Tenere in ponte...

Molti lettori — senza saperlo — hanno provato (e provano) sulla loro pelle il senso di quest'espressione in quanto è affine a quella più conosciuta e adoperata, stare sulle corde che significa — come si sa — essere in apprensione, essere in attesa di una risposta, stare tra il sì e il no, insomma stare sul chi vive.
Che cosa c'entra il ponte con la locuzione? Ce lo spiega Ludovico Passarini (il re dei modi di dire): «... presa l'immagine o dal ponte stretto di un'asse di legno sopra l'acque per passarle; od anco, ch'è più probabile, dal ponte levatoio posto nel fossato circondante le antiche rocche; il qual ponte, restando ordinariamente sospeso, non veniva abbassato per dare il passo a un inviato o a persona sconosciuta, se il castellano, o il signore della rocca non lo concedeva. Intanto che questi venisse avvertito, o risolvesse, il forestiere doveva star lì in ponte, ossia era tenuto in ponte ad aspettare col dubbio penoso di vederlo o no calato, e per un tempo più o meno lungo, tirasse vento o piovesse alla dirotta. Lo stare come sospeso nell'uno e nell'altro ponte è situazione penosa; e simile a questa è lo stato di chi aspetta una notizia interessante. Dicesi anche delle cose».
È interessante - in proposito - riportare anche la spiegazione circa l'origine del modo di dire che dà il Minucci, uno dei notisti al Malmantile racquistato (un poema burlesco).
Secondo questi, dunque, l'espressione deriverebbe dall'usanza degli antichi Romani di tenere le ceste (oggi diremmo le urne) per l'elezione dei magistrati sopra alcune tavole che chiamavano pontes: «Il mio voto è ancora nelle ceste, o coperto, e per conseguenza io sono sospeso, ed incero di quel che abbia a essere di me». E conclude (il Minucci) sostenendo che da questa usanza, appunto, è nato il modo di dire che «ci serve poi, questo, detto Tenere uno in ponte per esprimere trattenere uno colle speranze, o con altro secondo il subietto».

24-02-2020 — Autore: Fausto Raso