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Giovanni Boccaccio
(✶1313   †1375)

La momentanea caduta in disgrazia
L'anno 1360 segnò una svolta nella vita sociale del Boccaccio. In quell'anno, infatti, durante le elezioni dei priori della Signoria fu scoperta una congiura alla quale parteciparono persone vicine allo stesso Boccaccio. Benché fosse estraneo al tentato colpo di Stato, Boccaccio fu malvisto da parte delle autorità politiche fiorentine, tanto che fino al 1365 non partecipò a missioni diplomatiche o ad incarichi politici.

Boccaccio umanista e Leonzio Pilato
Nel corso degli anni Cinquanta, mentre avanzava nella conoscenza della nuova metodologia umanistica, Boccaccio si accinse a scrivere cinque opere in lingua latina, frutto del continuo studio sui codici dei classici. Tre di queste hanno un carattere erudito (le Genealogie deorum gentilium,il De Canaria e il De montibus), mentre le restanti (il De Casibus e il De mulieribus claris) hanno un sapore divulgativo. Uno dei più grandi meriti del Boccaccio per la diffusione della cultura umanistica fu l'interesse dimostrato nei confronti del monaco calabrese Leonzio Pilato, erudito conoscitore del greco di cui Petrarca parlò all'amico fiorentino. Ottenuta da parte della Signoria fiorentina che Pilato venisse accolto nello Studium come insegnante di greco, Boccaccio ospitò a sue spese il monaco tra l'agosto 1360 e l'autunno 1362. La convivenza non dovette essere molto semplice a causa del pessimo carattere del Pilato, ma al contempo si rivelò proficua per l'apprendimento del greco da parte del Certaldese. A Firenze Pilato tradusse i primi cinque libri dell'Iliade e l'Odissea (oltre a commentare Aristotele ed Euripide) e, realizzati due codici di entrambe le opere, Boccaccio li inviò al Petrarca (1365).

Il periodo fiorentino-certaldese (1363-1375)

Il periodo che va dal 1363 all'anno della morte (1375) viene denominato «periodo fiorentino-certaldese»: infatti, l'autore del Decameron comincerà sempre più a risiedere a Certaldo, nonostante i maggiorenti fiorentini avessero deciso di reintegrarlo nei pubblici uffici, inviandolo come in passato in missioni diplomatiche. A partire dal 1363, infatti, Boccaccio risiedette per più di dieci mesi nella cittadina toscana, dalla quale sempre più raramente si mosse anche a causa della salute declinante (negli ultimi anni fu afflitto dalla gotta, dalla scabbia e dall'idropisia). Gli unici viaggi che avrebbe compiuto sarebbero stati per rivedere il Petrarca, alcune missioni diplomatiche per conto di Firenze, oppure per ritentare la fortuna presso l'amata Napoli. Oltre alla decadenza fisica, si aggiunse anche uno stato di abbattimento psicologico: nel 1362 il monaco certosino (e poi beato) Pietro Petroni rimproverò lui e Petrarca di dedicarsi ai piaceri mondani quali la letteratura, critica che toccò nel profondo l'animo di Boccaccio, tanto che questi pensò addirittura di bruciare i suoi libri e, poi, di rinunziare agli studi vendendo al Petrarca la sua biblioteca.

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La riabilitazione pubblica
Nel 1365, infatti, Boccaccio venne messo a capo di una missione diplomatica presso la corte papale di Avignone. In quella città il Certaldese doveva ribadire la lealtà dei fiorentini al papa Urbano V contro le ingerenze dell'imperatore Carlo IV di Boemia. Nel 1367 Boccaccio andò a Roma per congratularsi del ritorno del papa nella sua sede diocesana.

Il circolo di Santo Spirito e l'autorità di Boccaccio
Gli anni successivi videro sempre più un rallentamento dei viaggi del Boccaccio: nel 1368 incontrò per l'ultima volta l'amico Petrarca, ormai stabile ad Arquà; tra il 1370 e il 1371 fu a Napoli, città in cui decise sorprendentemente di non fermarsi più a risiedere per l'età avanzata e la salute sempre più malandata. Lo scopo principale del Certaldese, negli ultimi anni di vita, fu quello di portare a termine le sue opere latine e rafforzare il primato della cultura umanistica in Firenze. Fu proprio in questi anni che Boccaccio, già ammirato dall'élite culturale italiana, poté crearsi una cerchia di suoi fedelissimi intellettuali a Firenze presso il convento agostiniano di Santo Spirito. Tra i suoi fedelissimi si ricordano fra' Martino da Signa, Benvenuto da Imola e, soprattutto, il notaio e futuro cancelliere della Repubblica Coluccio Salutati.

Gli ultimi anni
A fianco della produzione umanista, Boccaccio continuò il suo amore per la poesia volgare, specie per l'amato Dante. Di costui, infatti, curò un'edizione critica delle opere, cui premette il Trattatello in Laude di Dante, realizzato in due versioni negli anni Cinquanta e Sessanta. Nel 1370, inoltre, trascrisse un codice del Decameron, il celeberrimo Hamilton 90 scoperto da Vittore Branca. Nonostante le malattie si facessero sempre più gravi, Boccacciò accettò un ultimo incarico dal Comune di Firenze, iniziando una lettura pubblica della Commedia dantesca nella Badia Fiorentina, interrotta al canto XVII dell'Inferno a causa del tracollo fisico.

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La morte e la sepoltura
Gli ultimi mesi passarono tra le sofferenze fisiche e il dolore per la perdita dell'amico Petrarca, morto nell'estate del 1374. Infine, il 21 dicembre 1375 Boccaccio spirò nella sua casa di Certaldo. Pianto sinceramente dai suoi contemporanei o discepoli (Franco Sacchetti, Coluccio Salutati) e dai suoi amici (Donato degli Albanzani, Francescuolo da Brossano, genero di Petrarca), Boccaccio fu sepolto con tutti gli onori nella chiesa dei Santi Iacopo e Filippo. Sulla sua tomba volle che venisse ricordata la sua passione dominante per la poesia, con la seguente iscrizione funebre:

«Han sub mole iacent cineres ac ossa Iohannis:
Mens sedet ante Deum meritis ornata laborum
Mortalis vite. Genitor Bocchaccius illi,
Patria Certaldum, studium fuit alma poesis.
»
«Sotto questa lastra giacciono le ceneri e le ossa di Giovanni:
La mente si pone davanti a Dio, ornata dai meriti delle fatiche della vita mortale.
Gli fu genitore Boccaccio, certaldese di patria, amore l’alma poesia
»
(Epitaffio funebre di Giovanni Boccaccio)

Opere

Nella produzione del Boccaccio si possono distinguere le opere della giovinezza, della maturità e della vecchiaia. La sua opera più importante e conosciuta è il Decameron.

Opere del periodo napoletano
Tra le sue prime opere del periodo napoletano vengono ricordate: Caccia di Diana (1334 circa), Filostrato (1335), il Filocolo (1336-38), Teseida (1339-41).

La caccia di Diana (1333–1334)
La Caccia di Diana è un poemetto di 18 canti in terzine dantesche che celebra in chiave mitologica alcune gentildonne napoletane. Le ninfe, seguaci della casta Diana, si ribellano alla dea ed offrono le loro prede di caccia a Venere, che trasforma gli animali in bellissimi uomini. Tra questi vi è anche il giovane Boccaccio che, grazie all'amore, diviene un uomo pieno di virtù: il poemetto propone, dunque, la concezione cortese e stilnovistica dell'amore che ingentilisce e nobilita l'uomo.

Il Filostrato (1335)
Codice riportante un passo del Filocolo. Codex Christianei, conservato nella Bibliotheca Gymnasii Altonani (Amburgo)

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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