436. Invece di nè dopo un verbo preceduto da negazione si pone anche la. cong. disgiuntiva o; p. es. senza parlare o lamentarsi. Non volle mai leggere o scrivere. (Vedi P. I, cap. XXVII, § 4 in fine).

437. Nè per neppure è oggi quasi affatto disusata. Se dell’aspra donzella il braccio è grave, Nè quel del cavalier nemico è lieve. Ariosto.

438. Anche le negazioni relative si usano talvolta in senso assoluto, nei casi seguenti:
??? nelle risposte negative dove il verbo è taciuto; p. es. Hai nulla? Nulla. Hai visto nessuno? Nessuno.

439. quando nulla e niente sono usati come sostantivi nelle frasi ridurre a niente o in niente, aver una cosa per niente o per nulla, un uomo da niente, una cosa da nulla, ed anche nelle frasi esser nulla, esser niente (benchè si dica più spesso non esser nulla, niente). Mi pare che si procaccino di ridurre a nulla la cristiana religione. Boccaccio. – Perchè per ira hai voluto esser nulla? Dante. – Quanto potea s’ajutava, ma ciò era niente. Boccaccio. - L’universo era sepolto nel suo nulla. Segueri:

440. quando tali parole negative sono per una cong. disgiuntiva posposte a poco, molto, tutto e sim.; p. es. Ce n’era pochi o nessuni. Questo è poco o nulla. Dammene molti o nissuno. Io li voglio tutti o nissuno.

441. Fuori di questi casi non si adopererà tal licenza che qualche rara volta per ragioni di stile. Chi vide mai effetto di voler veder troppo, essere il veder nulla? Caro.

442. Gli avverbii mai o giammai, guari, i pronomi alcuno e veruno, e le frasi che se ne posson formare (in alcun modo ecc.) fanno anch’essi da negazioni relative. (Vedi P. I, cap. X, § 21 e 29). Mai e giammai possono preporsi al verbo, anche senz’altra negazione (Vedi cap. XXV, § 20 e 21); ma alcuno e veruno regolarmente si pospongono.

443. Pure alcuno si può talvolta anteporre, sempre però seguito dall’avverbio non. Alcun non (nessuno) può saper da chi sia amato, Quando felice in sulla rota siede. Ariosto. – Era sì bello il giardino e sì dilettevole, che alcuno non (nessuno) vi fu che eleggesse di quello uscire. Boccaccio. – Guari si usa per lo più dopo il verbo. Non v’andò guari, che Tiberio mandò Druso in Illiria. Davanzati.