Previo e salvo

Riteniamo importante spendere due parole sull'uso distorto — e, quindi, raddrizzarlo — di due aggettivi tanto cari ai nostri burocrati: previo e salvo.
Previo e salvo sono, come dicevamo, due aggettivi e in quanto tali concordano nel genere e nel numero con il sostantivo cui vengono anteposti. Ci capita sovente di leggere in documenti ufficiali — quelli redatti dalla macchina burocratica — frasi tipo “ la documentazione richiesta sarà rilasciata previo domanda scritta ”; oppure “ l'ufficio si riserva il diritto di decidere in merito, salvo eccezioni previste dalla legge ”. Bene. Anzi male, malissimo.
Quel previo e quel salvo sono maledettamente errati perché non sono avverbi — che rimangono, ovviamente, invariati — ma aggettivi, di conseguenza devono concordare con il sostantivo. La forma corretta deve essere, per tanto, previa domanda scritta e salve eccezioni.
Previo, insomma, dal latino prae (prima) e via (strada), significa inviato prima , quindi che precede, precedente.
Precedente (o previo ), dunque, non è un aggettivo? Per quale motivo debba essere considerato alla stregua di un avverbio resta un mistero eleusino. Confidiamo in qualche solone della lingua: che ci illumini in merito. Noi, più modestamente, consigliamo agli amanti del bel parlare e del bello scrivere — per non sbagliare — di non scomodare questo nobile aggettivo in locuzioni assolute tipo previo avviso e simili.
Discorso pressoché identico per quanto attiene all'aggettivo salvo. Questo vocabolo — che è un aggettivo, ripetiamo — adoperato in costruzione assoluta è forma ellittica e sta per a condizione che sia salvo.
Va da sé, dunque, che deve prendere il genere e il numero del sostantivo che lo segue. In base a questa legge linguistica occorre dire — per tornare all'esempio sopra citato — [fatte] salve [le] eccezioni previste dalla legge perché è la forma ellittica di [ a condizione che siano] salve [le] eccezioni.
Pedanteria? No, a nostro modo di vedere: uso corretto della lingua di Dante.

08-08-2018 — Autore: Fausto Raso — permalink


Il tartarismo

Occupiamoci di una parola omografa e omofona, di una parola, cioè, che ha la medesima grafia (omografa) e il medesimo suono (omofona), ma distinte origini (etimologia) e distinti significati (semantica): tartaro (da cui il titolo neologico tartarismo).
Tartaro, dunque, ha diversi significati; quello, probabilmente, meno noto ai più è «luogo di tormento — dove, secondo la mitologia — «furono precipitati i Titani per mano di Giove» e in seguito passato a indicare l'Inferno in cui vengono condannati i colpevoli. L'etimologia di questa prima accezione è incerta; si fanno solo ipotesi. Quella che ci sembra più veritiera si rifà alla voce gaelica tartar, confusione, strepitìo. L'Inferno non è un luogo di confusione?
L'altra accezione nota a tutti è « colui che appartiene a una razza mongolica guerriera e nomade originaria dell'odierna Mongolia». Con questo significato è in uso anche la forma tàtaro, preferita per indicare le attuali popolazioni.
L'origine del nome, secondo il DELI, è l'aggettivo mongolico tatari, balbuziente, su cui subì l'accostamento con tartaro, inferno, quasi stirpe d'Inferno, quindi. La salsa tartara, tanto amata dalle così dette buone forchette, è — sempre secondo il DELI — la traduzione del francese sauce(à la) tartare, nome di fantasia vagamente riferito alla predilezione che i popoli primitivi avevano per gli aromi forti.
E concludiamo con il significato principe del termine tartaro: incrostazione di color bruno scuro che il vino lascia come deposito nelle botti, il cui componente principale è l'acido tartarico, chiamato comunemente cremor di tartaro. Ma anche «incrostazione giallastra che si forma alla radice dei denti, o tra questi, allorché non vengono costantemente puliti, per deposito di sali di calcio o di squame di cellule morte della mucosa orale».
Anche l'etimologia di queste ultime accezioni è quanto mai incerta. Alcuni autori la connettono all'arabo durd, pronunciato volgarmente turt o turti e voce trasportata e cambiata nel latino medievale dagli alchimisti in tartaru(m), sedimento, deposito, feccia dell'olio e del vino . Di qui sarebbe passata a indicare, per estensione, feccia dentaria , quindi… tartaro.

07-08-2018 — Autore: Fausto Raso — permalink


A ciascuno il suo...

Pregiatissimo Direttore,

    siamo due cugini che appartengono a una delle nove parti del discorso, ci rivolgiamo a lei in quanto si è sempre mostrato sensibile ai problemi della lingua; per questo la preghiamo di voler pubblicare questa lettera aperta agli amanti del bel parlare e del bello scrivere affinché ci usino in modo corretto.
Siamo Ciascuno e Ognuno, siamo cugini, abbiamo lo stesso sangue per parte di padre (il latino) ma non per questo possiamo essere adoperati indifferentemente. Per questo motivo, appunto, abbiamo deciso di rivolgerci a lei per spiegare, con questa lettera aperta e una volta per tutte, le nostre ragioni. A ciascuno il suo, dunque.
Cominciamo con Ciascuno. Questo può essere tanto aggettivo quanto pronome indefinito e viene dal latino volgare quisque e unus, non ha plurale, ovviamente, e indica una totalità di persone o cose riferendosi, però, a uno a uno ai singoli elementi che la compongono (la totalità) ed equivale, insomma, a ogni.
Quando è in funzione di aggettivo deve sempre precedere il nome: ciascun libro; ciascuna penna; ciascun uomo. Come si evince dagli esempi, nella forma maschile si può troncare ma mai apostrofare; l'onore dell'apostrofo spetta solo al femminile: ciascun'amica. Quando assume la funzione di pronome significa tutti o uno per uno con valore distributivo o partitivo: impartì gli ordini a ciascuno; Piero ha litigato con ciascuno di loro.
Da notare, in proposito, che quando Ciascuno pronome è usato con valore distributivo non necessariamente deve essere preceduto dalla preposizione per: regalai centomila euro a ciascuno o per ciascuno. La scelta di accompagnare il pronome con la preposizione per dipende esclusivamente dal gusto stilistico dello scrivente o del parlante. Da evitare, tassativamente, la forma familiare o dialettale Ciascheduno, anche se non mancano esempi (negativi) di alcune cosiddette grandi penne.
E veniamo a Ognuno. Cominciamo con il mettere bene in evidenza la diversità, fondamentale, con Ciascuno. Ognuno , a differenza del cugino Ciascuno, è solo pronome e riferibile a persone (non a cose. Alcuni linguisti e alcuni vocabolari consentono la possibilità di riferirlo anche a cose ma è un uso, a nostro modo di vedere, se non errato, improprio).
Sotto il profilo etimologico, infatti, Ognuno viene da ogni e uno (pronome indefinito riferito a persona non altrimenti determinata) e significa ciascuna persona, tutti. Ognuno, per tanto, può sostituire una persona, non una cosa.
Come Ciascuno non ha il plurale e come quest'ultimo indica la totalità indefinita (per questo motivo molti lo confondono con Ciascuno e lo fanno anche aggettivo) però, a differenza di Ciascuno, distingue maggiormente ogni unità che fa parte dell'insieme perché ha un valore più marcatamente distributivo: lo fa ognuno, vale a dire lo fanno tutti (il fare è distribuito fra tutti); ognuno ha i suoi problemi, cioè i problemi sono distribuiti fra tutti.
Con la speranza di aver fatto un po' di chiarezza, ringraziamo il Direttore per la sua squisita ospitalità e a voi, gentili amici lettori, auguriamo un mondo di bene.
I vostri affezionatissimi amici

Ciascuno e Ognuno

06-08-2018 — Autore: Fausto Raso — permalink