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Grazia Deledda
(✶1871   †1936)

Verismo

Ai primi lettori dei romanzi della Deledda era naturale inquadrarla nell'ambito della scuola verista.

Luigi Capuana la esortava a proseguire nell'esplorazione del mondo sardo, "una miniera" dove aveva "...già trovato un elemento di forte originalità".

Anche Borgese definisce la Deledda "degna scolara di Giovanni Verga". Lei stessa scrive nel 1891 al direttore della rivista romana La Nuova Antologia, Maggiorino Ferraris: "L'indole di questo mio libro mi pare sia tanto drammatica quanto sentimentale e anche un pochino veristica se 'verismo' può dirsi il ritrarre la vita e gli uomini come sono, o meglio come li conosco io."

Differenze rispetto al Verismo

Ruggero Bonghi, manzoniano, per primo si sforza di sottrarre la scrittrice sarda al clima delle poetiche naturalistiche.

Emilio Cecchi nel 1941 scrive:"Ciò che la Deledda poté trarre dalla vita della provincia sarda, non s'improntò in lei di naturalismo e di verismo...Sia i motivi e gli intrecci, sia il materiale linguistico, in lei presero subito di lirico e di fiabesco..."

Natalino Sapegno definisce i motivi che distolgono la Deledda dai canoni del Verismo: "Ma da un'adesione profonda ai canoni del verismo troppe cose la distolgono, a cominciare dalla natura intimamente lirica e autobiografica dell'ispirazione, per cui le rappresentazioni ambientali diventano trasfigurazioni di un'assorta memoria e le vicende e i personaggi proiezioni di una vita sognata. A dare alle cose e alle persone un risalto fermo e lucido, una illusione perentoria di oggettività, le manca proprio quell'atteggiamento di stacco iniziale che è nel Verga; ma anche nel Capuana e nel De Roberto, nel Pratesi e nello Zena."

Decadentismo

Vittorio Spinazzola scrive: "Tutta la miglior narrativa deleddiana ha per oggetto la crisi dell'esistenza. Storicamente, tale crisi risulta dalla fine dell'unità culturale ottocentesca, con la sua fiducia nel progresso storico, nelle scienze laiche, nelle garanzie giuridiche poste a difesa delle libertà civili. Per questo aspetto la scrittrice pare pienamente partecipe del clima decadentistico. I suoi personaggi rappresentano lo smarrimento delle coscienze perplesse e ottenebrate, assalite dall'insorgenza di opposti istinti, disponibili a tutte le esperienze di cui la vita offre occasione e stimolo."

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La Deledda e i narratori russi

È noto che la giovanissima Grazia Deledda, quando ancora collaborava alle riviste di moda, si rese conto della distanza che esisteva tra la stucchevole prosa in lingua italiana di quei giornali e la sua esigenza di impiegare una lingua italiana più vicina alla realtà e alla società dalla quale proveniva.

La Sardegna, tra la fine dell'Ottocento e il primo Novecento, tenta come l’Irlanda di Oscar Wilde, di Joyce, di Yeats o la Polonia di Conrad, un dialogo alla pari con le grandi letterature europee e soprattutto con la grande letteratura russa.

Nicola Tanda nel saggio, La Sardegna di Canne al vento scrive che, in quell’opera della Deledda, le parole evocano memorie tolstojane e dostoevskiane, parole che possono essere estese a tutta l'opera narrativa deleddiana: «L'intero romanzo è una celebrazione del libero arbitrio. Della libertà di compiere il male, ma anche di realizzare il bene, soprattutto quando si ha esperienza della grande capacità che il male ha di comunicare angoscia. Il protagonista che ha commesso il male non consente col male, compie un viaggio, doloroso, mortificante, ma anche pieno di gioia nella speranza di realizzare il bene, che resta la sola ragione in grado di rendere accettabile la vita».

Negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento, quelli in cui la scrittrice si dedica alla ricerca di un proprio stile, concentra la sua attenzione, sull'opera e sul pensiero di Tolstoj. Ed è questo incontro che sembra aiutarla a precisare sempre meglio le sue predilezioni letterarie. In una lettera in cui comunicava il progetto di pubblicare una raccolta di novelle da dedicare a Tolstoj, Deledda scriveva: «Ai primi del 1899 uscirà La giustizia: e poi ho combinato con la casa Cogliati di Milano per un volume di novelle che dedicherò a Leone Tolstoi: avranno una prefazione scritta in francese da un illustre scrittore russo, che farà un breve studio di comparazione fra i costumi sardi e i costumi russi, così stranamente rassomiglianti». La relazione tra la Deledda e i russi è ricca e profonda, e non è legata solo a Tolstoj ma si inoltra nel mondo complesso degli altri contemporanei: Gor'kij, Anton Čechov e quelli del passato più recente, Gogol', Dostoevskij e Turgenev.

Altre voci di critici

Attilio Momigliano in più scritti sostiene la tesi che Deledda sia "un grande poeta del travaglio morale" da paragonare a Dostoevskij.

Francesco Flora afferma che "La vera ispirazione della Deledda è come un fondo di ricordi dell'infanzia e dell'adolescenza, e nella trama di quei ricordi quasi figure che vanno e si mutano sul fermo paesaggio, si compongono i sempre nuovi racconti. Anzi, poiché i primi affetti di lei si formano essenzialmente con la sostanza di quel paesaggio che ella disegnava sulla vita della nativa Sardegna, è lecito dire, anche per questa via, che l'arte della Deledda è essenzialmente un'arte di paesaggio."

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Testimonianze di scrittori stranieri

Su di lei scrisse prima Maksim Gorkij e più tardi D. H. Lawrence.

Maksim Gorkij raccomanda la lettura delle opere di Grazia Deledda a L. A. Nikiforova, una scrittrice esordiente. In una lettera del 2 giugno del 1910 le scrive: «Mi permetto di indicarLe due scrittrici che non hanno rivali né nel passato, né nel presente: Selma Lagerlof e Grazia Deledda. Che penne e che voci forti! In loro c'è qualcosa che può essere d'ammaestramento anche al nostro mužik».

D. H. Lawrence, nel 1928, dopo che la Deledda aveva già vinto il Premio Nobel, scrive nell'Introduzione alla traduzione inglese del romanzo La Madre: «Ci vorrebbe uno scrittore veramente grande per farci superare la repulsione per le emozioni appena passate. Persino le Novelle di D’Annunzio sono al presente difficilmente leggibili: Matilde Serao lo è ancor meno. Ma noi possiamo ancora leggere Grazia Deledda, con interesse genuino». Parlando della popolazione sarda protagonista dei suoi romanzi la paragona ad Hardy, e in questa comparazione singolare sottolinea che la Sardegna è proprio come per Thomas Hardy l’isolato Wessex. Solo che subito dopo aggiunge che a differenza di Hardy, «Grazia Deledda ha una isola tutta per sé, la propria isola di Sardegna, che lei ama profondamente: soprattutto la parte della Sardegna che sta più a Nord, quella montuosa». E ancora scrive: «È la Sardegna antica, quella che viene finalmente alla ribalta, che è il vero tema dei libri di Grazia Deledda. Essa sente il fascino della sua isola e della sua gente, più che essere attratta dai problemi della psiche umana. E pertanto questo libro, La Madre, è forse uno dei meno tipici fra i suoi romanzi, uno dei più continentali».

Poetica

I suoi temi principali

I suoi temi principali furono l'etica patriarcale del mondo sardo e le sue atmosfere fatte di affetti intensi e selvaggi

Il fato

L'esistenza umana è in preda a forze superiori, "canne al vento" sono le vite degli uomini e la sorte è concepita come "malvagia sfinge".

Il peccato e la colpa

La narrativa della Deledda si basa su forti vicende d'amore, di dolore e di morte sulle quali aleggia il senso del peccato, della colpa, e la coscienza di una inevitabile fatalità. «La coscienza del peccato che si accompagna al tormento della colpa e alla necessità dell’espiazione e del castigo, la pulsione primordiale delle passioni e l’imponderabile portata dei suoi effetti, l’ineluttabilità dell’ingiustizia e la fatalità del suo contrario, segnano l’esperienza del vivere di una umanità primitiva, malfatata e dolente, 'gettata' in un mondo unico, incontaminato, di ancestrale e paradisiaca bellezza, spazio del mistero e dell’esistenza assoluta».

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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