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Gaetano Salvemini
(✶1873   †1957)

Gaetano Salvemini (Molfetta, 8 settembre 1873 – Sorrento, 6 settembre 1957) è stato uno storico, politico e antifascista italiano

«Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti: cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci in guardia contro di esse e mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità. L'imparzialità è un sogno, la probità è un dovere.»

(Gaetano Salvemini, Prefazione a Mussolini diplomatico, Éditions Contemporaines, Paris 1932; nuova edizione Laterza, Bari 1952)


Laurea e insegnamento

Laureatosi in lettere a Firenze nel 1896, inizialmente si dedicò alla storia medioevale sotto la guida dello storico Pasquale Villari dimostrandosi uno dei migliori giovani storici. Dopo aver insegnato latino in una scuola media di Palermo, fu professore di Storia e Geografia dal 1896 nel Liceo Torricelli di Faenza e dal 1898 nel liceo classico "Pietro Verri" di Lodi.

A soli ventotto anni ottenne la cattedra di Storia moderna a Messina (1901). Qui nel 1908 a causa del catastrofico terremoto perse la moglie, i cinque figli e la sorella, rimanendo l'unico sopravvissuto di tutta la sua famiglia; aveva 35 anni. Successivamente insegnò all'Università di Pisa e infine a quella di Firenze. Tra i suoi allievi vi furono Carlo Rosselli, Ernesto Rossi e Camillo Berneri.

Nella città peloritana fu membro dell'Accademia Peloritana dei Pericolanti.

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Socialista federalista

Aderì al Partito Socialista Italiano e alla corrente meridionalista, collaborando, dal 1897, alla rivista Critica Sociale, mostrandosi tenace sostenitore del suffragio universale e del federalismo, visto come unica possibilità per risolvere la questione del Mezzogiorno, cercando di condurre su posizioni meridionaliste il movimento socialista e insistendo sulla necessità di un collegamento tra operai del nord e contadini del sud, sulla necessità dell'abolizione del protezionismo e delle tariffe doganali di Stato (che proteggono l'industria privilegiata e danneggiano i consumatori), e della formazione di una piccola proprietà contadina che liquidasse il latifondo.

Salvemini denunciò il malcostume politico e le gravi responsabilità di Giolitti (dissesto della Banca Romana) con il libro: "Il ministro della mala vita" (1910). Esponente della corrente meridionalista del PSI, si scontrò sui temi sopra citati con la corrente maggioritaria di Filippo Turati, alimentando il dibattito interno al partito. In seguito però a una mancata manifestazione del partito contro lo scoppio della guerra italo-turca (1911), uscì dal partito socialista.

Portò avanti la sua battaglia federalista fondando, nel dicembre 1911, un periodico, denominato L'Unità, in quanto per lui la vera unità italiana doveva essere realizzata con l'autonomia e il federalismo. Salvemini diresse L'Unità fino al 1920; nello stesso periodo lavorò al progetto di fondare un nuovo partito, meridionalista, socialista nei fini di giustizia e liberale nel metodo, contro ogni privilegio: la Lega Democratica per il rinnovamento della politica nazionale.

Contro gli austriaci

Nel 1914 mantenne posizioni interventiste, dichiarandosi convinto del carattere "anacronistico" degli imperi austro-ungarico e tedesco e auspicandone la distruzione, nell'interesse dell'Italia. Salvemini fu insomma uno dei capofila del cosiddetto interventismo democratico, che giustificava la guerra da posizioni "di sinistra": in nome cioè dell'ostilità all'antico ordine e in funzione dell'autoaffermazione dei popoli. Un'impostazione, questa, in linea con quella del presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, fautore dell'entrata in guerra degli Stati Uniti a fianco delle potenze dell'Intesa.

Sul finire della guerra Salvemini espresse però la propria delusione per la mancata realizzazione delle speranze in un superamento delle rivalità antipopolari tra gli Stati e in una partecipazione democratica dei popoli alle decisioni dei governi.

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Deputato antifascista

Eletto deputato nel 1919, con l'avvento del fascismo si schierò subito contro Mussolini. Strinse un profondo sodalizio ideale e politico con i fratelli Carlo Rosselli e Nello Rosselli e con Ernesto Rossi, che videro in lui un comune maestro. Non partecipò alla Secessione dell'Aventino (1924). Nel 1925 fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce, mentre nello stesso anno Salvemini, i due Fratelli Rosselli e Nello Traquandi fondarono a Firenze un giornale antifascista clandestino, il Non Mollare.

Il processo e l'esilio

Arrestato a Roma dalla polizia fascista l'8 giugno del 1925, successivamente, dopo esser stato processato insieme con Ernesto Rossi, poté godere di un'amnistia e in agosto si rifugiò clandestinamente in Francia. Qui raccolse elementi per la pubblicazione, nel 1927 a New York e Londra nel 1928, di The Fascist Dictatorship in Italy: egli «sin dall’agosto del 1925 aveva trafugato fuori dall’Italia una copia della requisitoria del Pubblico Ministero nell’inchiesta del Senato sulle accuse mosse da Giuseppe Donati contro il direttore generale della pubblica sicurezza generale De Bono, riuscì ad ottenere nel 1926 da G. E. Modigliani e Umberto Zanotti-Bianco la copia dell’istruttoria del processo Matteotti promosso dalla Corte d’Appello di Roma. Dopo averli utilizzati per il suo libro The Fascist Dictatorship pubblicato a Londra nel 1928, Salvemini depositò quei documenti presso la biblioteca della London School of Economics dove sono ancora oggi a disposizione degli studiosi».

A Parigi fu poi raggiunto dai fratelli Rosselli e nel novembre del 1929 fu tra i fondatori del movimento Giustizia e Libertà (GL), nato per iniziativa dei fratelli Rosselli e di altri intellettuali democratici tra cui Emilio Lussu, Alberto Tarchiani, Francesco Fausto Nitti e Alberto Cianca. Gruppi di GL si formarono in Italia soprattutto tra studenti universitari. Molti degli aderenti di GL (tra cui Ernesto Rossi, Ferruccio Parri, Leone Ginzburg) furono arrestati e condannati a lunghe pene detentive.

Salvemini si trasferì poi in Gran Bretagna, dove fu protagonista di una dura polemica con George Bernard Shaw.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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