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Galileo Galilei
(✶1564   †1642)

Nel 1612 Galileo scrisse il Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua, o che in quella si muovono, nel quale appoggiandosi alla teoria di Archimede dimostrava, contro quella di Aristotele, che i corpi galleggiano o affondano nell'acqua a seconda del loro peso specifico non della loro forma, provocando la polemica risposta del Discorso apologetico d'intorno al Discorso di Galileo Galilei del letterato e aristotelico fiorentino Ludovico delle Colombe. Il 2 ottobre, a Palazzo Pitti, presenti il granduca, la granduchessa Cristina e il cardinale Maffeo Barberini, allora suo grande ammiratore, diede una pubblica dimostrazione sperimentale dell'assunto, confutando definitivamente Ludovico delle Colombe.

La polemica sulle macchie solari
Nel suo Discorso Galileo accennava anche alle macchie solari, che egli sosteneva di aver già osservate a Padova nel 1610, senza però darne notizia: scrisse ancora, l'anno seguente, l'Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti, pubblicata a Roma dall'Accademia dei Lincei, in risposta a tre lettere del gesuita Christoph Scheiner che, indirizzate alla fine del 1611 a Mark Welser, duumviro di Augusta, mecenate delle scienze e amico dei Gesuiti dei quali era loro banchiere. A parte la questione della priorità della scoperta, Scheiner sosteneva erroneamente che le macchie consistevano in sciami di astri rotanti intorno al Sole, mentre Galileo le considerava materia fluida appartenente alla superficie del Sole e ruotante intorno ad esso proprio a causa della rotazione stessa della stella.

Le scoperte astronomiche avvaloravano la teoria eliocentrica: l'esistenza delle fasi di Venere e anche quelle di Mercurio, osservate da Galileo, dimostrava che quei pianeti ruotavano intorno al Sole. Galileo, scrivendo a Giuliano de' Medici il 1º gennaio 1611, affermava che «Venere necessarissimamente si volge intorno al sole, come anche Mercurio e tutti li altri pianeti, cosa ben creduta da tutti i Pittagorici, Copernico, Keplero e me, ma non sensatamente provata, come ora in Venere e in Mercurio».

Il 12 maggio del 1612 ribadiva a Federico Cesi la sua visione copernicana scrivendo come il Sole si rivolgesse «in sé stesso in un mese lunare con rivoluzione simile all'altre de i pianeti, cioè da ponente verso levante intorno a i poli dell'eclittica: la quale novità dubito che voglia essere il funerale o più tosto l'estremo e ultimo giudizio della pseudofilosofia, essendosi già veduti segni nelle stelle, nella luna e nel sole; e sto aspettando di veder scaturire gran cose dal Peripato per mantenimento della immutabilità de i cieli, la quale non so dove potrà esser salvata e celata».

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Fra il 1612 e il 1615 Galileo difese il modello eliocentrico e chiarì la sua concezione della scienza in quattro lettere private, note come "lettere copernicane" e indirizzate a padre Benedetto Castelli, due a monsignor Pietro Dini, una alla granduchessa madre Cristina di Lorena.

Nel marzo 1614 tentò di determinare il peso minimo dell'aria, scoperto diverso tuttavia da zero. L'aria è infatti circa 760 volte più leggera dell'acqua: gli studiosi dell'epoca senza alcun supporto sperimentale pensavano al contrario che l'aria non avesse alcun peso.

La disputa con la Chiesa

La denuncia del domenicano Tommaso Caccini (1614)
Il 21 dicembre 1614, dal pulpito di Santa Maria Novella a Firenze il frate domenicano Tommaso Caccini (1574 – 1648) lanciava contro certi matematici moderni, e in particolare contro Galileo, l'accusa di contraddire le Sacre Scritture con le loro concezioni astronomiche ispirate alle teorie copernicane. La sua predica si concludeva con un indovinato gioco di parole, tratto dagli Atti degli Apostoli: «Viri Galilaei, quid statis aspicientes in coelum?». A questa si aggiunse ancora il Lorini, con l'invio al cardinale Paolo Emilio Sfondrati, prefetto della Congregazione dell'Indice a Roma, il 7 febbraio 1615, a nome di tutta la comunità del convento di San Marco di Firenze, di una copia della lettera di Galilei al Castelli. Il Lorini rilevava che quella lettera, che sosteneva essergli «capitata per caso nelle mani» e definiva «una scrittura, corrente qua nelle mani di tutti, fatta da questi che domandano Galileisti», conteneva «molte proposizioni che ci paiono o sospette o temerarie».

Tommaso Caccini giunse a Roma, il 20 marzo 1615, e nel palazzo del Santo Uffizio, di fronte ai cardinali Bellarmino, Galamini, Millini, Sfondrati, Taverna, Verallo e Zapata, denunciò Galileo in quanto sostenitore del moto della Terra intorno al Sole, e anche perché il confratello Ferdinando Ximenes aveva sentito dire da alcuni discepoli di Galileo che «Iddio non è altrimenti sustanza, ma accidente; Iddio è sensitivo, perché in lui son sensi divinali; veramente che i miracoli che si dicono esser fatti da' Santi, non sono veri miracoli». Richiesto della fede cattolica di Galileo, il Caccini rispondeva maliziosamente che egli «da molti è tenuto buon cattolico; da altri è tenuto per sospetto nelle cose della fede, perché dicono sii molto intimo di quel fra Paolo servita, tanto famoso in Venetia per le sue impietà, et dicono che anco di presente passino lettere tra di loro».

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Intanto a Napoli era stato pubblicato il libro del teologo carmelitano Paolo Antonio Foscarini (1565-1616), la Lettera sopra l'opinione de' Pittagorici e del Copernico, dedicata a Galileo, a Keplero e a tutti gli accademici dei Lincei, che intendeva accordare i passi biblici con la teoria copernicana interpretandoli «in modo tale che non gli contradicano affatto». Il cardinale Roberto Bellarmino, già giudice nel processo di Giordano Bruno, come lo Sfrondati e il Taverna, tuttavia affermava che sarebbe stato possibile reinterpretare i passi della Scrittura che contraddicevano l'eliocentrismo solo in presenza di una vera dimostrazione di esso e, non accettando le argomentazioni di Galileo, aggiungeva che finora non gliene era stata mostrata nessuna, e sosteneva che comunque, in caso di dubbio, si dovessero preferire le sacre scritture. L'anno dopo il Foscarini verrà, per breve tempo, incarcerato e la sua Lettera proibita. Intanto il Sant'Uffizio stabilì, il 25 novembre 1615, di procedere all'esame delle Lettere sulle macchie solari e Galileo decise di venire a Roma per difendersi personalmente, appoggiato dal granduca Cosimo: «Viene a Roma il Galileo matematico» – scriveva Cosimo II al cardinale Scipione Borghese – «et viene spontaneamente per dar conto di sé di alcune imputazioni, o più tosto calunnie, che gli sono state apposte da' suoi emuli».

L'ammonizione del cardinal Bellarmino (Roma, 1616)
L'ambasciatore della Corte medicea, Piero Guicciardini, ottimo conoscitore dell'ambiente romano, era ben consapevole dei pericoli incombenti sullo scienziato: «so bene che alcuni frati di San Domenico, che hanno gran parte nel Santo Offizio, et altri, gli hanno male animo addosso; e questo non è paese da venire a disputare sulla luna, né da volere, nel secolo che corre, sostenere né portarci dottrine nuove».

Il 24 febbraio 1616, richiesti dal Sant'Uffizio, i teologi risposero unanimemente che la proposizione «il sole è il centro del mondo e del tutto immobile di moto locale», era «stolta e assurda in filosofia, e formalmente eretica», in quanto contraddiceva molti passi delle Sacre Scritture e le opinioni dei Padri della Chiesa; che la proposizione «la Terra non è il centro del mondo, né immobile, ma da sé si muove anche di moto diurno», era «censurabile in filosofia; riguardo alla verità teologica, almeno erronea nella fede». Di conseguenza, il 25 febbraio il papa ordinò al cardinale Bellarmino di «convocare Galileo e di ammonirlo di abbandonare la suddetta opinione; e se si fosse rifiutato di obbedire, il Padre Commissario, davanti a un notaio e a testimoni, di fargli precetto di abbandonare del tutto quella dottrina e di non insegnarla, non difenderla e non trattarla». Un documento datato 26 febbraio attesterebbe l'avvenuto precetto del Bellarmino e l'obbedienza di Galileo mentre il 5 marzo era reso pubblico il decreto della Congregazione dell'Indice che sospendeva fino a revisione il De revolutionibus orbium coelestium di Niccolò Copernico e lo scritto di Didaco Stunica su Giobbe, proibendo invece la lettera di Paolo Antonio Foscarini, frate carmelitano».

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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