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Gian Giorgio Trissino
(✶1478   †1550)

Gian Giorgio Trissino dal Vello d'Oro (pronuncia Trìssino, /ˈtrissino/) (Vicenza, 8 luglio 1478 – Roma, 8 dicembre 1550) è stato un umanista italiano.

Poeta e tragediografo, si interessò di linguistica e architettura, oltre a svolgere attività diplomatiche per conto del papato. Amico e mentore di Andrea Palladio, tradusse il De vulgari eloquentia di Dante Alighieri.

Giovanni Giorgio Trissino nacque a Vicenza l'8 luglio 1478 da antica e nobile famiglia. Suo nonno Giangiorgio combatté nella prima metà del XV secolo il condottiero Niccolò Piccinino, che al servizio dei Visconti di Milano invase alcuni territori vicentini, e riconquistò la valle di Trissino, feudo avito. Suo padre Gaspare (1448-1487) era anch'esso uomo d'armi e colonnello al servizio della Repubblica di Venezia e sposò Cecilia Bevilacqua, di nobile famiglia veronese, nel 1468. Ebbe un fratello, Girolamo, scomparso prematuramente, e tre sorelle: Antonia († 1516), Maddalena († 1512) andata in sposa al padovano Antonio degli Obizzi, Elisabetta, poi suor Febronia delle Benedettine († 1515).

Trissino studiò greco a Milano sotto la guida di Demetrio Calcondila e filosofia a Ferrara sotto Niccolò Leoniceno. Da questi maestri imparò l'amore per i classici e la lingua greca, che tanta parte ebbero in seguito nella sua produzione letteraria. Alla morte di Calcondila nel 1511, Trissino fece murare una targa nella chiesa di S.Maria della Passione a Milano, dove fu sepolto il suo maestro.

Il 19 novembre 1494 sposò Giovanna, figlia del giudice Francesco Trissino, lontana cugina, da cui ebbe cinque figli: Cecilia (nata nel 1495, visse 20 giorni), Gaspare (nato nel 1497, visse 10 giorni), Francesco (1500-1514), Vincenzo (nato nel 1502, visse 10 giorni) e Giulio (1504-1576). Giulio, di salute cagionevole, venne avviato dal padre alla carriera ecclesiastica e, dopo il suo soggiorno a Roma presso la corte del papa Clemente VII, divenne Arciprete della cattedrale di Vicenza, ma poi sospettato di simpatie per le teorie calviniste. Giovanna morì il 12 aprile 1505.

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Tra la fine del sec XV e i primi decenni del sec XVI Trissino intraprese diversi viaggi tra Venezia, Bologna, Mantova, Firenze e Roma, dove s'ingraziò le simpatie dei Papi Leone X, Clemente VII e infine Paolo III. I Pontefici lo inviarono come proprio ambasciatore presso il Doge di Venezia, la corte dei Gonzaga e soprattutto l'Imperatore, dapprima Massimiliano I e successivamente Carlo V. Spesso quindi viaggiò tra la Germania e Roma, recando le rispettive ambascerie ai diversi potenti.

Trissino sosteneva l'Impero come istituzione, ma ciò venne interpretato in spirito antiveneziano e, per questo, egli fu temporaneamente esiliato. Fu quello il periodo peggiore della sua vita, in cui vennero a mancare molti dei suoi cari (la moglie Giovanna nel 1505, il suo maestro Calcondila nel 1511, il primogenito Francesco nel 1514 e le tre sorelle – 1512, 1515, 1516).

Stemma di Giangiorgio Trissino dal Vello d'Oro come appare nel volume dedicatogli da P.F. Castelli nel 1753.

Nel 1515, durante uno dei suoi viaggi in Germania, l'Imperatore Massimiliano I d’Asburgo lo autorizzò all'aggiunta del predicato "dal Vello d'Oro" al proprio cognome e alla relativa modifica dello stemma gentilizio (aurei velleris insigna quae gestare possis et valeas), che nella parte destra riporta su fondo azzurro un albero al naturale con fusto biforcato sul quale è posto un vello in oro, il tronco accollato da un serpente d'argento e con un nastro d'argento tra le foglie, caricato del motto "PAN TO ZHTOYMENON AΛΩTON" in lettere maiuscole greche nere, preso dal verso 110 dell'Edipo di Sofocle che significa "chi cerca trova", privilegi trasmissibili ai propri discendenti.

Secondo quanto riportato dallo storico Castellini Trissino rifiutò posizioni di potere offertegli dai Pontefici a seguito dei successi riportati come diplomatico (Nunzio e Legato), ad esempio l'Arcivescovato di Napoli, il Vescovato di Ferrara o la Porpora Cardinalizia, in quanto desideroso di una propria discendenza. Essendo il figlio di primo letto Giulio ben avviato nella gerarchia ecclesiastica, rientrato a Vicenza Trissino sposò il 26 marzo 1523 Bianca, figlia del giudice Nicolò Trissino e di Caterina Verlati, già vedova di Alvise di Bartolomeo Trissino (morto a 45 anni nel 1522). Da Bianca ebbe due figli: Ciro (1524-1574) e Cecilia (1526-1542). Alla nomina di Ciro come erede universale, si scatenarono le ire di Giulio che per lungo tempo lottò in tribunale contro il padre e il fratellastro. Anche a seguito delle divergenze causate dai cattivi rapporti con Giulio, la coppia si divise nel 1535 quando Bianca si trasferì a Venezia, dove morì il 21 settembre 1540.

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Trissino manifestò il proprio fervente sostegno all'Impero dedicando a Carlo V il suo poema epico L’Italia liberata dai Goti, completato nel 1527 e pubblicato nel 1547. Nel febbraio 1530 a Bologna, nel corso dell'incoronazione di Carlo V a Re d'Italia e Sacro Romano Imperatore, egli ebbe il privilegio di reggere il manto pontificale a Clemente VII e nel 1532 Carlo lo nominò conte palatino e cavaliere dell'Ordine Equestre della Milizia Aurata.

Intanto nella villa di Cricoli alle porte della città, già dei Valmarana e dei Badoer e acquistata nel 1482 dal padre Gaspare, si radunava una delle più prestigiose Accademie vicentine. Trissino partecipò insieme a Pietro Bembo e Bernardo e Giovanni Rucellai al dibattito sulla questione della lingua italiana, sostenendo il valore degli apporti locali contro la mera diffusione del volgare fiorentino trecentesco, e propose l'introduzione di lettere dell'alfabeto greco per meglio identificare la pronuncia delle parole.

Scoprì il più grande talento dell'architettura del suo tempo, Andrea Palladio, di cui fu mentore, amico e mecenate, e rimane il più celebre intellettuale vicentino del Cinquecento.

Morì a Roma l'8 dicembre 1550 e fu sepolto nella Chiesa di Sant'Agata alla Suburra.

Le opere letterarie

Trissino appartenne a quel gruppo di letterati per i quali l'arte è interpretazione dei classici, ricreando le forme elleniche nei generi moderni. Egli fu fautore di un classicismo integrale, conforme ai principi aristotelici, che espose nelle sei parti della sua Poetica (1562), una ambiziosa sistemazione di tutti i generi letterari, ognuno ricondotto a precise regole di struttura, stile e metrica.

Le opere poetiche di Trissino sono coerenti con questa rigorosa concezione di letteratura: così la Sofonisba (composta nel 1514-1515, pubblicata nel 1524) fu la prima tragedia in una lingua europea ad essere definita regolare (ossia composta secondo le regole aristoteliche) e strutturata secondo i canoni della tragedia greca classica. Pur ispirandosi a Tito Livio, guarda alla Grecia classica e il metro utilizzato, l'endecasillabo sciolto, vuole essere una imitazione del trimetro giambico.

La prima rappresentazione documentata della Sofonisba si ebbe in francese, nel 1554 nel castello di Blois, davanti alla corte reale di Caterina de' Medici. In lingua originale venne recitata per la prima volta nel 1562, durante il carnevale di Vicenza, messa in scena dall'amico Andrea Palladio.

Trissino scrisse anche una raccolta di Rime volgari (1529), con interessanti esperimenti metrici, e la commedia I simillimi (1548), fortemente ispirata ai Menaechmi di Plauto.

Il suo impegno maggiore fu L'Italia liberata dai Goti (completato nel 1527, pubblicato nel 1547), un laborioso poema, sempre in endecasillabi sciolti, di 27 libri sulla guerra tra l'imperatore bizantino Giustiniano I e gli Ostrogoti che in quel tempo occupavano gran parte dell'Italia (guerra gotica (535-553), la cui la fonte fu lo storico bizantino Procopio di Cesarea).

L'opera si apre con una dedica a Carlo V, nella quale Trissino dichiara che i celebri testi classici di Aristotele e Omero debbano essere l'esempio da imitare per la corretta composizione del poema moderno. La narrazione della guerra, condotta dal generale Belisario tra duelli e scontri intervallati da lunghi discorsi pronunciati dai vari personaggi, fa da sfondo a situazioni amorose che rimandano a Dante e Petrarca accompagnate da antiche divinità mitologiche trasformate in angeli cristiani (come Palladio, Nettunio, Saturnio) e da un gioco di magie e incantesimi ripresi dalla tradizione cavalleresca precedente.

Il risultato fu un tentativo forse pedante e a volte un po' noioso di recuperare i valori dell'epica classica (grandezza e generostà d'animo, nobiltà e gloria), con un'attenzione estrema alla corretta applicazione delle regole aristoteliche più che alla fluidità della narrazione. La solennità dell'argomento epico si scontra con la prosaicità dello stile e del metro, per cui questo lavoro viene ricordato più per gli apporti accademici: la letteratura del Trissino era un'arte in cui lo studio e la tecnica della metrica prevalgono sull'ispirazione e sul sentimento. La visione di un mondo superiore di eroi solenni e composti nella dignità del loro ideale e della loro missione, tipicamente aristocratico, anticipava le preoccupazioni morali della Controriforma.

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Le ricerche linguistiche

Frontespizio del Castellano di Giangiorgio Trissino, 1529, stampato con lettere aggiunte all'alfabeto italiano da quello greco

I suoi interventi nel campo della linguistica suscitarono vivaci reazioni nel mondo letterario dell'epoca. Scrisse Il castellano (1529), dialogo immaginario tra Filippo Strozzi e Giovanni Rucellai, per una tesi "cortigiana-italianista" che sosteneva l'idea d'una lingua formata dagli elementi comuni a tutte le parlate dei letterati della Penisola. Questa teoria, concorrente di quelle avanzate da Bembo e Machiavelli, era appoggiata dalla novità della pubblicazione, sempre nel 1529, della sua traduzione del De vulgari eloquentia di Dante Alighieri che Trissino ebbe il merito di far riemergere dal dimenticatoio. Alla sua tesi si dimostrarono particolarmente sensibili (e ostili) i letterati toscani.

Accese discussioni avevano suscitato le sue proposte di riformare l'alfabeto italiano, che ha raccolto nell'Ɛpistola del Trissino de le lettere nuωvamente aggiunte ne la lingua Italiana (1524). Trissino suggeriva l'adozione di alcune vocali e consonanti dell'alfabeto greco al fine di disambiguare suoni diversi resi allora (e ancor oggi) con la medesima grafia: e e o aperte (ε e ω) e chiuse, z sorda e sonora (ζ), nonché la distinzione delle i e u con valore di vocale o di consonante (j, v). In seguito avrebbe riproposto questa idea (sebbene ricorrendo a grafie diverse) anche l'accademico della Crusca Anton Maria Salvini, sempre senza successo. Accolta fu invece la proposta del Trissino di utilizzare la z al posto della t nelle parole che finiscono in ione.

La riforma trissiniana è rimasta un prezioso documento delle differenze di pronuncia tra toscano e lingua cortigiana perché l’autore applicò i suoi criteri grafici nel pubblicare l'Epistola, la Sofonisba e Il Castellano. La conseguente maggior difficoltà di lettura non favorì la diffusione dei suoi scritti e portò diverse critiche da parte degli autori suoi contemporanei, ma se si riflette sul fatto che la poesia epica adottò definitivamente l’endecasillabo sciolto con le celeberrime traduzioni dell'Eneide di Annibal Caro (1566), dell'Iliade di Vincenzo Monti (1810) e dell'Odissea di Ippolito Pindemonte (1822), che il nome di lingua italiana ebbe la meglio su fiorentino o toscano e infine che l’ortografia accolse la distinzione tra i e j e quella tra u e v oltre all'uso della z al posto della t come detto, si può concludere che le ambizioni normative di Trissino trovarono il meritato successo.

Il rapporto con Palladio

Di Andrea Palladio Trissino curò soprattutto la formazione di architetto inteso come "umanista" . Questa concezione risulta alquanto insolita in quell'epoca, nella quale all'architetto era demandato un compito preminentemente di tecnico specializzato . Non si può capire la formazione umanistica e di tecnico specializzato della costruzione dell'architetto Andrea della Gondola, senza l'intuito, l'aiuto e la protezione di Giangiorgio Trissino. È lui a credere nel giovane lapicida che lavora in modo diverso e che aspira a una innovazione totale nel realizzare le tante opere. Trissino gli cambierà il nome in "Palladio", come l'angelo liberatore e vittorioso presente nel suo poema L'Italia liberata dai Goti.

Secondo la tradizione, l'incontro tra il Trissino e il futuro Palladio avvenne nel cantiere della villa di Cricoli, nella zona nord fuori della città di Vicenza, che in quegli anni (1538 circa) sta per essere ristrutturata secondo i canoni dell'architettura classica. La passione per l'arte e la cultura in senso totale sono alla base di questo scambio di idee ed esperienze che si rivelerà fondamentale per la preziosa collaborazione tra i due "grandi". Da lì avrà inizio la grande trasformazione dell'allievo di Girolamo Pittoni e Giacomo da Porlezza nel celebrato Andrea Palladio. Sarà proprio Giangiorgio Trissino a condurlo a Roma nei suoi viaggi di formazione a contatto con il mondo classico e ad avviare il futuro genio dell'architettura a raggiungere le vette più ardite di un'innovazione a livello mondiale, riconosciuta ed apprezzata ancora oggi.

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Opere principali

Trattati

Poetica, 1529, pubblicato nel 1562 in sei parti: Riproduzione fotografica

Testi grammaticali

Epistola del Trissino de le lettere nuωvamente aggiunte ne la lingua Italiana, 1524: Riproduzione fotografica
Il castellano, 1529, dialogo: Riproduzione fotografica dell'edizione Daelli 1864
Dubbi grammaticali, 1529
Grammatichetta, 1529

Testi teatrali

Sofonisba, 1514, tragedia, pubblicata nel 1524: Riproduzione fotografica
I Simillimi, 1548, commedia

Poemi

L'Italia liberata dai Goti, 1547

Traduzioni

De vulgari eloquentia di Dante Alighieri, 1529

Bibliografia

Pierfilippo Castelli, La vita di Giovangiorgio Trissino, oratore e poeta, ed. Giovanni Radici, Venezia 1753
Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o monografia di un letterato del secolo XVI, Firenze, Le Monnier, 1894.
Amedeo Quondam, La poesia duplicata. Imitazione e scrittura nell’esperienza del Trissino, in Atti del Convegno di Studi su G. Trissino, a cura di N. Pozza, Vicenza, Accademia Olimpica, 1980, pp. 67-109.
Sergio Zatti, L’imperialismo epico del Trissino, in Id., L’ombra del Tasso, Milano, Bruno Mondadori, 1996, pp. 59-110, alle pp. 59-63.
Renato Barilli, Modernità del Trissino, in «Studi Italiani», vol. IX 1997, fasc. 2, pp. 27-59.
Claudio Gigante, «Azioni formidabili e misericordiose». L’esperimento epico del Trissino, in «Filologia e Critica», XXIII 1998, fasc. 1, pp. 44-71.
Marco De Masi, L’errore di Belisario, Corsamonte, Achille, in «Studi italiani», a. 2003, n. 1, pp. 5-28.
Enrico Musacchio, Il poema epico ad una svolta: Trissino tra modello omerico e virgiliano, in «Italica», vol. 80 2003, n. 3, pp. 334-52.
Claudio Gigante, Un’interpretazione dell’«Italia liberata dai Goti», in Id., Esperienze di filologia cinquecentesca. Salviati, Mazzoni, Trissino, Costo, il Bargeo, Tasso, Roma, Salerno Editrice, 2003, pp. 46-95.
Valentina Gallo, Paradigmi etici dell’eroico e riuso mitologico nel V libro dell’‘Italia’ di Trissino, in «Giornale Storico della Letteratura Italiana», a. CXXI 2004, vol. CLXXXI, fasc. 595, pp. 373-414.
Claudio Gigante, Epica e romanzo in Trissino, in La tradizione epica e cavalleresca in Italia (XII-XVI sec.), a cura di C. Gigante e G. Palumbo, Bruxelles, P.I.E. Peter Lang, 2010, pp. 291-320.
M. Vitale, L'omerida italico: Gian Giorgio Trissino. Appunti sulla lingua dell'«Italia liberata da' Gotthi», Istituto Veneto de Scienze ed Arti, 2010.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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