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Emilio De Marchi
(✶1851   †1901)

«Un cittadino che non abbia un significato politico quel tanto che basti per la chiarezza del suo carattere, non solo è un valore nullo nella generale attività, ma un terreno insidioso sul quale non mi arrischierei di fabbricare la mia casa.»
(Emilio De Marchi, da I nostri figliuoli)

Emilio De Marchi (Milano, 31 luglio 1851 – Milano, 6 febbraio 1901) è stato uno scrittore italiano.

Di famiglia di modeste condizioni e orfano di padre, riuscì a laurearsi in Lettere nel 1874 nell'allora Accademia Scientifico Letteraria di Milano, poi divenuta l'Università degli studi di Milano. Dell'accademia divenne in seguito segretario e libero docente di Stilistica. Frequentò il mondo letterario milanese dominato in quel momento dalla Scapigliatura. Ebbe un ruolo attivo anche nelle istituzioni caritative cittadine, ed un'eco di questa sua esperienza si riscontra anche nei suoi romanzi. Volle tenersi lontano dalle esasperazioni naturalistiche e fedele agli insegnamenti di Manzoni, all'equilibrio ed al rigore morale del realismo a cui era spinto anche dal suo credo cristiano. Fondatore della rivista "La vita nuova" si dimette alla fusione con la rivista radicale "il preludio" poiché riteneva inconciliabili i due punti di vista.

Negli anni 1876-1877 si dedicò a scrivere romanzi, secondo l'uso del tempo pubblicati su periodici e quotidiani: Tra gli stracci, Il signor dottorino e Due anime in un corpo. La morale è quella borghese del Manzoni, dove rassegnazione e onestà pagano più di sovversione e violenza, il contrasto doloroso tra ricchi e poveri non autorizza la lotta di classe.

Con Il cappello del prete (1888) inventò il romanzo noir, un nuovo genere letterario almeno per l'esperienza italiana. Nel romanzo, ambientato a Napoli, è appunto un cappello a essere l'unica traccia che conduce a svelare l'uccisione di un prete affarista da parte di un nobile spiantato. Il cappellaio si accontenta di un terno come pagamento di un cappello da prete; I numeri escono, ma nel frattempo il prete è stato ucciso. Esce a puntate nel 1887 per dimostrare quanto di onesto e vitale c'è nel grande pubblico.

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Il successivo Demetrio Pianelli (1889) torna ad una ambientazione milanese. Tale romanzo appartiene al filone del romanzo impiegatizio i cui dimessi eroi condannati ad una mediocre routine scoprono dentro di sé il bisogno di una felicità regolarmente negata. Demetrio in seguito al suicidio per debiti del fratello deve provvedere alla sua famiglia, ma si innamora della cognata e per lei (che sposerà in seconde nozze un ricco cugino) giunge ad insultare il capoufficio e viene trasferito a Grosseto.

Più che ai vinti di Verga, a differenza del quale De Marchi interviene nel racconto, il personaggio di Demetrio fa pensare ad una umanità dolente di umiliati ed offesi, bilanciato da un umorismo manzoniano.

Altri romanzi sono Arabella (1892), Redivivo (1894), Giacomo l’idealista (1897) e Col fuoco non si scherza (1900). In essi gli intrecci si complicano e si sconfina nel melodramma. Arabella continua la storia di Demetrio Pianelli, è sua nipote, anche lei destinata all'infelicità.

Meno conosciuta è l’attività di Emilio De Marchi come traduttore: tra il 1885 e il 1886 la casa editrice Sonzogno pubblicò a dispense la sua traduzione in versi delle Favole di Jean de La Fontaine, con le illustrazioni di Gustave Doré. Ancora oggi le edizioni più note delle Favole si avvalgono della traduzione di De Marchi. Nella versione italiana lo scrittore lombardo, così come aveva fatto La Fontaine, ha utilizzato la polimetria e la rima. Inoltre, probabilmente motivato dalla forma popolare della pubblicazione, De Marchi ha compiuto un’opera di attualizzazione nel tempo e nello spazio delle Favole, eliminando spesso i riferimenti dotti o appartenenti alla cultura francese a vantaggio di espressioni più familiari al pubblico italiano. Infatti ha sostituito i nomi che La Fontaine aveva ripreso da Rabelais con nomi di personaggi de I promessi sposi; ha spostato il centro gravitazionale delle Favole da Parigi a Milano; ha accentuato l’utilizzo di proverbi e modi di dire, nonché di segnali tipici della narrazione favolistica (frequenti ripetizioni dello stesso verbo, suoni onomatopeici, uso del dativo etico). Nonostante queste trasformazioni, la critica ritiene che De Marchi sia riuscito a riportare nella versione italiana lo spirito del favolista francese, mettendone in risalto tanto l’ironia quanto la sua visione amara della vita.

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Nei suoi scritti politici, come Le forze conservatrici pubblicate nel 1898 si augurò la nascita di un forte partito conservatore e di un governo aristocratico, invitando le classi popolari ad accettare uno stato di subalternità.

Nei libri a sfondo pedagogico, come nell'Età preziosa del 1888 esaltò i valori tradizionali religiosi e familiari.

Nei saggi di critica letteraria, quali Lettere e letterati del secolo XVIII perseguì la ricerca di un contenuto morale.

Le vicende di vita personali, come la morte di una figlia quindicenne,ne acuirono il pietismo negativo. pubblica i suoi romanzi sui quotidiani perché rifacendosi al Manzoni, dà alla letteratura una funzione educativa.

Morto a Milano il 6 novembre 1901, è sepolto presso il cimitero di Paderno.

Opere minori

La casa di Alessandro Manzoni, Milano, Stab. G.Civelli, 1883.
Milanin Milanon. Milano e i suoi dintorni, Milano, La martinella di Milano, Libreria milanese, 1993. ISBN 88-7955-054-3.

Bibliografia

Arnaldo Bocelli, «DE MARCHI, Emilio» la voce nella Enciclopedia Italiana, Volume 12, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1931.
Antonio Carrannante, "Quattro lettere inedite di Emilio De Marchi", in Accademie e Biblioteche d'Italia, 1988/3, pp.47–50.
Lucia Strappini, «DE MARCHI, Emilio» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 38, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1990.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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