Il sommozzatore

Per scoprire l'origine, vale a dire la nascita linguistica del sommozzatore ci affidiamo all'insigne e rimpianto professor Aldo Gabrielli.

«Questo vocabolo che potrebbe apparire stravagante, e a cui tutti abbiamo fatto l'orecchio, deriva da un verbo dialettale napoletano (è un sostantivo deverbale, quindi, ndr), “sommozzare”, che significa “tuffarsi, andare a fondo” nell'acqua per pescare. Si tratta precisamente della variante dialettale di “soppozzare”, verbo antico, che risale almeno al Trecento.

Questo “soppozzare" discende da un latino popolare supputiare, variante di subputeare, composto di sub, sotto e puteus, pozzo, alla lettera “immergere in un pozzo" e, più genericamente, “immergere, affondare” ... È anche probabile che la variante napoletana “sommozzare” abbia subito l'influsso del sinonimo “sommergere”. “Sommozzatore”, dunque, è colui che “si sommozza”, si cala nell'acqua, si affonda.

Parola di suono strano quanto si voglia, ma di schietta origine italiana; ed è pertanto inutile chiamare questi uomini coraggiosi con un vocabolo preso dall'inglese e direi perfino irrispettoso, “uomini-rana”; ricalcato su frog-man, uomo, “man" e rana, “frog": per via delle pinne ai piedi
».

E dopo questo autorevole Autore c'è qualcuno che preferisce “uomini-rana”, di stampo barbaro, all'italianissimo “sommozzatore"? Chi adopera il termine barbarico lo fa soltanto per mera esterofilia e snobismo linguistico. Sarebbe veramente ora di riscoprire la nostra lingua — ricchissima di vocaboli — e lasciare l'inglese a coloro che, per darsi un tono, infarciscono i loro scritti e i loro discorsi di termini stranieri di cui, molto spesso, non conoscono neppure il significato. Ma tant'è.

18-09-2020 — Autore: Fausto Raso — permalink


Far la veglia del Padella

Ecco un modo di dire — probabilmente poco conosciuto — messo in pratica da tutti coloro che in una discussione non raggiungono mai un accordo oppure si dilungano in chiacchiere sterili senza mai arrivare al dunque.

Per l'origine dell'espressione diamo la parola a Pico Luri di Vassano, al secolo Ludovico Passarini. «Narrano le cronachette del popolino di Firenze, che uno soprannominato il “Padella” volle fare anch'esso la su' veglia la sera di Carnevale, e v'invitò tutto il vicinato. Vennero i sonatori co' loro strumenti, e in mezzo alle chiacchiere della brigata il loro capoccia cominciò ad accordarli. Accorda, accorda, accorda, e non andavano mai all'unisono; sì che non si poté attaccare un ballo. Intanto dalli, dalli, venne il sonno ad occupar le ciglia degl'invitati: e ognuno se ne tornò a casa ridendo e dicendo: “La veglia del Padella è andata a finire in accordature”; e il detto diventò proverbio».

17-09-2020 — Autore: Fausto Raso — permalink


Tenere il campanuzzo

Chissà quanti nostri lettori — pur non conoscendo questo modo di dire — nel corso della loro vita lavorativa e no lo hanno messo in pratica.

Si dice tenere il campanuzzo, infatti, riferito a tutti coloro che vogliono primeggiare in qualcosa, ma soprattutto si adopera nei confronti di coloro che occupano un posto di comando.

La locuzione, ci sembra evidente, è un traslato delle confraternite religiose nelle quali il priore regola tutto a suon di campanuzzo e tutti, naturalmente, obbediscono.

Il modo di dire è ben visibile nella quarta novella della prima cena del Lasca dove, in proposito, possiamo leggere: «Ora accadde che, sendo per la prima volta invitato un giovine, amico di tutti, Dionigi nominato, senza esser poi da nessun altro stato rinvitato, non lasciava mai di non rappresentarsi; e per sorte era il più ignorante e prosuntuoso giovane di Firenze, e colui che i più deboli e sciocchi ragionamenti aveva che uomo del mondo; e per dispetto sempre tener voleva il campanuzzo in mano (...)». • Lasca»

16-09-2020 — Autore: Fausto Raso — permalink