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Grazia Deledda
(✶1871   †1936)

«Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano.»
(Motivazione del Premio Nobel per la letteratura)

Grazia Maria Cosima Damiana Deledda (Nuoro, 27 settembre 1871 – Roma, 15 agosto 1936) è stata una scrittrice italiana, vincitrice del Premio Nobel per la letteratura nel 1926.

Giovinezza

Grazia Deledda nasce a Nuoro il 27 settembre 1871, quinta di sette tra figli e figlie, in una famiglia benestante.

Il padre, Giovanni Antonio Deledda, aveva studiato legge ma non esercitava la professione. Era un imprenditore e agiato possidente, si occupava di commercio e agricoltura; si interessava di poesia e lui stesso componeva versi dialettali, aveva fondato una tipografia e stampava una rivista. Fu sindaco di Nuoro nel 1892. La madre era Francesca Cambosu. Dopo aver frequentato le scuole elementari fino alla classe quarta, Grazia Deledda viene seguita privatamente da un professore ospite di una parente della famiglia Deledda che le impartì lezioni di base di italiano, latino e francese (i costumi del tempo non consentivano alle ragazze un'istruzione oltre quella primaria e, in generale, degli studi regolari). Prosegue la sua formazione totalmente da autodidatta. Importante per la formazione letteraria di Grazia Deledda, nei primi anni della sua carriera da scrittrice, è l'amicizia con lo scrittore, archivista e storico dilettante sassarese Enrico Costa che per primo ne comprese il talento. La famiglia è colpita da una serie di disgrazie: il fratello maggiore, Santus, abbandona gli studi, diventa alcolizzato e affetto da delirium tremens, il più giovane, Andrea, è arrestato per piccoli furti. Il padre muore per una crisi cardiaca il 5 novembre 1892 e la famiglia deve affrontare difficoltà economiche. Quattro anni più tardi muore anche la sorella Vincenza.

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Attività letteraria giovanile

Nel 1888 invia a Roma alcuni racconti, Sangue sardo e Remigia Helder, sono pubblicati dall'editore Edoardo Perino sulla rivista "L'ultima moda", diretta da Epaminonda Provaglio. Sulla stessa rivista viene pubblicato a puntate il romanzo Memorie di Fernanda.

Nel 1890 esce a puntate sul quotidiano di Cagliari L'avvenire della Sardegna, con lo pseudonimo Ilia de Saint Ismail, il romanzo Stella d'Oriente, e a Milano, presso l'editore Trevisini, Nell'azzurro, un libro di novelle per l'infanzia.

Incontra l'approvazione di letterati come Angelo de Gubernatis e Ruggero Bonghi, che nel 1895 accompagnerà con una sua prefazione l'uscita del romanzo Anime oneste.

Collabora con riviste sarde e continentali: "La Sardegna", "Piccola rivista" e "Nuova Antologia".

Fra il 1891 e il 1896 sulla Rivista delle tradizioni popolari italiane, diretta da Angelo de Gubernatis è pubblicato a puntate il saggio Tradizioni popolari di Nuoro in Sardegna, introdotto da una citazione di Tolstoi, prima espressione documentata dell'interesse della scrittrice per la letteratura russa. Seguono romanzi e racconti di argomento isolano. Nel 1896 il romanzo La via del male è recensito in modo favorevole da Luigi Capuana.

Nel 1897 esce una raccolta di poesie, Paesaggi sardi edito da Speirani.

Maturità

Nell'ottobre del 1899 la scrittrice si trasferisce a Roma. Nel 1900, sposa Palmiro Madesani, funzionario del Ministero delle Finanze, conosciuto a Cagliari. A Roma conduce una vita appartata. Ha due figli, Franz e Sardus.

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Nel 1903 la pubblicazione di Elias Portolu la conferma come scrittrice e la avvia ad una fortunata serie di romanzi e opere teatrali:Cenere (1904), L'edera (1908), Sino al confine (1910), Colombi e sparvieri (1912), Canne al vento (1913), L'incendio nell'oliveto (1918), Il Dio dei venti (1922). Da Cenere fu tratto un film interpretato da Eleonora Duse.

La sua opera è apprezzata da Giovanni Verga oltre che da scrittori più giovani come Enrico Thovez, Emilio Cecchi, Pietro Pancrazi, Antonio Baldini. È riconosciuta e stimata anche all'estero: D.H. Lawrence scrive la prefazione della traduzione in inglese de La madre. Grazia Deledda è anche traduttrice, è sua infatti una versione di Eugénie Grandet di Honoré de Balzac.

Nel 1926 le viene conferito il premio Nobel per la letteratura.

La morte

Un tumore al seno di cui soffriva da tempo la portò alla morte il 15 agosto 1936.

Le spoglie della Deledda sono custodite in un sarcofago di granito nero levigato nella chiesetta della Madonna della Solitudine, ai piedi del monte Ortobene di Nuoro.

Lasciò incompiuta la sua ultima opera Cosima, quasi Grazia, autobiografica, che apparirà in settembre di quello stesso anno sulla rivista Nuova Antologia, a cura di Antonio Baldini e poi verrà edita col titolo Cosima.

La sua casa natale, nel centro storico di Nuoro (Santu Predu), è adibita a museo.

Critica

La critica in generale tende a incasellare la sua opera di volta in volta in questo o in quell'-ismo: regionalismo, verismo, decadentismo, oltre che nella letteratura della Sardegna. Altri critici invece preferiscono riconoscerle l'originalità della sua poetica.

Il primo a dedicare a Grazia Deledda una monografia critica a metà degli anni trenta fu Francesco Bruno. Negli anni quaranta-cinquanta, sessanta, nelle storie e nelle antologie scolastiche della letteratura italiana, la presenza della Deledda ha rilievo critico e numerose pagine antologizzate, specialmente dalle novelle.

Tuttavia parecchi critici italiani avanzavano riserve sul valore delle sue opere. I primi a non comprendere la Deledda furono i suoi stessi conterranei. Gli intellettuali sardi del suo tempo si sentirono traditi e non accettarono la sua operazione letteraria, ad eccezione di alcuni: Costa, Ruju, Biasi. Le sue opere le procurarono le antipatie degli abitanti di Nuoro, in cui le storie erano ambientate. I suoi concittadini erano infatti dell'opinione che descrivesse la Sardegna come terra rude, rustica e quindi arretrata.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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