272. quando il confronto è fra due aggettivi o predicati, e avverbii. Andreuccio più cupido che consigliato. Boccaccio. – Mi è più amico che padre. Dimorai più qui che altrove. Meglio tardi che mai.

273. Però cogli avverbii determinati di tempo, oggi, jeri, ora, allora si usa anche di; p. es. Stavo meglio allora di ora; Piove oggi più di jeri.

274. In generale si preferisce che quando di potrebbe sembrare un complemento d’altro genere. Era necessario che l’Italia si riducesse più schiava che gli Ebrei. Machiavelli. – Se avesse detto Più schiava degli Ebrei poteva intendersi che l’Italia fosse tenuta schiava dagli Ebrei. In verso ed anche nel parlare nobile ed elegante si usa più spesso che. Una donna più bella assai che ’l sole. Petrarca. – Pareami ch’ella fosse più che la neve bianca. Boccaccio.

275. Dopo gli avverbii prima, piuttosto, anzi e sim. in senso di preferenza si usa regolarmente che. Sceglierei prima la morte che cotesta vergogna. – Ti parrebbe piuttosto un’isola che una città. Caro.

276. Non si confonda il complemento di comparativo, col complemento di che serve al superlativo e che rientra nei complementi di tutto e parte (vedi capitolo prec. § 16), il quale può anche sostituirai colla prep. fra. Bellissimo fra tutti, ovvero di tutti bellissimo; il più bello di tutti, ovvero il più bello fra tutti (vedi Gr., P. II cap. VIII, § 4).

Duplicazione dei complementi
277. Spesso, massimamente nel parlar familiare o per ragioni di chiarezza e di forza, i complementi locali in senso proprio o figurato e i complem. d’interesse e di compagnia si anticipano o si ripetono, mediante le particelle avverbiali ci, vi, ne o le pronominali gli, le,

278. p. es. qui ci sono io, costà ci andrai tu, non ci entrerò in cotesta casa; ne voglio uscire di questo, impiccio; dal troppo bene fu per morirne; di questa cosa ne sono stanco, ne sono libero, non ne discorro più; con Francesco ci parlerò io; a Giulio gli darò io la ricompensa ecc. – Nè vi potrei dire quanta sia la cera che vi si arde a queste cene. Boccaccio.

279. Se il complemento consiste in un pronome relativo, sia usato come oggetto, sia con preposizione, si suole duplicare più di rado; onde non si direbbe bene al quale gli diedi un pane, nè uno che non l’avea mai veduto, o di cui ne parlai, salvo il caso, che fra l’un termine e l’altro fossero interposte più parole, e la chiarezza del senso e la naturalezza consigliassero la duplicazione. P. es. E vidi cosa ch’io avrei paura senza più pruova di contarla solo. Dante. – Cfr. la P. I, cap. XII, § 14, nota, e vedi al suo luogo la P. III.