L'aggettivo

Cari amici lettori, permettetemi di presentarmi affinché possiate usufrire di me in modo corretto. Sono l'aggettivo, e di nobili natali, discendo, infatti, dal latino medievale adiectivum (aggiunto), composto di ad (presso) e iacere (gettare); propriamente significo colui che si getta presso; per questo motivo alcuni miei biografi amano definirmi quella parte variabile del discorso che si aggiunge al nome per indicare una qualità o per dargli una precisa determinazione. E sempre per il motivo di essere gettato accanto al nome sono stato diviso in due gruppi: qualificativo, se aggiungo al nome o sostantivo una qualità e determinativo se aggiungo al nome un preciso elemento che ne determini, appunto, la posizione o il possesso.
Prima di farvi degli esempi, per meglio chiarire questi concetti, mi preme rammentarvi che, essendo di aristocratiche origini, non mi piace vedermi sempre appiccicato al nome; spesso la mia aristocratica presenza non è necessaria, per questo adoro moltissimo ciò che di me ha detto Alphonse Daudet: L'aggettivo deve essere l'amante del sostantivo e non già la moglie legittima. Tra le parole ci vogliono legami passeggeri e non un matrimonio eterno. Quando scrivete (o parlate), quindi, non abusate sempre di me.
Tornando a bomba, se io dico una casa bella aggiungo alla casa, cioè al sostantivo, una qualità, vale a dire la bellezza; bella, per tanto, è un aggettivo qualificativo. Se dico, invece, quella casa, specifico quale casa, cioè la determino; quella, quindi, è un aggettivo determinativo. Gli aggettivi determinativi si dividono, a loro volta, in quattro specie: dimostrativi (quella); possessivi (mia); numerali (una) e quantitativi (poco).
Come mio cugino l'avverbio che può stare prima o dopo il verbo, anch'io posso essere collocato prima del sostantivo o dopo, non esiste una legge in proposito: posposto al sostantivo do maggiore spicco alla qualità che si intende mettere in evidenza. È una donna bella ha una sfumatura diversa, infatti, che non è una bella donna. Attenzione ai casi, però, in cui la collocazione dell'aggettivo può creare ambiguità: è una buona donna acquista un significato diverso da è una donna buona. Non finirò mai, dunque, di raccomandarvi di piazzarmi al posto giusto al fine di evitare incresciosi incidenti di percorso nelle vostre relazioni sociali.
Per quanto attiene alla concordanza, in linea di massima, devo essere dello stesso genere e dello stesso numero del sostantivo (o dei sostantivi) cui mi riferisco: il libro è bello; i libri sono belli. Quando sono in compagnia di due o più sostantivi dello stesso genere seguirò, ovviamente, il medesimo genere e sarò plurale: i libri e i quaderni sono belli. Se, però, si tratta di esseri inanimati o di concetti astratti o strettamente affini, di genere singolare, posso restare anch'io singolare.
Mi spiego meglio con alcuni esempi: la franchezza e la generosità romane. Ma anche: la franchezza e la generosità romana. L'aggettivo singolare romana si riferisce tanto a franchezza quanto a generosità. Ancora. Un cappello e un abito nero. Ma anche: un cappello e un abito neri.
E a proposito di colori, si faccia attenzione all'aggettivo marrone perché non è propriamente tale. So benissimo che i più lo considerano un aggettivo e lo concordano, quindi, con il sostantivo cui si riferisce cadendo, però, in un madornale errore. Marrone, dunque, non è un aggettivo come giallo, verde, rosso, nero ecc., ma un sostantivo che significa color del castagno, del marrone e resterà, quindi, invariato: guanti (del color del) marrone; giacca (del color del) marrone; scarpe (del color del) marrone. Nessuno, infatti, si sognerebbe di dire camicie rose; capelli ceneri ma correttamente: camicie rosa (del color della rosa); capelli cenere (del color della cenere). Perché il mio amico marrone deve essere violentato? Dimenticavo: quanto sopra detto vale anche per il mio collega arancione: camicie arancione, non arancioni.
Passo, ora, la parola al Pianigiani che vi illuminerà sull'origine della locuzione che ho adoperato prima: Tornare a bomba.
Cordialmente, il vostro amico Aggettivo

29-03-2021 — Autore: Fausto Raso — permalink


Copricapo, invariabile?

Se non cadiamo in errore, una regola grammaticale stabilisce che il plurale di parole composte con una forma verbale e un sostantivo maschile (singolare) si ottiene modificando il sostantivo: marciapiede, marciapiedi. Abbiamo notato, però, che non tutti i vocabolari concordano su questa regola.
Per quanto attiene al plurale di copricapo, per esempio, alcuni dizionari non riportano il plurale (il che lascia supporre che il plurale si forma secondo la regola su riportata); altri ammettono l'invariabilità (i copricapo) e il plurale normale (copricapi); il Dop, però, specifica che la forma invariata è meno comune.
Il Devoto-Oli compatto, edizione 2006/2007 con Cd-Rom, registra esclusivamente l'invariabilità del termine; lo stesso vocabolario, però, riporta coprifuochi quale plurale di coprifuoco. Non è lo stesso caso di copricapo? Perché due pesi e due misure? Perché, insomma, i copricapo e i coprifuochi?
Ma torniamo un attimo al Dop che — a nostro avviso — confonde un po' le idee per quanto riguarda la formazione di alcuni plurali: copricapo, copricapi; copribusto (invariabile); copricalice (invariabile); coprifuoco, coprifuochi; copriletto (invariabile). Se la regola sopra citata non è errata come si spiega questa anarchia nella formazione di alcuni plurali?
Vediamo, infine, come “la pensano", sempre sul copricapo, alcuni vocabolari: De Mauro, non specifica (quindi variabile); Devoto-Oli, invariabile; Gabrielli, non specifica (quindi variabile); Garzanti, variabile; Sabatini Coletti, non specifica (quindi variabile); Zingarelli, non specifica (quindi variabile); De Agostini, variabile; Sandron, variabile/invariabile; Palazzi, non specifica (quindi variabile).
Una rapida ricerca con Googlelibri, infine, contraddice la maggior parte dei vocabolari privilegiando l'invariabilità del termine: 64.500 occorrenze per “i copricapo" e 13.500 per “i copricapi".

26-03-2021 — Autore: Fausto Raso — permalink


La lingua americana

Con la scoperta del “Nuovo Mondo” (XV secolo) sono entrate nel nostro idioma altre parole perché gli scopritori si trovarono a dover designare gli oggetti, le piante, gli animali, i fenomeni che esistevano nel mondo nuovo e non nel nostro, così parecchi di quei nomi — entrati nel nostro lessico — finirono col diventare comunissimi.
Basti pensare che provengono dall'America le patate, il granturco, i pomodori, i tacchini, i fagioli e le mele. Oggi nessuno, quando va al mercato a comprare un chilo di patate, per esempio, sa di adoperare un americanismo tanto è comune, ormai, questo nome.
E a proposito di piante provenienti dal nuovo mondo, i linguisti di allora si trovarono di fronte a un dilemma: o accettare i nomi adoperati dagli indigeni o coniare nuovi termini. Furono seguite ambedue le strade. Per le patate, per esempio, fu conservato il nome americano un po' alterato; per il pomodoro i linguisti hanno creato un nome nostrano.
Ancora oggi, a distanza di secoli, c'è oscillazione tra le due strade per quanto riguarda il nome di una pianta: il granturco. Chi lo chiama con il nome americano mais, chi con quello italiano granone, frumentone, granturco.
Perché “grano turco” si domanderà — giustamente — qualcuno? La Turchia che cosa c'entra? Nulla, assicurano storici e botanici. Colombo ci fa sapere di aver portato lui stesso i semi di quella pianta in Spagna, di ritorno dal suo primo viaggio americano. Perché turco, dunque? Perché l'aggettivo turco — secondo i vocabolari — va inteso come esotico. Di diverso avviso, invece, il linguista Ottorino Pianigiani.
Provengono dall'America anche i così detti fichi d'India, così denominati perché provenienti dalle Indie (senza specificare se venissero proprio dall'India o dal nuovo mondo che, a causa del suo errore geografico, il grande navigatore riteneva essere l'India).
Annoieremmo i lettori se elencassimo tutti i termini americani entrati a pieno titolo nella nostra lingua, nel Cinquecento e nei secoli successivi, per designare animali e piante, cibi e bevande e altri oggetti di uso comune. Vale la pena, però, citare alcuni nomi di animali di cui si ha conoscenza attraverso gli zoo, come i giaguari, i lama, i nandù, tutti animali che non si sono acclimatati nel vecchio mondo (Europa). Tra le piante citiamo la china e la coca oltre al famoso legno pregiato mogano.
E concludiamo queste noterelle con il “cannibale”, nome adoperato per indicare un antropofago, che in realtà non è che l'uso estensivo del nome proprio di una popolazione delle Antille: Cannibali o Caribi. Bisogna anche ricordare, però, che non tutti gli americanismi entrarono nella nostra lingua subito dopo la scoperta del nuovo mondo, ma nei secoli successivi, a mano a mano che giungevano altre notizie dal... Mondo Nuovo.

25-03-2021 — Autore: Fausto Raso — permalink