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Carlo Porta
(✶1775   †1821)

Carlo Porta (Milano, 15 giugno 1775 – Milano, 5 gennaio 1821) è stato un poeta italiano, nato a Milano sotto la dominazione austriaca. È considerato il maggior poeta in milanese.

«È manifesto che la eccezionale personalità portiana ha finito con lo schiacciare sotto di sé, degradandolo a un ruolo più o meno passivo, di allievo o imitatore, chi, dietro il suo esempio, [...], si è messo per la strada dello scrivere versi in milanese.»
(Dante Isella, Carlo Porta, in Storia della Letteratura Italiana, a cura di E. Cecchi e N. Sapegno, vol. VII, L'Ottocento, Garzanti, Milano 1969, pag.466)

Carlo Porta, figlio di Giuseppe e Violante Gottieri, nacque a Milano nel 1775, ultimo di tre fratelli. Studiò dai Barnabiti a Monza e nel loro Collegio estivo di Muggiò (edificio in parte scomparso nel 1890 per lasciare posto alla Parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo) fino al 1792 e poi al Seminario di Milano: l'ambiente religioso gli garantiì una buona formazione culturale ma instillò in lui i germi di un anticlericalismo viscerale. Nel 1796 l'arrivo dei Francesi fece perdere il posto al padre, convinto sostenitore del regime asburgico, e per Carlo venne trovato un lavoro a Venezia, dove restò fino al 1799 insieme a un fratello. Il padre non gli consentì di concludere gli studi, avviandolo a una carriera nella pubblica amministrazione: nel 1804 venne assunto all'Ufficio del debito pubblico — dall'anno successivo noto come Monte Napoleone — per il quale lavorò tutta la vita. Nel frattempo si dedicò all'attività teatrale e poetica: recitando a partire dal 1799 come attore dilettante al Teatro Patriottico di Milano, di orientamento progressista.

Stendhal lo conobbe insieme agli altri letterati milanesi del tempo e, in Roma, Napoli, Firenze, loda infinitamente le sue poesie e cita i suoi versi, pur lamentando che nessuno li capisca a dieci miglia da Milano. Nonostante il suo lavoro fu amico dei maggiori intellettuali del tempo, tra i quali Foscolo, Manzoni, Grossi, Berchet, Visconti. La sua vita coincide con gli anni più densi della storia italiana: le campagne napoleoniche, la Repubblica Cisalpina, il Regno Italico, la restaurazione austriaca, la polemica classico-romantica.

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Nel 1817 venne accusato di avere scritto La Prineide, una satira feroce dedicata alla morte, per linciaggio, del politico Giuseppe Prina. In realtà il principale autore dell'opera pare essere stato Tommaso Grossi, con il contributo — non è chiaro quanto ampio — dell'amico Porta. I due vengono interrogati e minacciati dalla polizia austriaca. A seguito di questo episodio, Porta interruppe l'attività poetica per qualche mese.

La sua formazione fu essenzialmente illuministica e di ispirazione civile, pariniana; egli indirizzò la sua satira contro la società contemporanea, soprattutto contro la nobiltà boriosa, retriva e ipocrita, attaccata ai suoi privilegi e incurante (o profittatrice) dei mutamenti epocali in atto; ma nella sua poesia spiccano anche alcuni monologhi messi in bocca a personaggi del popolo, in cui viene data voce ai ceti più bassi. Porta fu vicino al gruppo dei romantici e li sostenne nella loro polemica con varie poesie. Il rifiuto del classicismo era in lui strettamente legato al rifiuto del vecchio mondo aristocratico e clericale. Nel classicismo e nella sua poesia aulica vedeva lo spirito retrivo dell'Ancien Regime; nel romanticismo, invece, individuava il rinnovamento culturale e civile nazionale, una letteratura nuova più aderente alla verità.

Opere giovanili

La sua prima opera nota è l'almanacco El lavapiatt del meneghin che l'è mort, risalente al 1792. Solo una delle due parti di cui era compasta è arrivata fino a noi. Nonostante la prima stampa ufficiale dei suoi lavori sia datata 1817, all'interno della Collezione delle migliori opere scritte in dialetto milanese di Francesco Cherubini, i suoi versi godevano di ampia popolarità a Milano almeno dal 1804-05, quando lavorò a una traduzione in milanese della Divina Commedia. Celeberrima è la sua versione dell'enigmatico verso "Papé Satan, papé Satan aleppe", vòlto in un verso di una filastrocca per bambini: "Ara, bell'ara, discesa cornara".

Nel 1810, invece e seppure in forma anonima, esce il Brindes de Meneghin all'Ostaria scritto per il matrimonio di Napoleone con Maria Luisa d'Asburgo-Lorena. Nel Brindes il Porta si augura soprattutto un buon governo per Milano e la Lombardia. La grande stagione della poesia portiana comincia però nel 1812 con Desgrazzi de Giovannin Bongee. Da questo momento e fino alla morte la produzione fu costante e di altissima qualità.

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La vena anticlericale

Del primo filone fanno parte, fra le altre: Fraa Zenever (1813), On Miracol (1813), Fraa Diodatt (1814), La mia povera nonna la gh'aveva (1810). In questo filone troviamo trascrizioni in tono di caricatura popolaresca di leggende della devozione medievale, con evidenti ascendenze illuministiche e volteriane nell'atteggiamento morale e sociale del poeta. Tali ascendenze sono pure evidenti nelle poesie satiriche che hanno come bersaglio l'aristocrazia reazionaria ed il basso clero ignorante, bigotto e parassita (si ricordano La preghiera, satira della boria aristocratica mascherata da pio zelo religioso, e La nomina del Cappellan, quadro spietato della vita dell'aristocrazia nera e del clero più povero e affamato).

E'interessante notare che molte delle satire anticlericali più feroci venivano accolte molto favorevolmente da una buona fetta di ecclesiastici, a loro volta critici contro i costumi di una parte della chiesa dell'epoca. Negli anni di attività di Porta, in Lombardia aveva una discreta diffusione le idee del Giansenismo, dal quale era stato influenzato ad esempio Alessandro Manzoni.

Le figure popolari

Al secondo filone appartengono quelle che sono forse le opere del Porta maggiori per fama e maggiori per valore artistico. Le già citate Desgrazzi de Giovannin Bongee escono nel 1812 e vengono apprezzate fin da subito, seguite due anni dopo dalle Olter desgrazzi de Giovannin Bongee . Il protagonista è un giovane garzone di bottega, vittima di una serie di disavventure col potere. Porta sceglie di farle raccontare da Giovannin a un anonimo ascoltatore, quasi come un monologo teatrale.

Seguono "El lament del Marchionn di gamb'avert (1816) e quello che molti critici considerano il suo capolavoro, La Ninetta del Verzee (1814), la struggente confessione di una prostituta.

La satira politica

Al filone politico appartengono soprattutto i sonetti: come Paracar che scappee de Lombardia (1814), E daj con sto chez-nous, ma sanguanon (1811), Marcanagg i politegh secca ball (1815), Quand vedessev on pubblegh funzionari (1812).

Fra le poesie che non appartengono a uno dei tre filoni sopraddetti ricordiamo soprattutto i sonetti in difesa della scelta del milanese o in difesa di Milano. Celeberrimi I paroll d'on lenguagg, car sur Gorell (1812) in difesa dei dialetti (o, meglio, delle lingue locali) e El sarà vera fors quell ch'el dis lu (1817) in difesa di Milano.

Fra le poesie più propriamente umoristiche ricordiamo Dormiven dò tosann tutt dò attaccaa (1810) e la brevissima Epitaffi per on can d'ona sciora marchesa (1810).

La restaurazione Austriaca del 1815 deluse profondamente il Porta che aveva sperato in un'indipendenza della Lombardia.

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Certamente però non rimpianse l'occupazione francese, come è chiaramente espresso in molti sonetti e nella chiusa di Paracar che scappée de Lombardia:

«de podè nanca vess indifferent
sulla scerna del boja che ne scanna.»

Nella poesia degli ultimi anni si accentuano i caratteri antinobiliari contro la classe che inaspettatamente era tornata a dominare. Testimoni di questa fase "alla Parini" sono La nomina del Cappellan (1819), una rielaborazione ancora più comico-satirica dell'episodio della "vergine cuccia" di pariniana memoria in cui stavolta il pretino arrivista si munisce di fette di salame per accattivarsi la cagnetta, Offerta a Dio (1820) e Meneghin biroeu di ex monegh (1820).

Nel 1816 il Porta aveva aderito al neonato movimento romantico (Sonettin col covon), ovviamente a modo suo.

Importante critico ed esperto di Carlo Porta era il professore Dante Isella.

A soli quarantacinque anni e nel pieno della fama, morì a Milano il 5 gennaio 1821 per un attacco di gotta. Fu sepolto a San Gregorio fuori Porta Orientale, ma la sua tomba andò dispersa. Nella Cripta della Chiesa di San Gregorio Magno in Milano (attuale Porta Venezia) è custodita la lapide funebre (insieme a quella di altri personaggi illustri) che era posta sul muro di cinta del cimitero di San Gregorio al Lazzaretto.

Nel 1815 scrisse di persona un testamento letterario indirizzato al figlio Giuseppe raccogliendo per lui in un quaderno tutte le sue poesie, comprese alcune inedite. Luigi Tosi (vescovo) venne incaricato da Tommaso Grossi di stabilire se fosse o meno opportuno consegnare al giovane il quaderno, a causa del contenuto giudicato controverso di molte opere di Porta: purtroppo, Tosi non solo impedì che il al ragazzo di leggere del quaderno, ma cancellò anche quasi la metà delle poesie che vi erano contenute.

In sua memoria l'amico Tommaso Grossi compose in milanese la poesia In morte di Carlo Porta.

La cantautrice Elide Suligoj ha realizzato nel 1978 un album intitolato Il mio Porta, in cui mette in musica alcune poesie del poeta.

Alessandro Manzoni compose in onore di Carlo Porta i soli quattro versi in milanese della sua produzione poetica: On badee ch’el voeur fà de sapientôn / el se toeu subet via per on badee; / ma on omm de coo ch’el voeur parè minciôn / el se mett anca luu in d'on bell cuntee! (Un sempliciotto che vuole fare il sapientone / si tradisce subito per il sempliciotto che è; / ma un uomo dalla testa fina che vuole sembrare minchione / si mette anche lui in un bel pasticcio!).

Henri Beyle, detto Stendhal, che era amico di Carlo Porta, lo soprannominò le charmant Carline, l'affascinante Carlino (in lombardo, Carlìn).

Il giornalista Camillo Brambilla, caporedattore de La Notte, che negli anni settanta scrisse numerosi racconti brevi in dialetto con bozzetti di vita milanese, adottò lo pseudonimo di Carlo Finestra, con un voluto richiamo al più celebre poeta.

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Bibliografia

Dante Isella, Carlo Porta, in Emilio Cecchi e Natalino Sapegno (a cura di), Storia della Letteratura Italiana, Garzanti, Milano 1982.
Roberto Zambonini e Giuseppe Leone, "A Villa Bertarelli con il Porta: popolani fra poesia dialettale e melodramma", in "Sulle rive del Tempo", vol. XXV, Collana "Natura e Storia", Edizioni Comunità Montana del Lario Orientale, Sala al Barro (Lecco) 2005.
Pier Angelo Perotti, Noterelle portiane, in "Otto/Novecento", a. XXXIV, n. 3, settembre / dicembre 2010, pp.5–22.
Mauro Novelli, Divora il tuo cuore, Milano. Carlo Porta e l'eredità ambrosiana, il Saggiatore, Milano 2013.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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