L'ipersensibilità

Se apriamo un qualunque vocabolario della lingua italiana alle voci sensibilità o sensibile possiamo leggere: «la facoltà, la capacità di percepire sensazioni, di ricevere impressioni attraverso i sensi». Bene.

Ciò che queste modeste noterelle vogliono mettere bene in evidenza è il fatto che molto spesso il sostantivo con il relativo aggettivo (in esame) viene adoperato – anche da coloro che si piccano di fare la lingua – in modo orrendamente errato, vale a dire con un significato che non gli è proprio: sono rimasto molto sensibile alle tue affermazioni.

Poiché siamo stati tacciati (da numerosi lettori) di presunzione linguistica per voler imporre a tutti i costi il nostro punto di vista su questioni glottologiche (che poi è quello condiviso dal gotha dei linguisti italiani), facciamo scendere in campo il glottologo Leo Pestelli, grammatico di indiscussa superiorità in confronto all'umile notista di questo portale. Vediamo, dunque, cosa dice in proposito.


Abbiamo ricevuto il panettone. Che cosa dirLe, commendatore caro, se non che mio marito ed io siamo rimasti molto sensibili alla Sua attenzione?». Facciamo spreco (colpa della nostra tenerezza) dell'aggettivo sensibile; e levato il brutto caso in cui è colto per notevole (progresso, miglioramento sensibile eccetera), quasi sempre nel senso romanticamente rovesciato dal passivo all'attivo.
Passivo è infatti il primo e più proprio significato di quella voce; e vale atto a comprendersi dall'anima col mezzo dei sensi. Cose, qualità sensibili; che si possono percepire, conoscere coll'uso dei sensi. Ma perché le uscite in -ibile e in -abile e simili e in italiano e nel latino, significano, non solo la possibilità passiva, ma anco l'attività, non solo la potenza, ma l'atto e l'abito (Tommaseo), così sensibile può anche valere facile a subito e vivamente sentire.
Molto senziente. Se può! L'Ottocento ci ha inondati di Cuori, Anime sensibili (che a volte, nota il Petrocchi, sono le isteriche); e al nostro secolo codesta accezione è piaciuta tanto da applicarla anche a strumenti e macchine e da averne levato, non solo per comodo dei fotografi, il famigerato verbo sensibilizzare.
Ha lasciato invece al linguaggio culto l'affine sensitivo, che detto di persona è per converso più popolare in Toscana che non altro. «L' son sensitìa», dice la ciana (1) registrata dal Tommaseo; e don Abbondio scansafatiche, parlando di Agnese col Cardinale: «È una donna molto sensitiva».
Ma tornando a bomba, la tolleranza dei linguisti per i vari usi, non prettamente italiani, dell'aggettivo sensibile, non si estende al più gallico di tutti, che è appunto quello della sensibilità ai panettoni. La signora di cui al nostro esempio, invece che d'essere rimasta sensibile all'attenzione del commendatore, può scrivere di averla molto apprezzata, di sentirne tutto il valore, d'essergliene gratissima, e consimili bugiole di lingua italiana; sempre ricordando che i panettoni passano, ma lo scritto rimane.


Ci auguriamo, amici lettori, di essere riusciti, con il magistrale aiuto dell'insigne linguista, a non urtare la vostra sensibilità linguistica.
21-05-2010 — Autore: Fausto Raso