Alleluia, alleluia

Sulla deriva della lingua italiana proponiamo un nostro modesto articolo pubblicato qualche anno fa sulle colonne del quotidiano Il Giornale d'Italia, dove eravamo titolari di una rubrica di lingua. Anche se datato il contenuto dell'articolo ci sembra di una spaventosa attualità.
Finalmente una notizia che potremmo definire "storica" e che attendevamo da tempo: l'Accademia della Crusca lancia un grido d'allarme sulla sciatteria linguistico-grammaticale che inesorabilmente sta dilagando nella lingua italiana scritta. Sotto accusa libri e giornali dove frequenti sarebbero imprecisioni ed errori.
Alleluia, alleluia. Non siamo piú i soli, noi, umili linguaioli, nella battaglia che da tempo combattiamo — da queste colonne — per ridare dignità alla lingua di Dante, un tempo idioma gentil sonante e puro — per usare le parole di Vittorio Alfieri — ridotta dai così detti operatori dell'informazione (soprattutto quelli sfornati dalla scuola odierna) a un'accozzaglia di parole errate maritate a un barbarismo inopportuno.
Nella sua disamina il presidente della Crusca fa l'esempio della e verbo scritta il piú delle volte con l'accento acuto in luogo di quello corretto, che deve essere grave (è). Ancora. «Non di rado — prosegue il numero uno dell'Accademia — si fa confusione fra il se congiunzione e il se pronome personale, al punto che l'accento viene messo dove non va, oppure viceversa e talvolta non appare mai in ogni caso».
Ne approfittiamo per ribadire — ancora una volta — che il pronome deve essere sempre accentato, anche quando è seguito da stesso e medesimo (sé stesso, sé medesimo). La legge scolastica, riportata da alcune grammatiche, secondo la quale se medesimo e se stesso non si accentano è priva di fondamento; è, insomma, una legge arbitraria e, in quanto tale, non va rispettata.
Quanto alla doppia b in parole come obbiettivo o obbiezione — fa notare sempre il presidente della Crusca — «non è un errore, ma è meglio una sola b così i termini appaiono piú vicini alla radice etimologica latina». Alleluia, lo andavamo predicando da anni, unica voce, e sempre inascoltata.
Non sappiamo se nella "denuncia" dell'alto rappresentante della Crusca siano compresi i barbarismi di cui sono infarciti, sempre di piú, gli articoli redatti dai così detti giornalisti che fanno la lingua... Amici della carta stampata e no, basta con l'anglofilia! Adoperate la lingua madre e, possibilmente, in modo corretto.
Tremiamo al pensiero che i giovani che si avvicinano per la prima volta al mondo dei giornali possano leggere frasi del tipo l'aereo è decollato alle 14,30, in cui sono evidenti due strafalcioni: uno mortale, l'altro veniale. L'errore mortale è l'uso dell'ausiliare essere con il verbo decollare; quello veniale è rappresentato dalla virgola che separa l'ora dai minuti.
Fior di giornalisti — come usa dire — ignorano completamente le norme grammaticali che regolano l'uso dei verbi intransitivi che indicano un moto fine a sé stesso. L'aereo ha decollato, questa la sola forma corretta. Quanto alle ore si scrivono separate dai minuti da un punto o da due punti, non dalla virgola perché non si tratta di numeri decimali (14.30 o 14:30).
Queste stesse firme scrivono fidejussione, con tanto di j, ignorando che il termine proviene dal latino classico, che non conosce la j ma solo la normale i: fideiussione. È lo stesso caso di sub judice, che si scrive con la i non con la j.
Che cosa fare allora? La Crusca, per bocca del suo presidente, dice «bisognerebbe che qualcuno avesse autorità di intervenire sugli autori e sulle tipografie in modo da utilizzare un sistema grammaticale omogeneo. Ma in Italia, a differenza della Francia, non esiste nessun organismo che regolamenti la lingua e così se ne subiscono conseguenze negative che influiranno sul patrimonio linguistico».
Ci consenta il presidente della Crusca, non è necessaria (anche se auspicabile) la nascita di un organismo, è sufficiente che la scuola sforni futuri giornalisti che conoscano la lingua, vale a dire che abbiano studiato — con la massima serietà — la grammatica e la sintassi. Purtroppo non è così.
Dobbiamo constatare il fatto che i giovani usciti dalla scuola di oggi non sanno distinguere un avverbio da un aggettivo e confondono l'apostrofo con il troncamento. C'è da dire, però, che la deriva della lingua non è da imputare solo alle nuove leve dei giornali, anche se in queste alberga molta presunzione. Ci sono docenti che insegnano la lingua italiana pur non conoscendola...
Dimenticavamo. Anche "alleluia" si scrive con la "i".

14-07-2020 — Autore: Fausto Raso — permalink


Predicare bene e razzolare male

Siamo stati accusati, da un lettore di questo portale, di appartenere a quella categoria di persone che — come recita il modo di dire — predicano bene e razzolano male. Il nostro mal razzolamento è consistito — secondo il lettore — nell'aver disatteso alcune norme grammaticali. Il lettore non specifica, però, quando, dove e come.
Questo rimprovero ci dà lo spunto, comunque, per trattare dell'origine della locuzione che — come tutti sappiamo — si dice di colui che vorrebbe moralizzare l'umanità facendo ottimi proclami con i quali, però, non accorda le proprie azioni.
Questo modo di dire non è altro che la metafora di un notissimo proverbio: Fare come il gallo che canta bene e razzola male. La piú in gamba razzolatrice del pollaio è, infatti, la gallina che cerca nella terra sassolini e quanto altro può essere utile per costruire il guscio delle uova; mentre il gallo, l'ugola d'oro del cortile, razzola molto di rado e molto... male.
Sarà utile ricordare, forse, che la metafora, in linguistica, è una figura retorica che consiste nell'attribuire a un termine un significato simbolico, diverso dall'accezione propria. Il verbo razzolare, vale a dire raspare il terreno, ci
ha richiamato alla mente un'altra locuzione (che forse sarebbe stata piú propriamente adatta a noi, interpretando le intenzioni del lettore che ci ha contestato): Fare come padre Zappata, che predicava bene e razzolava male. Si dice di
persona virtuosa solo a parole, perché nei fatti dà esempi tutt'altro che... lodevoli.

13-07-2020 — Autore: Fausto Raso — permalink


Molto maggiore? Sì, molto maggiore

È giunto il momento di sfatare una regola — inculcataci ai tempi della scuola — secondo la quale non è corretto adoperare molto davanti ai comparativi maggiore, migliore, minore e simili. È una regola del tutto arbitraria e, quindi, da non seguire.

Molto davanti ai comparativi assume valore avverbiale con il significato di grandemente, in grande misura. Si può benissimo dire, per esempio, il tuo libro è molto migliore del mio, vale a dire è in grande misura meglio del mio.

Una prova del nove? Si può dire quel libro è molto più grande? Sì. Più grande non è un comparativo che equivale a maggiore?

Si attendono smentite

10-07-2020 — Autore: Fausto Raso — permalink