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Guido Cavalcanti
(✶1258   †1300)

«[…] come del corpo fu bello e leggiadro, come di sangue gentilissimo, così ne' suoi scritti non so che più degli altri bello, gentile e peregrino rassembra, e nelle invenzioni acutissimo, magnifico, ammirabile, gravissimo nelle sentenze, copioso e rilevato nell'ordine, composto, saggio e avveduto, le quali tutte sue beate virtù d'un vago, dolce e peregrino stile, come di preziosa veste, sono adorne.»
(Lorenzo il Magnifico, Opere)

Guido Cavalcanti (Firenze, intorno al 1258 – Firenze, 29 agosto 1300) è stato un poeta italiano del Duecento.

Guido Cavalcanti, figlio di Cavalcante dei Cavalcanti, nacque a Firenze intorno all'anno 1258 in una nobile famiglia guelfa che nel 1260 fu travolta dalla sconfitta di Montaperti. Sei anni dopo, in seguito alla disfatta dei ghibellini nella battaglia di Benevento, i Cavalcanti riacquistano la preminente posizione sociale e politica a Firenze. Nel 1267 a Guido fu promessa in sposa Bice, figlia di Farinata degli Uberti, capo della fazione ghibellina. Da Bice, Guido avrà i figli Tancia e Andrea.

Nel 1280 Guido è tra i firmatari della pace tra guelfi e ghibellini e quattro anni dopo siede nel Consiglio generale al Comune di Firenze insieme a Brunetto Latini e Dino Compagni. Secondo lo storico Dino Compagni a questo punto avrebbe intrapreso un pellegrinaggio a Santiago di Compostela. Pellegrinaggio alquanto misterioso, se si considera la fama di ateo e miscredente del poeta. Il poeta minore Niccola Muscia, comunque, ce ne dà un'importante testimonianza attraverso un sonetto. Il 24 giugno 1300 Dante Alighieri, priore di Firenze, è costretto a mandare in esilio l'amico nonché maestro Guido con i capi delle fazioni bianca e nera in seguito a nuovi scontri. Cavalcanti si reca allora a Sarzana e si pensa che fu allora che scrisse la celebre ballata Perch'i' no spero di tornar giammai. Il 19 agosto gli è revocata la condanna per l'aggravarsi delle sue condizioni di salute (ha forse contratto la malaria). Il 29 agosto muore, pochi giorni dopo essere tornato a Firenze, probabilmente di malaria che aveva preso in esilio.

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È ricordato - oltre che per i suoi componimenti - per essere stato citato da Dante (del quale fu amico assieme a Lapo Gianni) nel celebre nono sonetto delle Rime Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io. Dante lo ricorda, anche, nella Divina Commedia (Inferno, canto X e Purgatorio, canto XI) e nel De vulgari eloquentia, mentre Boccaccio lo cita nel Commento alla Divina Commedia e in una novella del Decameron.

La personalità

La sua personalità, aristocraticamente sdegnosa, emerge dal ricordo che ne hanno lasciato gli scrittori contemporanei: dai cronisti Dino Compagni e Giovanni Villani a novellieri come Boccaccio e Franco Sacchetti. Si legga il ritratto di Dino Compagni:

«Un giovane gentile, figlio di messer Cavalcante Cavalcanti, nobile cavaliere, cortese e ardito ma sdegnoso e solitario e intento allo studio»

La diceria raccolta da Boccaccio (Decameron VI, 9: «Si diceva tralla gente volgare che queste sue speculazioni erano solo in cercare se trovar si potesse che Iddio non fosse»), secondo cui Cavalcanti professava princìpi irreligiosi ed eretici, non è suffragata da prove concrete. Essa va riferita, piuttosto, a un interesse per i problemi filosofici che si collega strettamente anche alla ricerca poetica, come risulta dalla grande canzone dottrinale Donna me prega, certamente il testo più arduo e impegnato, anche sul piano concettuale, di tutta la poesia stilnovistica. Famoso e significativo l'episodio narrato dal Boccaccio di una specie di scherzoso assalto, da parte di una brigata di giovani fiorentini a cavallo, al "meditativo" Guido, che schivava la loro compagnia.

Opere

I componimenti pervenutici di Cavalcanti sono 52, tra cui 36 sonetti, 11 ballate 2 canzoni, 2 stanze isolate e un mottetto. Le forme maggiormente utilizzate sono la ballata ed il sonetto, seguite dalla canzone. In particolare, la ballata appare congeniale alla poetica cavalcantiana, poiché incarna quella musicalità sfumata e quel lessico leggero, che si risolve poi in costruzioni armoniose.

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Temi

I temi delle sue opere sono quelli cari agli stilnovisti; in particolare la sua canzone manifesto Donna me prega è incentrata sugli effetti prodotti dall'amore.

La concezione filosofica su cui egli si basa è l'aristotelismo radicale promosso dal commentatore arabo Averroè (il cui vero nome è Ibn Rushd), che sosteneva la divisione dell'anima dell'essere umano in anima vegetativa (o naturale), anima intellettuale, anima sensitiva.

Dalla prima, che aveva sede nello stomaco, alla seconda che era situata nel cervello, alla terza che era posta nel cuore. A presiedere le funzioni delle anime citate v'erano poi gli spiritelli. Va da sé che, avendo le anime funzioni differenti, solo collaborando esse potevano raggiungere il sinolo, l'armonia perfetta. Istantanea è la deduzione che, colpendo l'amore l'anima sensitiva e squarciandola e devastandola, si comprometteva il sinolo e ne risentiva molto l'anima vegetativa (come si sa l'innamorato non mangia o non dorme). Da qui la sofferenza dell'anima intellettiva che, destatasi per la rottura del sinolo, rimane impotente spettatrice della devastazione. È così che l'innamorato giunge alla morte spirituale. La donna, avvolta come da un alone mistico, rimane così irraggiungibile e il dramma si consuma nell'animo dell'amante.

Rispetto a Guinizzelli e a Dante si nota l'assenza della concezione religiosa; sappiamo da Dante e Boccaccio che Guido Cavalcanti era ateo (il padre, Cavalcante Cavalcanti era considerato un eretico e un simpatizzante dell'epicureismo). La donna infatti non è tramite verso Dio e l'amore, anziché strumento di elevazione dell'anima, è soprattutto angoscia e sbigottimento.

Il poetare di Cavalcanti, dal ritmo soave e leggero che può sembrare banale, nasconde in realtà una grande sapienza retorica. I versi di Cavalcanti possiedono una fluidità melodica, che nasce dal ritmo degli accenti, dai tratti fonici del lessico impiegato, dall'assenza di spezzettature, pause, inversioni sintattiche. Sappiamo inoltre che Cavalcanti, oltre che poeta, fu anche un abile filosofo (scrive Boccaccio: «lo miglior loico che il mondo avesse mai avuto»), ma non ci resta nulla delle sue opere in proposito, ammesso che ne abbia effettivamente scritte.

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Bibliografia

Maria Corti, La felicità mentale: Nuove prospettive per Cavalcanti e Dante, Torino, Einaudi, 1983.
Gianfranco Contini, Cavalcanti in Dante, Torino, Einaudi, 1976.
Antonio Gagliardi, Guido Cavalcanti: poesia e filosofia, Alessandria, Edizioni Dell'Orso, 2001.
Roberto Rea, Cavalcanti poeta: uno studio sul lessico lirico, Roma, Nuova Cultura, 2008.
Corrado Calenda, Per altezza d'ingegno: saggio su Guido Cavalcanti, Napoli, Liguori, 1976.
Noemi Ghetti, L'ombra di Cavalcanti e Dante, Roma, L'Asino d'Oro, 2011.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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