incontro con la Compagnia di Imer Goldoni poté accedere al vasto repertorio delle tragicommedie dell'arte che la compagnia metteva in scena in genere per mettere in burla storie tragiche d'ambito antico o pastorale attraverso i lazzi degli zanni. Il giovane Goldoni giunto al teatro con idee rivoluzionarie non poteva tollerare che quest'insieme di lazzi slegati dalla trama, che servivano soltanto a mettere in luce i vari talenti degli attori, desse un effetto così disorganico alla storia rappresentata da farla sparire tra i lazzi e le buffonerie.

Goldoni iniziò un ampio lavoro di ripulitura con la sua prima tragicommedia Il Belisario che fu un vero e proprio trionfo scenico per Goldoni, ben 40 rappresentazioni continuative soltanto nel carnevale del 1734, mai nessun'altra opera di Goldoni avrà un successo così unanime, Venezia aveva scoperto un giovane talento. Dopo Il Belisario Goldoni mise in scena altre tragicommedie riformate come Don Giovanni Tenorio, Il Rinaldo, Giustino e varie altre prima di iniziare la sua carriera di commediografo. Ma la sua inclinazione alla tragicommedia dopo il periodo della commedia riformata si fece di nuovo impellente e nacquero tragicommedie romanzesche come la Trilogia Persiana nata anche per tamponare gli attacchi dell'Abate Chiari, ma anche tragicommedie già di stampo pre-illuminista come La Peruviana e La Bella selvaggia.

Le prime tre commedie

Nel 1738, Goldoni scrisse la sua prima commedia, Il Momolo cortesan, Il Momolo sul Brenta e Il mercante fallito. Ristampate successivamente con i titoli: L'uomo di mondo, Il prodigo, La bancarotta. Tali commedie costituiscono un concreto tentativo di regolamentazione della commedia. Le prime tre commedie contenevano parti recitate "a soggetto", ma con limitazioni sempre più forti e parti scritte, nel tentativo di educare sia gli attori professionisti, sia il pubblico generico ad una commedia di carattere e di costume regolamentata nella sua forma.

Tali commedie, in un secondo tempo, furono riscritte per intero. La donna di garbo, del 1743, è la prima commedia scritta in ogni sua parte e con veri caratteri. Nonostante il successo della nuova commedia, il Goldoni, nel 1745, con Il servitore di due padroni, tornò al compromesso tra parti scritte e "a soggetto" ed alle maschere della commedia dell'arte, pur mantenendo l'apertura sulla realtà.

Anche nella redazione completamente scritta del Servitore di due padroni (1753) il Goldoni conserva l'essenzialità della forma originale che sfrutta l'azione mimica e scenica, traducendola in un dialogo rapidissimo in cui le parole indicano il movimento, recuperando il meglio della commedia dell'arte per riproporlo nella commedia scritta organica nel suo ritmo di scena e nello studio sociale e personale dei caratteri dei personaggi.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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