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Giovanni Boccaccio
(✶1313   †1375)

L'intermezzo ravennate e forlivese (1347-1348)
Tra il 1345 e il 1346 Boccaccio risiedette a Ravenna, presso la corte di Ostasio da Polenta, presso il quale tentò di ottenere qualche incarico renumerativo e dove portò a compimento la volgarizzazione della terza e della quarta decade dell'Ab Urbe Condita di Tito Livio, dedicandolo al signore ravennate. Fallito questo proposito, nel 1347 Boccaccio si trasferì a Forlì alla corte di Francesco II Ordelaffi. Qui frequentò i poeti Nereo Morandi e Francesco Miletto de Rossi, detto Checco, col quale mantenne poi amichevole corrispondenza sia in latino che in volgare. Tra i testi di questo periodo, si deve citare l'egloga Faunus, in cui Boccaccio rievoca il passaggio a Forlì di Luigi I d'Ungheria (Titiro, nell'egloga), a cui si unisce Francesco Ordelaffi (Fauno, appunto), diretto verso Napoli. Il componimento viene poi incluso dal Boccaccio nella raccolta Buccolicum Carmen (1349-1367).

La peste nera e la stesura del Decameron
Nonostante questi soggiorni, Boccaccio non riuscì ad ottenere i posti desiderati tanto che, tra la fine del 1347 e il 1348, fu costretto a ritornare a Firenze. Il ritorno del Certaldese, però, coincise con la terribile "peste nera" che contagiò la stragrande maggioranza della popolazione, causando la morte di molti suoi amici e parenti, tra cui il padre e la matrigna. Fu però durante la terribile pestilenza che Boccaccio elaborò quello che sarà la base narrativa della novellistica occidentale, cioè il Decameron, che probabilmente completò nel 1351.

Boccaccio e Petrarca

Gli anni '40 e l'ammirazione per Petrarca
Boccaccio sentì parlare di Petrarca già durante il soggiorno napoletano: grazie a padre Dionigi (arrivato a Napoli nel 1338) e, forse, a Cino da Pistoia, Boccaccio poté avere notizia di questo giovane prodigioso residente ad Avignone. Ritornato a Firenze, la conoscenza con Sennuccio del Bene ed altri vari ammiratori fiorentini (Lapo da Castiglionchio, Francesco Nelli, Bruno Casini, Zanobi da Strada e Mainardo Accursio) contribuirono nell'animo del Certaldese a rinsaldare quella che prima era una curiosa attenzione, fino a farla diventare una passione viscerale nei confronti di quest'uomo che, pudico, austero e grande poeta, avrebbe potuto risollevare il Boccaccio dallo stato di decadenza.

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In questo decennio Boccaccio realizzò alcune composizioni celebrative di Petrarca: la Mavortis Milex del 1339, elogio nei confronti della persona di Petrarca capace di salvarlo dalla sua degradazione morale; il Notamentum, scritto dopo il 1341 col fine di celebrare Petrarca come il primo poeta laureato a Roma dopo Stazio, come Virgilio redivivo, come filosofo morale alla pari di Cicerone e di Seneca; ed infine la De vita et moribus domini Francischi Petracchi, scritta prima del 1350 e ricalcante l'esaltazione del Notamentum, un vero e proprio tentativo di «canonizzazione» dell'Aretino. Grazie alla loro frequentazione, Boccaccio poté raccogliere nella sua “antologia petrarchesca” i carmi che Petrarca scambiava con i suoi discepoli, tra cui i carmi tra il Casini e il poeta laureato, cercando così di appropriarsi della cultura che il Certaldese tanto ammirava.

L'incontro con Petrarca nel 1350
L'incontro "fisico" con il grande poeta laureato poté avvenire quando questi, in occasione del Giubileo del 1350, si accinse a lasciare Valchiusa, dove si era rifugiato a causa della grande peste, per andare a Roma. Lungo il tragitto Petrarca, d'accordo con il circolo degli amici fiorentini, decise di fermarsi per tre giorni a Firenze a leggere e spiegare le sue opere. Fu un momento di straordinaria intensità: Lapo da Castiglionchio donò a Petrarca la Institutio oratoria di Quintiliano, mentre Petrarca in seguito invierà loro la Pro Archia, scoperta anni prima nella biblioteca capitolare di Liegi.

La conversione all'umanesimo (1350-1355)
Dal 1350 in avanti nasce un rapporto profondo tra Boccaccio e Petrarca, che si concretizzerà negli incontri degli anni successivi, durante i quali avvenne gradualmente, secondo un termine coniato dal filologo spagnolo Francisco Rico, la "conversione" del Boccaccio al nascente umanesimo. Boccaccio, fin dalla sua prima giovinezza a Napoli, era entrato in contatto con ricche biblioteche, tra le quali spiccava sicuramente quella del monastero di Montecassino, ove erano custoditi numerosissimi codici di autori pressoché sconosciuti nel resto dell'Europa occidentale: tra questi, Apuleio, Ovidio, Marziale e Varrone. Fino all'incontro con Petrarca, però, Boccaccio continuò a vedere i classici nell'ottica della salvezza cristiana, deformati rispetto al loro messaggio originario ed estraniati al contesto in cui furono composti. I vari incontri con il poeta laureato, mantenuti costanti attraverso una fitta corrispondenza epistolare e l'assidua frequentazione degli altri protoumanisti, permisero a Boccaccio di sorpassare la mentalità medievale e di abbracciare il nascente umanesimo.

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Nel giro di un quinquennio Boccaccio poté avvicinarsi alla mentalità di colui che diverrà il suo preceptor, constatando l'indifferenza che questi nutriva per Dante e l'ostentato spirito cosmopolita che spinse il poeta aretino a rifiutare l'invito del Comune di Firenze di assumere il ruolo di docente nel neonato Studium e ad accettare invece, nel 1353, l'invito di Giovanni II Visconti, acerrimo nemico dei fiorentini. Superata la crisi dei rapporti per il voltafaccia di Petrarca, Boccaccio riprese le fila delle relazioni culturali tra lui e il circolo degli amici fiorentini, arrivando alla maturazione della mentalità umanista quando il Certaldese, nel 1355, donò all'amico due preziosissimi codici: uno delle Enarrationes in Psalmos di sant'Agostino, cui seguì poco dopo quello contenente il De Lingua Latina dell'erudito romano Varrone e l'intera Pro Cluentio di Cicerone.

Gli anni dell'impegno (1350-1365)

Tra incarichi pubblici e problemi privati
Mentre Boccaccio consolidava l'amicizia con Petrarca, il primo cominciò ad essere impiegato per varie ambasciate diplomatiche dalla Signoria, ben conscia delle qualità retoriche del Certaldese. Già tra l'agosto e il settembre del 1350, per esempio, Boccaccio fu inviato a Ravenna per portare a Suor Beatrice, la figlia di Dante, 10 fiorini d'oro a nome dei capitani della compagnia di Orsanmichele, durante la quale avrà probabilmente raccolto informazioni riguardanti l'amato poeta e avrà fatto la conoscenza dell'amico del Petrarca, il retore Donato Albanzani. Nel 1351, la Signoria incaricò sempre Boccaccio di una duplice missione: convincere Petrarca, che nel frattempo si trovava a Padova, a stabilirsi a Firenze per insegnare nel neonato Studium (i colloqui tra i due si svolsero a Marzo); e stipulare con Ludovico di Baviera, marchese del Brandeburgo, un'alleanza contro le mire espansionistiche di Giovanni Visconti (dicembre 1351-gennaio 1352).

Nonostante il fallimento delle trattative con Petrarca, la Signoria rinnovò al Boccaccio la propria fiducia, inviandolo ad Avignone presso Innocenzo VI (maggio-giugno 1354) e, nel 1359, a Milano presso il nuovo signore di Milano Bernabò Visconti, città in cui Boccaccio si fermò per visitare Petrarca, la cui casa si trovava vicino a Sant'Ambrogio. Questo decennio di intensa attività politica fu contrassegnato, anche, da alcune dolorose vicende personali: nel 1355 morì al Boccaccio la figlioletta naturale Violante (Boccaccio, in una data imprecisata, fece i voti per diventare chierico, come testimoniato in un beneficio del 1360); sempre nel medesimo anno, lo scrittore provò amarezza e rancore nel non essere stato aiutato dall'influente amico Niccolò Acciaiuoli nell'ottenere un posto alla corte di Giovanna di Napoli. Il 1355 vide però anche un piccolo successo finanziario da parte del Certaldese, in quanto alcuni commerci da lui intrapresi con la città di Alghero gli fruttarono quelle risorse delle quali dimostrerà di poter disporre negli anni successivi, caratterizzati da varie difficoltà economiche.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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