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Indro Montanelli
(✶1909   †2001)

La prigionia (febbraio-luglio 1944)

Il 5 febbraio 1944 Indro Montanelli e la moglie furono arrestati dietro una soffiata della portinaia dello stabile in cui viveva la moglie del giornalista. Un paio di giorni dopo i due coniugi si ritrovarono in una cella in una prigione tedesca di Gallarate. L'accusa per il giornalista fu di aver pubblicato sul “Tempo di Roma” degli articoli considerati diffamatori del regime nell'ottobre 1943.

Ecco la deposizione resa da Montanelli nel primo interrogatorio nella prigione tedesca:

«Dal 1938 non appartengo più al Partito fascista. Sono liberale ma non ho svolto nessuna attività in seno al partito omonimo. Ho considerato un giorno di lutto nazionale quello dell'alleanza fra Italia e Germania; ugualmente catastrofico per noi e per voi il nostro intervento in guerra. Considero l'8 settembre come un evento vergognoso e necessario. Come Ufficiale sono fedele al Re. E, siccome il Re è in guerra con voi, anch'io mi considero in guerra con voi. Se l'8 settembre avessi rivestito l'uniforme non mi sarei arreso. Non odio la Germania. Riterrei catastrofica per il mio Paese una sua completa vittoria, così come una sua completa sconfitta. Dopo l'8 settembre ho avuto più volte la tentazione di arruolarmi nelle bande, ma vi ho sempre rinunziato: vorrei combattere come soldato; ma, non potendolo, rinunzio a combattervi come bandito.»

La moglie fu tenuta in carcere sotto la seguente accusa: “Essendo al corrente delle opinioni e dell'attività del marito, non lo denunziava”. A Montanelli fu comunicato: “La sua fucilazione è inevitabile" e fu consegnato al reparto dei condannati a morte. La sua condanna a morte venne portata alla firma il 15 febbraio, poi fu revocata per una prosecuzione d'inchiesta.

Nei tre mesi successivi Montanelli spedì dal carcere diverse lettere e biglietti, sia ad amici e parenti che a persone altolocate (tra cui anche l'arcivescovo di Milano, il cardinale Schuster), realizzando così una fitta rete di sostegno. Nello stesso periodo, tutti i suoi vicini di cella (26 persone) vennero portati al muro e fucilati, tranne lui. Il 6 maggio Montanelli e la moglie vennero prelevati dal carcere tedesco e trasferiti nel carcere di San Vittore. Le condizioni di vita migliorarono notevolmente: le guardie erano italiane ed il Comitato di Liberazione Nazionale aveva in carcere i suoi delegati.

Ma in luglio cominciarono le fucilazioni anche a San Vittore. Di nuovo, uno dopo l'altro i suoi compagni di prigionia furono messi al muro. Con l'aiuto di più persone, tra le quali anche Luca Ostèria, funzionario dell'Ovra (che fabbricò un falso ordine di trasferimento), un giorno prima della data prevista per l'esecuzione, Montanelli e un altro prigioniero vennero prelevati dal carcere e portati in un nascondiglio. Passati dieci giorni, i fuggitivi furono condotti fino a Luino, al confine con la Svizzera; l'operazione fu eseguita con l'appoggio del C.L.N. A piedi Montanelli raggiunse la città di Lugano. Accolto con freddezza dai fuoriusciti antifascisti, rimase in Svizzera fino alla fine della guerra. Dall'esperienza trascorsa nella prigione di Gallarate e poi in quella di San Vittore trasse ispirazione per il romanzo Il generale Della Rovere.

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Dal dopoguerra agli anni Sessanta

Quando Montanelli fece ritorno in Italia, il 25 aprile 1945, trovò al Corriere della Sera una situazione molto diversa rispetto a quando l'aveva lasciato. Il Corriere era stato commissariato, per decreto del Comitato di Liberazione Nazionale. Il nuovo direttore, Mario Borsa, aveva organizzato l'epurazione di vari giornalisti ritenuti colpevoli di connivenza col regime di Salò. A indicare i nomi degli epurati fu designato Mario Melloni, il futuro "Fortebraccio", che «siccome era un galantuomo, alle fine non epurò nessuno, o quasi. Io [Montanelli] fui uno dei pochi». Montanelli dovette ricominciare dal «settimanale popolare» del Corriere, La Domenica del Corriere (all'epoca intitolata Domenica degli Italiani), di cui assunse la direzione nello stesso anno. Solo alla fine del 1946 poté tornare in via Solferino. Nel frattempo, era stato reintegrato nell'Albo dei giornalisti.

Riallacciò i rapporti con l'amico Leo Longanesi, pubblicando alcune opere con la sua nuova casa editrice, la Longanesi C (tra cui Morire in piedi, 1949). Nel 1950, assieme a Giovanni Ansaldo e Henry Furst, aiutò Longanesi a fondare il settimanale Il Borghese. Scrisse anche un articolo per il primo numero, datato 15 marzo 1950.

Montanelli, oltre che con Longanesi, strinse un'amicizia profonda con un altro personaggio importante nella cultura italiana dell'epoca, Dino Buzzati. Il terzo intellettuale con cui Montanelli strinse una forte e duratura amicizia fu Giuseppe Prezzolini, che stimava per l'indipendenza di pensiero.

Montanelli fu amico personale dell'ambasciatrice americana Clare Boothe Luce, di cui tra l'altro apprezzava il deciso anticomunismo, tanto che nel 1954 in una lettera personale si rivolse a lei in questi termini:

«Se alle prossime elezioni un Fronte Popolare comunque costituito raggiungesse la maggioranza, Scelba cosa farebbe? Consegnerebbe il potere, e sarebbe la fine. [...] Ma debbo aggiungere qualcosa di più: qualunque uomo di governo, oggi, anche non democristiano, si arrenderebbe per totale impossibilità di compiere un colpo di Stato. Gli mancherebbe tutto, per osarlo: la polizia e l'esercito sono inquinati di comunismo; i carabinieri, senza il Re, hanno perso ogni mordente; la magistratura è vile. E in tutto il paese non c'è una forza capace di appoggiare l'azione di un uomo risoluto. Noi dobbiamo creare questa forza. Quale? Non si può sbagliare, guardando la storia del nostro Paese, che è quella di un sopruso imposto da una minoranza di centomila bastonatori. Le maggioranze in Italia non hanno mai contato: sono sempre state al rimorchio di questo pugno di uomini che ha fatto tutto con la violenza: l'unità d'Italia, le sue guerre e le sue rivoluzioni. Questa minoranza esiste ancora e non è comunista. È l'unica nostra fortuna. Bisogna ricercarla individuo per individuo, darle una bandiera, una organizzazione terroristica e segreta… e un capo. [...] De Gasperi nella lotta contro il comunismo non serve più, come non servono più gli altri uomini e partiti dell'attuale regime. Di fronte a questa realtà, mi trovo in questo dilemma: difendere la democrazia fino ad accettare, per essa, la morte dell'Italia: o difendere l'Italia fino ad accettare, o anche affrettare, la morte della democrazia? La mia scelta è fatta... Suo, sinceramente, Indro Montanelli.»
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Nel 1998 Montanelli sostenne, a proposito del rapporto con la Luce:

«Non volevamo il golpe. Volevamo essere pronti alla resistenza, a una nuova resistenza: se prendono il potere i comunisti, che naturalmente avranno alle spalle le forze armate sovietiche, noi ci battiamo... C'erano già delle formazioni che si erano date alla montagna, per esempio quella di Carlo Andreoni, che conoscevo bene perché era stato mio compagno a San Vittore. E c'era Sogno che cominciava ad agitarsi. Però quelli lì volevano il golpe, io no: ecco perché non ero con loro. Finché si poteva difendere la democrazia si difendeva la democrazia, era soltanto nel caso in cui la democrazia venisse seppellita dalle cose... Io non avevo nulla a che fare con i De Lorenzo e compagnia bella. E la Luce era perfettamente d'accordo: era lei che mi pregava di mettere tutto per iscritto.»

Fino alla fine del 1953 Montanelli fu impegnato come inviato speciale del Corriere, spesso all'estero. Dal 1954 iniziò la sua collaborazione stabile con Il Borghese, in cui firmò gli articoli sotto gli pseudonimi di Adolfo Coltano e Antonio Siberia e di cui fu una delle tre colonne portanti, assieme a Longanesi e Giovanni Ansaldo. Nel 1956 Longanesi e Montanelli diedero una descrizione opposta della Rivolta d'Ungheria; i rapporti tra i due si raffreddarono. Montanelli interruppe la collaborazione al Borghese.

Nello stesso periodo accettò la richiesta di Dino Buzzati di tornare a collaborare con La Domenica del Corriere. Buzzati gli diede una pagina intera; nacque la rubrica Montanelli pensa così, che divenne poi La Stanza di Montanelli, uno spazio in cui il giornalista rispondeva ai lettori sui temi di attualità più caldi. In breve tempo diventò una delle rubriche più lette d'Italia.

Grazie al successo della rubrica, Montanelli accettò di scrivere a puntate la storia dei Romani e poi quella dei Greci. Cominciò così la carriera di storico, che fece di Montanelli il più venduto storico italiano.

Il primo libro venne intitolato Storia di Roma e fu pubblicato a puntate su La Domenica del Corriere e poi, nel 1957, raccolto in volume per Longanesi. Dal 1959 in poi la fortunata serie venne edita dalla Rizzoli Editore. La serie continuò con la Storia dei Greci, per poi riprendere con la Storia d'Italia dal Medioevo in avanti.

Quando la parlamentare socialista Lina Merlin nel 1956 propose un disegno di legge che prevedeva l'abolizione della regolamentazione della prostituzione in Italia e la lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui, in particolare attraverso l'abolizione delle case di tolleranza, Montanelli si batté pervicacemente contro quella che veniva già chiamata – e si sarebbe da allora chiamata – Legge Merlin. Diede alle stampe un pamphlet intitolato Addio, Wanda! Rapporto Kinsey sulla situazione italiana, un libello satirico nel quale scriveva tra l'altro:

«… in Italia un colpo di piccone alle case chiuse fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia…»

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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