Coda, codino e... codardo

«L’etimologia, — soleva ripetere il linguista Aldo Gabrielli — è una parola che basta da sola a creare, in chi non fa parte degli addetti ai lavori, un istintivo gesto di ripulsa. (...) Se c’è una scienza gradevole, è proprio questa che tratta della nascita delle parole. Le parole non son nate dal nulla, e han quindi dietro di sé una storia che spesso è un’avventura complessa e imprevedibile».
Una riprova? Subito. Prendiamo in esame tre parole: coda, codino e codardo. Attraverso lo studio dell’origine di questi tre vocaboli, cioè attraverso la loro etimologia, possiamo notare che, oltre all’affinità di suono, hanno in comune una stessa matrice pur avendo ben distinti significati: la coda.
Tutti conosciamo il significato di codardo, se non altro basta aprire un vocabolario e leggere: «chi per viltà d’animo si mette da parte in imprese rischiose e si sottrae al suo dovere; con significato più generico: pusillanime, vile, pauroso». E la coda?
Per trovarla intrinseca nel vocabolo occorre tornare indietro nel tempo e fermarsi al Medio Evo. In quel periodo della nostra storia si usava andare a caccia con il falcone ben ammaestrato a catturare la preda. Quando l’animale stanco e intimorito si rifiutava di levarsi in volo e di eseguire, così, il suo compito, manifestava il suo no abbassando le penne della coda. In questi casi il falcone veniva chiamato codardo (dal francese antico couard).
Con il trascorrere del tempo lo stesso aggettivo venne applicato, per estensione, alla persona che si rifiutava di affrontare pericoli e difficoltà varie. Da codardo è stato coniato il termine codardìa: «paura per cui uno si ritira di fronte al nemico».
Altrettanto interessante la storia del codino che, come tutti sappiamo, è la «treccia di capelli che scendeva dietro la testa» (così chiamata perché assomiglia, per l’appunto, alla coda degli animali) ed era portata dagli uomini nel secolo XVIII o in Cina fino agli inizi del XX secolo (per la cronaca oggi il codino sembra tornato di moda fra gli uomini).
Ciò che non tutti sanno, forse, è che con il termine codino si intende indicare anche una persona retrograda, reazionaria, conservatrice. In questo caso la coda che cosa c’entra? È presto detto. Torniamo, come il solito, indietro nel tempo e fermiamoci al periodo della Rivoluzione francese. Prima dello scoppio della rivoluzione i nobili e le persone appartenenti alle classi sociali elevate usavano portare la parrucca (incipriata, naturalmente) con tanto di codino.
Questa moda fu spazzata via dai rivoluzionari. Le persone, però, che non accettavano i princìpi egualitari della Rivoluzione e rivendicavano l’antica divisione del Mondo in caste (etimo.it) e la legittimità dei privilegi per diritto di nascita, continuarono per alcuni decenni, soprattutto dopo la fine della Rivoluzione e del periodo napoleonico, a seguire l’antica moda.
I re e i nobili, richiamati in patria dai nuovi governi, si presentarono con tanto di parrucca e di... codino. Per costoro non era cambiato nulla, tanto che il termine codino assunse, appunto, il significato di reazionario. Oggi, quindi, potremmo chiamare codino ogni uomo retrogrado, refrattario, cocciutamente legato alle cose passate anche se sorpassate. Nessuno potrebbe meravigliarsi.
Ci siamo accorti però, e concludiamo queste noterelle, che non abbiamo parlato delle varie accezioni che ha il termine coda nei suoi usi figurati. Ripariamo subito.
I lettori poeti, per esempio, sanno benissimo che in metrica si chiama coda il verso o la strofe che viene aggiunta allo schema originario di una composizione: sonetto con la coda o sonetto caudato. I lettori militari sanno che in un esercito la coda è la retroguardia. Potremmo continuare ancora, ma non vogliamo approfittare della vostra squisita pazienza.

26-04-2009 — Autore: Fausto Raso