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Andrea Perrucci
(✶1651   †1504)

Andrea Perrucci, alias Casmiro Rugiero Ocone o Enrico Preudarca (Palermo, 1º giugno 1651 – Napoli, 6 maggio 1704), è stato un drammaturgo, librettista e gesuita italiano, autore e teorizzatore della commedia dell'arte, attivo anche nel teatro religioso. Fu anche, con esiti modesti, poeta in latino e in vari idiomi vernacolari.

Andrea Perrucci nacque a Palermo, nel Regno di Sicilia, figlio di Francesco Perrucci, un ufficiale della Squadra marittima, e di Anna Fardella, una nobildonna trapanese, appartenente ad uno dei più antichi ed illustri casati isolani. Visse a Napoli sin dall'adolescenza, dove avviò gli studi di Gramatica presso i Gesuiti, studiò poi con i Frati Predicatori e quindi diritto civile e diritto canonico con Pulcarelli e de Philippis, acquisendo il titolo di Utriusque Iuris Doctor (V.I.D.) presso il Collegio napoletano dei dottori. I suoi studi furono un po' contrastati dalla opposizione del padre, che si esprimeva nelle parole del genitore nella Tristia di Ovidio: studium quid inutile temptas? (trad. "perché tenti uno studio inutile?"), dalla cattiva salute, e dalle avversità della vita. Ritornò per un po' in Sicilia per cercare, inutilmente, di rientrare in possesso dei beni di famiglia Per la delusione patita, Perrucci farà ritorno a Napoli senza mai più rimetter piede nella terra che gli diede i natali.

Tra i primissimi letterati, a Napoli, che si dedicarono al melodramma, Perrucci fu il primo nel Regno a cimentarsi come librettista, arte alla quale si dedicò in più riprese, manifestando una particolare e stravagante vena creativa che sortì l'effetto di risvegliare l'interesse di altri autori, dando impulso alla nascita dell'opera buffa.

Come autore teatrale, Perrucci è ricordato soprattutto per La Cantata dei pastori, l'opera sua più fortunata, di cui per secoli si è perpetuata la tradizione rappresentativa nei teatri popolari in occasione del Natale. Al suo lavoro di teorico, invece, si deve il notevole trattato Dell'arte rappresentativa, premeditata e all'improvviso, in cui egli si occupava del genere improvvisativo, tramandandoci così un'importante testimonianza scritta sul genere teatrale della commedia dell'arte.

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Dottore in diritto canonico e civile (Utriusque Iuris Doctor), Perrucci fu segretario dell'Accademia dei Rozzi (Napoli)|Accademia dei Rozzi di Napoli, della palermitana Accademia dei Raccesi e membro dell'Accademia dei Pellegrini a Roma. Fu censore promotoriale degli Spensierati di Rossano.

Fu membro dell'Accademia dei Raccesi di Palermo e quindi della napoletana Accademia dei Rozzi, frequentata da Biagio Cusano, della quale fu anche segretario. Fu anche accademico dei Pellegrini a Roma, con il nome di Rolmidero dell'Oreto.

Fu per molti anni poeta del teatro degli Armonici di San Bartolomeo eletto da vari viceré di Napoli, Fernando Fajardo y Álvarez de Toledo Marchese de los Vélez, Gaspar Méndez de Haro marchese di El Carpio, Francisco de Benavides conte di Santisteban, e dal Gran Connestabile del Regno Filippo II Colonna.

La Cantata dei pastori

È noto principalmente per il dramma sacro Il vero lume tra le ombre, ovvero la spelonca arricchita per la nascita del verbo incarnato (o La nascita del verbo umanato), meglio nota come La Cantata dei pastori, scritta nel 1698, sotto lo pseudonimo di Casimiro Ruggiero Ugone. L'opera, articolata in tre atti di notevole durata, fu portata in scena l'anno successivo e nei due secoli successivi poté godere di una notevole fortuna nei teatri popolari napoletani, venendo regolarmente rappresentata nella Notte di Natale, fino all'Ottocento, con una tradizione popolare che è viva e si rinnova ancor oggi.

Dell'arte rappresentativa, premeditata e all'improvviso

Fu autore del notevole trattato Dell'arte rappresentativa, premeditata e all'improvviso, importante opera teorica sulla rappresentazione teatrale e sui metodi di lavoro della Commedia dell'arte, alla quale egli stesso si era dedicato anche se, come egli tiene a precisare, solo per diletto con gli amici e non per professione.

Scritto nel 1699, il trattato contribuì alla disciplina e alla sistematizzazione del genere improvvisativo.

L'opera, infatti, non può essere semplicemente considerata come un'importante summa teatrale dello stato dell'arte di quel genere comico, peraltro l'unica del genere, ma deve essere valutata appieno nel suo intento 'prescrittivo', programmaticamente dichiarato dall'autore:

«Io però se prendo a dar norma d'arte rappresentativa, mi protesto di quella voler scrivere, che chiamò Tullio: Imitatio vitae, speculum consuetudinis, imago veritatis; e che serva ad morum salubrem expurgationem, come autenticò lo Stagirita, che vaglia ad erudire le menti, a far detestare i vizii, ad abbracciare le virtù, con portare sulle scene, gli esempi dell'enormità punite, e dell'azioni gloriose premiate»
(Dell'arte rappresentativa, premeditata e all'improvviso, pp. 8-9)

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Perrucci, con il suo scritto, è testimone delle difficoltà in cui versava il genere alla sua epoca, per l'inaridimento delle idee, delle invenzioni e delle trovate sceniche.

Al centro delle sue preoccupazioni era la sopravvivenza stessa del teatro, la cui sostenibilità sociale e morale egli voleva fondare sulle prospettive di un'arte in grado di trasmettere modelli educativi ed esemplari, un ruolo potenziale che egli voleva garantire attraverso una forma di istituzionalizzazione.

Il carattere 'normativo' dell'opera fornì una base al processo di canonizzazione del genere improvvisativo, precisando le regole alle quali doveva sottostare l'utilizzo in scena di testi, canovacci, e repertori di trovate e lazzi. Seppur indirettamente, la volontà normativa di Perrucci favorì inconsapevolmente il processo di 'omologazione' e impoverimento dell'"improvvisa", un fenomeno che accompagnò e causò, al tempo stesso, il declino di quel genere teatrale..

Fioritura a Napoli della vena comica operistica

La vena creativa di Perrucci, con i suoi libretti «ampollosi e strani» ebbe l'effetto di risvegliare la vita musicale del Regno di Napoli: non appena iniziò a comporre i suoi "poveri melodrammi", altri artisti si affollarono attorno a lui. Francesco Maria Paglia e Silvio Stampiglia di Civita Lavinia riempiono le sale dei teatri napoletani con le loro opere bizzarre, in cui l'esagerazione si allea con la naturalità, e le invenzioni più stravaganti alle osservazioni del vero. Fu così a Napoli, ancor più che a Venezia, che la vena comica e buffa andò a fiorire, insinuandosi nelle trame dell'opera seria.

Fu autore di recitativi, serenate, canzoni e librettista di vari oratori in musica: L'Arca del Testamento in Gerico (1704, Napoli) Il zelo animato ovvero il Sant'Elia profeta (1733, Napoli), musicati da Francesco Mancini (1672-1737); Il Gedeone di Nicola Porpora.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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