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Scipione Ammirato
(✶1531   †1600)

Scipione Ammirato (Lecce, 7 ottobre 1531 – Firenze, 31 gennaio 1600) è stato uno storico, genealogista e letterato italiano, tra i massimi teorizzatori della ragion di Stato del suo tempo, esponente del tacitismo (fu commentatore degli scritti di Publio Cornelio Tacito), da lui interpretato in chiave antimachiavellica.

I suoi Discorsi sopra Cornelio Tacito ebbero vasta risonanza europea e furono ripubblicati più volte in Italia, Francia e Germania e tradotti in francese e latino. Nelle successive versioni di Jean Baudouin (1618) e Laurent Melliet (1619), i Discorsi contribuirono non poco all'innesto del tacitismo all'interno della cultura francese.

L'Ammirato è giudicato storico «esatto, oculato, scrupoloso nel ricercare ed interpretare vecchie cronache e documenti d'archivio» che «nella Storia fiorentina (1600), negli Opuscoli e nelle genealogie d'illustri famiglie, prelude all'odierno metodo d'usar le fonti storiche: i voluti errori, le ingegnose iperboli del Machiavelli, che aveva narrato in parte gli stessi fatti, lo scandalizzavano. Perciò egli s'innalza su tutti gli storiografi di quest'età che scrissero in volgare».

Nato a Lecce da una famiglia nobile di origine toscana, venne avviato dal padre agli studi di diritto a Napoli, ma ne fu distratto dai suoi interessi umanistici. Frequentò i circoli letterari partenopei e divenne intimo amico di Berardino Rota8, Angelo di Costanzo e Bartolomeo Maranta, scelto dall'Ammirato come personaggio del dialogo Il Rota, overo delle imprese (e il Maranta sceglierà Scipione quale interlocutore del suo Lucullianorum quaestionum nel 1564). Intrapresa la carriera ecclesiastica, per alcuni anni risiedette a Venezia, dove divenne segretario del patrizio veneto Alessandro Contarini. A Venezia approfondì i suoi interessi letterari, frequentò le dotte riunioni in casa del letterato Domenico Venier e strinse amicizia con Pietro Aretino, Sperone Speroni e Vittoria Colonna. Collaborò alla stampa, curata da Girolamo Ruscelli, dell'Orlando furioso, cui egli prepose gli Argomenti in rima. Costretto ad abbandonare il servizio di Contarini a causa di uno scandalo, l'Ammirato si recò in un primo tempo a Roma, dove entrò al servizio di Papa Pio IV. Nel 1558 tornò a Lecce, dove fondò, insieme a Pompeo Paladini, l'Accademia dei Trasformati, di cui fu «principe» col nome di «Proteo».

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Datosi allo studio assiduo delle opere di Platone, verso il 1560 compose, per consiglio del vescovo Braccio Martelli e di Girolamo Seripando, il dialogo Il dedalione o ver del poeta (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magl. VII 12), dedicato a Seripando e presentato manoscritto dieci anni più tardi nell'Accademia degli Alterati a Firenze.

Nel Dedalione l'Ammirato affronta la domanda comune a tutti i teorici letterari italiani del Cinquecento: in quale campo della filosofia si debba classificare la poesia. L'Ammirato la assegna al campo della filosofia civile. Operando una distinzione fra filosofia contemplativa e filosofia attiva, l'Ammirato stabilisce nella seconda tre categorie, di cui una è la filosofia civile o politica; in tale categoria il poeta ha come compito particolare, insieme al legislatore e all'oratore, di curare l'animo umano attraverso lezioni di moralità e di virtù, presentate in modo piacevole.

Ormai famoso in tutta Italia, non riuscì tuttavia a ottenere la carica di storiografo regio a Napoli, proposta per lui da Angelo Di Costanzo, e indignato se ne andò a Firenze (1569), non accettando più alcun incarico nel Regno di Napoli, nonostante le sollecitazioni del viceré. Dal granduca Cosimo I de' Medici, che lo ospitò presso Villa La Topaia, ottenne l'incarico di scrivere le Istorie fiorentine, per la cui stesura poté servirsi del materiale conservato presso l'Archivio Pubblico istituito nel 1570. Obiettivo polemico delle Istorie dell'Ammirato sono le Istorie fiorentine del Machiavelli, di cui contestò sia l'impostazione dispersiva sia le numerose inesattezze (1º vol., pp. 1-2, e 3º vol., pp. 96-97). Assiduo frequentatore dell'Accademia degli Alterati di Giovan Battista Strozzi, l'Ammirato divenne un protagonista del panorama culturale cittadino. Giovan Battista Attendolo lo proclamò "principe degli storici del suo secolo", e l'Accademia fiorentina "nuovo Livio"; Orlando Pescetti lo pose per la lingua allo stesso livello di Pietro Bembo, Monsignor della Casa, Lionardo Salviati, Benedetto Varchi e Annibale Caro; il suo lavoro sulle Famiglie napoletane ebbe un grande successo nelle corti di tutta Italia e suscitò le calorose lodi di Traiano Boccalini ed Annibale Caro. «In un'epoca in cui largamente si diffondeva un'araldica dominata dalla fantasia e trovavano credito le astruse ricostruzioni genealogiche di spregiudicati falsari, le documentate ed erudite ricerche di Scipione Ammirato sulle famiglie napoletane e fiorentine fecero testo per «compor le genealogie e fabbricar gli alberi delle case più illustri» (Traiano Boccalini, Ragguagli di Parnaso, Cent. I, L).» Indice della fama dell'Ammirato genealogista erano le richieste di pareri su tale materia che gli venivano avanzate non solo da famiglie regnanti italiane, ma anche dal re di Francia o dal decano capitolare di Colonia. I re Enrico II di Francia e Filippo II di Spagna, i papi Clemente VIII e Sisto V e i Medici gli spedivano lettere assai lusinghiere, promettendogli immense ricchezze. Nel 1595 divenne canonico della cattedrale di Firenze. Dopo aver fatto testamento (11 gennaio 1600) morì il 31 gennaio 1600 e lo stesso giorno fu sepolto in Santa Maria del Fiore a Firenze.

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Teoria della ragion di stato

Occhiello del primo volume delle Historiae di Cornelio Tacito nell'edizione seicentesca curata da Johannes Theodor Ryck (Leida, 1687)

Nei Discorsi sopra Cornelio Tacito l'Ammirato s'accinse alla non facile impresa di una nuova confutazione della dottrina machiavellica, considerata empia ai tempi della Controriforma (l'Ammirato evita perfino di nominare il Machiavelli, chiamandolo sempre «l'autor dei Discorsi»). Nuova era l'idea di confutarla fondandosi sull'opera del Tacito; tanto più dopo che Giovanni Botero aveva messo sullo stesso piano Tacito e Machiavelli. «Viaggiando nelle corti – dice Botero – mi ha recato somma meraviglia il sentir tutto dì mentovare ragione di Stato, ed in cotal materia citare ora il Machiavelli, ora Cornelio Tacito, quello perché dà precetti appartenenti al governo, questo perché esprime vivamente l'arti usate da Tiberio Cesare e per conseguire e per conservarsi l'imperio di Roma». Botero si meravigliava che un autore così malvagio e il governo di un tiranno fossero tenuti in tale considerazione da farne il modello di condotta dei governanti.

L'Ammirato aveva sicuramente letto Tacito già da studente, come dimostrano i riferimenti a Tiberio e Caligola che si incontrano nei suoi dialoghi giovanili. Probabilmente era a conoscenza dell'edizione delle opere di Tacito curata dal più grande critico testuale del XVI secolo, lo studioso fiammingo Giusto Lipsio, e incontrò alcuni dei più importanti tacitisti italiani – Paolo Manuzio, Latino Latini, Francesco Benci – che avevano accolto Lipsio a Roma proprio mentre l'Ammirato stava passando dalla città diretto a Firenze, nel 1569. In questa occasione l'Ammirato può aver consultato anche i volumi fittamente annotati dell'amico di Lipsio Marc-Antoine Muret, che insegnava a Roma fin dal 1560. È infine possibile che l'Ammirato abbia consultato anche i lavori preparatori dell'edizione di Tacito dello studioso fiorentino Curzio Picchena, basati sui codici Mediceus prior e Mediceus alter, i più antichi testimoni delle opere di Tacito, conservati nella Biblioteca Laurenziana, a Firenze. Ma fu il contatto con l'Accademia degli Alterati a spingere l'Ammirato a dedicare a Tacito uno studio serio. Nel luglio del 1583 Bernardo Davanzati aveva presentato all'Accademia il primo libro della sua traduzione degli Annali; da quel momento in poi gli accademici, incluso l'Ammirato, discussero regolarmente ogni libro successivo, fino all'edizione finale dell'Opera omnia, dedicata agli accademici e pubblicata nel 1599.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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