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Santorre di Santa Rosa
(✶1783   †1825)


Crisi del governo costituzionale e fine della rivolta

Nel frattempo, il movimento di ribellione aveva portato alla ribalta Michele Gastone e Carlo Bianco di Saint Jorioz, più legati alla dottrina radicale di Filippo Buonarroti che a quella moderata che aveva ispirato la rivolta. Questo fatto contribuì a creare le prime crepe al debole governo costituzionale creato dal reggente e da Santorre: quest'ultimo, pur resosi conto della crisi, non abbandonò la situazione, rimanendo fedele ai compagni e sperando che tali difficoltà potessero essere risolte. Ma quando sembrava che si fosse giunti a un accordo, venne meno l'appoggio del reggente che, sfiduciato il 16 marzo dal rientrante Carlo Felice, si distaccò da Santa Rosa e dagli altri insorti.

Il nuovo sovrano revocò la costituzione e impose a Carlo Alberto di rimettersi al suo volere, abbandonando Torino e recandosi a Novara, rinunciando definitivamente alla sua carica e alla guida del movimento di rivolta. Nella notte del 22 marzo, mentre alcuni, tra cui lo stesso Santa Rosa, annunciavano una prossima guerra contro l'Austria, Carlo Alberto fuggì segretamente a Novara, abbandonando gli insorti al loro destino. Poche ore dopo Santorre, alla guida di un piccolo reparto, si recò nella città piemontese per tentare di convincere il principe e le sue truppe a tornare dalla sua parte, ma la missione si rivelò del tutto infruttuosa. Le sue parole, piene di sentimento e di autentica sofferenza, non furono in grado di riportare l'esercito e soprattutto il renitente Carlo Alberto dalla sua parte:

«Soldati Piemontesi! Guardie Nazionali! Volete la guerra civile? Volete l’invasione de’ forestieri, i vostri campi devastati, le vostre Città, le vostre Ville arse o saccheggiate? (...) Annodatevi tutti intorno alle vostre insegne, afferratele, correte a piantarle sulle sponde del Ticino e del Po.»

(Ordine del giorno 23 marzo 1821, Torino, Stamperia Reale)

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A questo punto, sapendo che ci sarebbe stata presto una pesante repressione, Santorre si risolse alla fuga. Il 9 aprile il conte riunì per l'ultima volta la Giunta, proponendo di spostare i lavori a Genova per provare un'ultima resistenza, ma l'immediato rifiuto e il successivo scioglimento della stessa resero vano il tentativo. Qualche giorno dopo, all'inizio di aprile, alcuni reparti dell'armata imperiale austriaca, giunti in Piemonte in funzione di appoggio all'esercito regio, sconfissero pesantemente le forze costituzionali prive della guida del loro carismatico capo. In questo modo, l'avventura del Santa Rosa e degli altri carbonari terminò tragicamente: il neonato governo costituzionale cadde dopo neppure due mesi e il sogno dei rivoluzionari si infranse.

Fuga e clandestinità


Soggiorno forzato in Svizzera e trasferimento a Parigi

Temendo di essere presto catturato e giustiziato dagli austriaci, Santorre fuggì verso i territori imperiali, dove fu improvvisamente arrestato; tuttavia, fu presto liberato da trenta studenti guidati dal colonnello polacco Schultz, che gli assicurò il suo appoggio incondizionato. Successivamente, passando segretamente da Genova, Marsiglia e Lione, trovò rifugio a Ginevra, dove visse alcuni mesi in compagnia di alcuni suoi fedelissimi, tra cui Luigi Ornato e Ferdinando Dal Pozzo. In questo breve periodo di tranquillità, uno dei pochi della sua vita, scrisse molti "ricordi", successivamente raccolti in un'opera postuma. Nel novembre 1821 il governo svizzero gli impose di partire, in seguito alle pressioni sabaude e asburgiche. Il 19 novembre si recò a Losanna, da dove partì per Parigi insieme al fedele Ornato, che rinunciò a stare in Piemonte con la sua famiglia, pur avendone la possibilità in quanto non scoperto, per rimanere con il suo "maestro". Arrivato nella città francese, affittò un piccolo appartamento nel Quartiere latino con il nome di Conti: in questo modo, pur vivendo nascosto e in povertà, riuscì a concentrarsi nei suoi studi e nei suoi scritti, che culminarono nella redazione della sua unica opera organica, La révolution piémontaise, del 1822, uscita in tre edizioni.

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Amicizia con Cousin

Victor Cousin fu uno dei più grandi amici di Santorre di Santa Rosa. Nel 1822, lo ospitò nella sua casa parigina per sottrarlo all'arresto.

Nel febbraio 1822 Villèle fu nominato Presidente del consiglio francese; subito dopo la sua elezione, la polizia transalpina strinse un accordo con quella sabauda, con l'obiettivo di arrestare il maggior numero possibile di rivoluzionari piemontesi che si erano rifugiati in Francia. Tra di essi vi era naturalmente anche Santarosa, che fu immediatamente avvertito di quello che stava succedendo dal suo grande amico Victor Cousin, un filosofo che lo ospitò per qualche tempo nella sua casa di Auteuil.

Soggiorno inglese e crisi spirituale

Sbarcato in Inghilterra nell'ottobre 1822, si recò molto presto a Londra, dove visse un periodo molto amaro per il sempre più lungo distacco dalla famiglia e per la distanza dagli eventi della sua patria. Dopo qualche tempo incontrò il letterato italiano Giovanni Berchet, con il quale discusse a lungo della situazione italiana e instaurò una buona amicizia; nello stesso periodo conobbe Ugo Foscolo, ritornato in Inghilterra dopo essere stato esiliato dagli austriaci: entrambi espressero il loro rammarico per l'incapacità di contribuire a formare un'Italia indipendente e unita. Il 1823 fu un anno molto difficile per il conte di Santa Rosa, che riuscì a malapena a sopravvivere con le scarse risorse economiche di cui disponeva, essendo incapace di trovare un'occupazione che lo impegnasse e interessasse. Neppure il forte rapporto di amicizia formato con Giacinto Collegno, piemontese e in esilio come lui, gli impedì di soffrire molto: pensò di cercare un impiego come insegnante di italiano presso qualche scuola, ma desistette presto per il mancato appoggio offertogli dalla riservata società britannica. Stette in contatto con l'amico Cousin, al quale riferì costantemente le sue sofferenze e la sua tristezza; in una di quelle lettere,senzafonte scrisse:

«I miei sogni, i sogni della mia vivissima fantasia, sono svaniti: neppure la speranza si è spenta nell'anima mia: ella ormai vuole svincolare da questo terrestre suo carcere.»

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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