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Gian Domenico Romagnosi
(✶1761   †1835)


E ancora nel Dell'indole e dei fattori dell'incivilimento, con esempio del suo risorgimento in Italia si pone il problema di quale sia il motore del progresso umano nella storia: la tesi è che la società umana è l'organismo fattore di progresso, essendo in sé dotata di forze agenti in particolari condizioni storiche e ambientali. Lo sviluppo civile, suddiviso dal Romagnosi in quattro periodo, l'epoca del senso e dell'istinto, l'epoca della fantasia e delle passioni, l'epoca della ragione e dell'interesse personale e l'epoca della previdenza e della socialità, vede un costante trasferimento, agli organismi pubblici rappresentativi, delle funzioni sociali come se la natura si trasferisse progressivamente nella funzione rappresentativa.

Il punto d'arrivo della civiltà è una forma sociale in cui prevalgono la proprietà e il sapere. Tale processo non è lineare tanto che, per esempio, il diritto romano e l'etica cristiana si affermarono in condizioni civili arretrate ma come una macchina i cui meccanismi migliorano nel tempo, la sua azione progressivamente perfezionata fa sorgere dal fondo delle potenze attive un sempre nuovo modo di riazioni e quindi di effetti variati. L'incivilimento appare così una cosa complessa risultante di molti elementi e da molti rapporti formanti una vera finale unità simile a quella di una macchina, la quale scindere non si può senza annientarla. Il motore di siffatta macchina è il commercio, sviluppato a sua volta dal progresso dello stato sociale.

Guardando allo sviluppo storico nazionale, Romagnosi vede nel Medioevo l'epoca in cui la città diviene luogo di aggregazione di possidenti, artisti, commercianti e dotti, favorendo le condizioni per la nascita dello Stato moderno anche se ai Comuni medievali mancò uno spirito politico nazionale perché presero la strada dal ramo industriale e commerciale per giungere al territoriale. Essi dunque ripigliarono l'incivilimento in ordine inverso. In quest'ordine trovarono i più gravi ostacoli…avendo dovuto separare la professione delle armi da quella delle arti e della mercatura. Per questo bisogna sempre porsi il problema di un corretto modo di sviluppo e ora, nella società industriale, l'incivilimento è una continua disposizione delle cose e delle forze della natura preordinata dalla mente ed eseguita dall'energia dell'uomo in quanto tale disposizione produce una colta e soddisfacente convivenza.

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Nella Collezione degli articoli di economia politica e statistica civile si trova espressa la fiducia nella sviluppo capitalistico e nella libera concorrenza economica, difesa contro le tesi del Sismondi che vede nello sviluppo industriale una spaventosa sofferenza in parecchie classi della popolazione. Per Romagnosi, i poteri pubblici devono far rispettare le corrette regole della libertà di concorrenza, cosa che non avviene in Inghilterra dove ora si favorisce il popolo contro i mercanti, ora i possidenti e i mercanti contro il popolo e intanto si applica ancora il protezionismo; è inoltre un paese in cui non si applica il diritto romano, fonte di equità civile e la mentalità empirica degli inglesi non consente loro di prevedere ma solo di constatare i fatti.

In altri articoli polemizza col Saint-Simon, dottrinario che ostacola la libera concorrenza, assegna ogni ramo d'industria a guisa di privilegio personale, favorisce il popolo miserabile contro i produttori e abolire il diritto di eredità. I saintsimoniani vogliono far lavorare e poi lavorare senza dirmi il perché. Progresso non è che lavoro. Questo è l'ultimo termine, questo è il premio; l'uomo, secondo Saint– Simon, dovrebbe sempre progredire lavorando con una indefinita vista e senza stimolo, ma per Romagnosi, voler far progredire l'industria e il commercio col togliere la possidenza è come voler far crescere i rami col distruggere il tronco. Per Romagnosi la proprietà ha un carattere naturale e poiché, come s'è visto, la natura è la base di ogni società, negare la proprietà significa distruggere ogni possibilità di convivenza civile.

Il pensiero filosofico

Romagnosi, partendo dalla sua vasta esperienza giurisprudenziale e politica, auspica una nuova forma di filosofia civile, una scienza che studi forme e condizioni dell'incivilimento storico delle nazioni, scoprendo la legge massima e unica delle vicende politiche, sociali e culturali dei popoli.

Riguardo al problema gnoseologico, per Romagnosi la conoscenza proviene dai sensi ma la sensazione non è di per sé ancora conoscenza, la quale si ottiene solo quando l'intelletto ordina e interpreta le sensazioni secondo proprie categorie, definite logìe, con cui diamo segnature razionali alle segnature positive. Egli chiama compotenza questa mutua concorrenza di sensazioni provenienti dall'esterno e di elaborazione della nostra mente.

Le logìe non sono idee già formate nel momento della nostra nascita, ma a loro volta sono il risultato della riflessione operata sull'esperienza empirica: sono dunque a posteriori rispetto alle sensazioni passate e a priori rispetto alle sensazioni attuali. Pertanto la conoscenza è in definitiva un a posteriori con un contenuto base empirico.

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Ma cosa conosciamo in realtà? I sensi non danno conoscenza delle cose in sé, ma di ciò che percepiamo delle cose; conosciamo le rappresentazioni che ci formiamo delle cose. Se i fenomeni non sono copie esatte del reale, tuttavia ne sono segni a cui corrispondono in natura esseri reali e pertanto le cose esistono fuori di noi, non sono creazioni di un Io trascendentale.

Non essendoci evidentemente posto per una metafisica nella sua costruzione filosofica, fu attaccato dagli spiritualisti e in particolare dal Rosmini. Il Romagnosi può a buon diritto essere considerato il precursore del positivismo italiano.

Classicismo e Romanticismo

Il Romagnosi considerò la contrapposizione di classico e romantico – nata nell'immediatezza della Restaurazione e trascinatasi per oltre un ventennio con implicazioni letterarie, linguistiche e anche politiche - come impropria, cercando di dare una soluzione alla controversia attraverso la sua concezione ilichiastica, cioè relativa al tempo, della letteratura, secondo la quale le opere letterarie sono consoni all'età e al gusto di un popolo, e suggerì che le opere contemporanee dovessero corrispondere sempre al pensiero moderno di un popolo. L'ilichiastismo del Romagnosi si rifà in sostanza alle sue concezioni sulla formazione delle civiltà storiche.

Così espose la sua dottrina nell'articolo Della Poesia, considerata rispetto alle diverse età delle nazioni, sul Conciliatore del 10 settembre 1818:

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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