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Paolo Giovio
(✶~1483   †1552)

Paolo Giovio (Como, 21 aprile 1483 circa – Firenze, 12 dicembre 1552) è stato un vescovo cattolico, storico, medico, biografo e museologo italiano.

I primi anni e l'educazione familiare

Poco si sa dell'infanzia e della giovinezza di Paolo Giovio (Iovius o Jovius è la latinizzazione del cognome di famiglia Zobio). Probabilmente nasce a Como il 21 aprile 1483 (alcuni, sulla base di una fonte fornita dall'autore stesso, ne fanno risalire i natali al 1486), da Luigi Zobio, di estrazione patrizia e di professione notaio, e da Elisabetta Benzi. La famiglia, originaria di Zelbio (Como)senzafonte pur di nobile ascendenza (a poco prima della nascita di Paolo, risale anche l'ammissione alla dignità di decuriones) non dispone di larghi mezzi finanziari. Rimasto orfano di padre (morto approssimativamente attorno al 1500), Paolo viene allevato ed educato dal fratello maggiore Benedetto, i cui studi storici, filologici e archeologici stimolano moltissimo gli interessi del giovane per questi argomenti, suscitando in lui una forte spinta a seguirne le orme

La formazione universitaria a Padova e Pavia

Sebbene non esistano fonti dirette, è quanto mai probabile che, già nel 1504, l'autore frequenti i corsi di lingua e letteratura greca tenuti a Milano da Demetrio Calcondila e le lezioni di retorica di Aulo Giano Parrasio. Foto del Teatro anatomico, Palazzo Bo, Padova Poco dopo (forse 1505), si presume che Paolo acceda alla facoltà di filosofia e medicina presso l'università di Pavia, mentre è certo che nell'autunno dell'anno successivo egli si trovi a Padova, per seguire i corsi delle stesse materie accademiche presso il locale, prestigioso istituto universitario definito da Erasmo da Rotterdam "il più ricco emporio del Sapere in Europa"; qui trova come insegnanti le più alte figure dell'aristotelismo del primo Cinquecento, ossia Pietro Pomponazzi e Alessandro Achillini, oltre a Marcantonio della Torre, tra i massimi esponenti degli studi anatomici antecedenti a quelli del fiammingo Andrea Vesalio. In ogni caso, si sa da fonte certa che nel 1507, Giovio rientra a Pavia. In questa città incontra probabilmente, più tardi, Leonardo da Vinci.

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Risale al periodo immediatamente successivo la redazione di una sorta di centone, le Noctes (Notti), di cui sarebbe stata data pubblica lettura in Como il 25 luglio 1508. Si tratta di uno zibaldone in cui vengono disputate tesi di medicina, logica, filosofia naturale, metafisica che, indipendentemente dal loro valore disciplinare e letterario, indicano quanto Giovio avesse "prontamente assimilato le metodiche dello Studium patavino, oltre che gli insegnamenti del Pomponazzi e dell'Achillini; al primo, l'autore è senza dubbio debitore dell'acquisizione di un uso del linguaggio articolato e al contempo di ampio respiro retorico, tra accademismo e volgare: ancor più dello sviluppo di quell'attitudine al giudizio critico, tutt'altro che conforme, a "quella freschezza intellettuale che i contemporanei ben conobbero", caratteristica delle sue opere successive, sempre animata da una fervida curiosità intellettuale. Il periodo trascorso nell'ambiente universitario pavese non è scevro, come normale, da comportamenti goliardici e volti alla ricerca dei tipici piaceri giovanili. Giovio si laurea a Pavia nel 1511 "dapprima in artibus e poi in medicina".

Il Cardinale Bandinello Sauli, il suo segretario e due geografi, Sebastiano del Piombo, 1516, National Gallery of Art, Washington. Paolo Giovio è ritenuto il personaggio a destra.

L'esordio romano: l'Accademia, il latino aureo e il volgare

Conseguita la laurea, Giovio esercita brevemente la professione medica a Como; tuttavia, un'epidemia di peste colpisce la città lombarda e lo convince a trasferirsi. Già nel 1512, verso la fine del pontificato di Giulio II della Rovere, la sua presenza è documentata a Roma, dove inizialmente presta la sua opera come dottore, muove i primi passi della sua carriera di letterato e di cortigiano, due attività decisamente più consone alle sue attitudini che non quella di medico.

Una volta entrato nell'entourage del cardinale Bandinello Sauli, si pone al suo servizio. Nel 1513, risiede nell'Urbe al momento dell'insediamento di Giovanni de' Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico sul soglio pontificio, con il nome di Leone X. L'ambiente curiale romano, dopo l'elezione di Leone X, è decisamente favorevole all'assunzione di un ruolo di cortigiano, come quello cercato dall'umanista comense, essendo caratterizzato da fastosità mondana, con attenzione per la produzione artistica, e scarsa propensione riformatrice. Del tutto improntata all'affermazione di Roma come la più importante capitale cortese e del pontefice come difensor libertatis Italiae (difensore della libertà italiana).

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Nel 1514, Giovio ottiene, per concessione papale, l'incarico di professore dello Studio Romano, in qualità di lettore di filosofia morale, mentre l'anno successivo viene nominato lettore di filosofia naturale. Poco propenso alla carriera magistrale, ma piuttosto assorbito dagli studi linguistici e letterari, nonché dalle ricerche storiografiche, inizia a frequentare l'Accademia Romana.

Oltre all'approfondimento di vari argomenti letterari, artistici, filosofici essa ebbe anche la funzione, insieme ad altri sodalizi analoghi, di un recupero e una valorizzazione sistematica della lingua latina, attraverso una ricerca sugli autori classici, elevandola al ruolo di una sorta di koiné letteraria del periodo rinascimentale, riscattandola da un uso ormai quasi del tutto ristretto e, spesso depauperato all'ambito liturgico ed ecclesiastico. La rivalutazione del latino, nella concezione gioviana, è da intendersi, dunque, come la possibilità di dotare la res publica christianorum di una propria, "naturale", lingua comune, piuttosto che la frequentazione di uno strumento appartenente a una vagheggiata classicità perduta. L'adesione al sodalizio culturale gli consente di migliorare l'uso della prosa latina, con maggior padronanza dei classici, approfondendo sia lo stile atticista che le forme espressive dell'asianesimo, oltre che degli autori del periodo imperiale, raggiungendo quell'affinamento di stile ben presto riconosciuto e apprezzato dai suoi contemporanei. Giovio stesso definisce questa evoluzione come il passaggio da un "latino argenteo", imparato durante gli studi, a un "latino aureo", letto e ascoltato nelle riunioni con i più eminenti cultori accademici dell'antica lingua.

Anche per quanto riguarda l'uso del "volgare", utilizzato dallo studioso comense quasi esclusivamente nelle lettere, egli tende a utilizzare la cosiddetta "lingua della corti", intesa come strumento di comunicazione comune tra i letterati della Penisola in contrasto con il Bembo che prediligeva il toscano aulico e, in parte, con Machiavelli su analoghe posizioni del cardinale. Soprattutto nel vastissimo epistolario, in particolare quello del periodo della maturità e della vecchiaia, emerge "tutto il talento per la scrittura in italiano dello storico comasco, quasi divertito nel contaminare la grammatica toscana con "coloriture regionale e idiomatiche".

Con il suo plurilinguismo, le sue deliberate deformazioni lessicali e le sue frequenti digressioni metaforiche, assai spesso ironiche, Giovio estrasse dalla lingua comune di tutte le corti italiane un linguaggio molto espressionistico che lo portò sulla soglia del manierismo letterario. Egli è stato definito, con probabilità, lo scrittore più sperimentale di tutto il secolo.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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