Adiastate

Ecco un altro termine non attestato nei vocabolari dell'uso: adiàstate.

Il vocabolo, prettamente tecnico, è adoperato in matematica e significa incommensurabile, difficile a misurarsi e, per estensione, indistinguibile.

20-02-2020 — Autore: Fausto Raso — permalink


Una mostruosità linguistica (2)

Riallacciandoci alla mostruosità linguistica di ieri (l'uso distorto dei verbi giustiziare e assassinare) ce ne sono altre che la stampa ci propina a ogni piè sospinto. Vediamone qualcuna. Cominciamo con il verbo comminare, adoperato sempre a sproposito, soprattutto dai cronisti sportivi.
Leggiamo spesso sulla stampa (ma l'ascoltiamo anche nei notiziari radiotelevisivi) che «la commissione disciplinare ha comminato due turni di squalifica al calciatore Sempronio», mettendo in allarme i tifosi. Costoro, invece, se sono ben ferrati in lingua (al contrario dei cronisti) debbono rimanere tranquilli: la commissione disciplinare ha solo minacciato di squalificare il giocatore.
Sì, questo il significato proprio del verbo. Comminare non significa affatto dare, erogare, infliggere come la maggior parte degli operatori dell'informazione e, ahinoi, anche gente di cultura ritengono.
Il verbo in questione è il latino comminari, formato con cum e minari che significa prevedere, minacciare.
Comminare una pena significa, per tanto, minacciarla collettivamente (cum, prefisso collettivo), prescriverla, prevederla, non infliggerla. Alla luce di quanto sopra chi può comminare una pena, vale a dire stabilirla, prevederla, prescriverla, sancirla non può essere che la legge, e per questa il codice: per il delitto di rapina a mano armata il codice commina (prevede, stabilisce) la reclusione da 10 a 20 anni.
Il codice, dunque, commina; il giudice (la commissione disciplinare), invece, applica ciò che il codice, appunto, prevede (commina). La commissione disciplinare, quindi, non può comminare una squalifica, può solo applicare ciò che i regolamenti sportivi comminano, prevedono per coloro che si rendono colpevoli di atti illeciti.
E che dire dell'espressione essere nell'occhio del ciclone volendo significare che una persona si trova nei guai? Altra mostruosità linguistica. Perché? Perché la locuzione vale esattamente il contrario. L'occhio del ciclone è la regione centrale dell'anello dell'uragano, dove il vento è molto moderato e la pioggia quasi inesistente. Chi si trova dentro l'occhio sta molto meglio, quindi, di chi sta fuori.

19-02-2020 — Autore: Fausto Raso — permalink


Una mostruosità linguistica (1)

Sì, ha ragione un cortese lettore che ci ha inviato una lettera nella quale definisce una mostruosità linguistica l'uso errato che la stampa (ma non solo) fa dei verbi giustiziare e assassinare. Ma il lettore non deve meravigliarsi più di tanto; dovrebbe aver fatto il callo, ormai, a questo assassinio linguistico, anche se sappiamo benissimo di pretendere molto da una persona linguisticamente onesta.
Come si fa, infatti, a restare insensibili di fronte a un delitto? Soprattutto quando gli autori dell'assassinio non danno prova alcuna di pentimento? Questa gente dovrebbe essere giustiziata o assassinata? In senso metaforico, ovviamente.
Giustiziata, senza ombra di dubbio. Giustiziare significa, infatti, punire eseguendo una condanna a morte. E chi può punire, quindi giustiziare, se non un'autorità costituita? Se esistesse, per assurdo, la pena capitale contro i colpevoli di lesa lingua lo Stato (autorità costituita) avrebbe il diritto-dovere di... giustiziarli, non di assassinarli, anche se ai fini pratici purtroppo non cambierebbe nulla.
È un gravissimo errore, quindi, scrivere in un articolo di cronaca nera che «il malvivente è stato giustiziato dai suoi complici»; è stato assassinato, non giustiziato, in quanto gli autori del delitto o, se preferite, della punizione non sono un'autorità costituita, la sola, ripetiamo, abilitata a giustiziare.
Vediamo, ora, sotto il profilo prettamente linguistico, come sono nati i due verbi che la stampa ritiene sinonimi ma che tali non sono. Il primo, giustiziare, è la traduzione del francese medievale justicier, tratto dal latino iustitia (da iustum, secondo il diritto; e chi ha il dirìtto se non, appunto, un'autorità?).
L'altro, assassinare, è tratto dalla voce turca hasciashin, non dal latino, come ci si aspetterebbe. Vediamo, per sommi capi, la storia di queto verbo. Nel secolo XIII gli aderenti a una setta musulmana, nata in Persia, divennero famosi per le loro azioni violente e terroristiche perpetrate ai danni della Siria, della Palestina e della Mesopotamia.
Questi eroi si macchiavano dei più atroci delitti, impensabili in persone normali: non erano banditi ma belve assetate di sangue umano che uccidevano anche quando nessuno li contrastava. Per caricarsi prima di compiere le loro imprese sanguinarie facevano uso di una droga arrivata, purtroppo, fino a noi: l'hashish. I malcapitati, quando li vedevano arrivare, li chiamavano hasciashin, bevitori di hashish.
Il termine, giunto a noi, è stato adattato in assassini, donde il verbo assassinare. Giustiziare e assassinare sono sinonimi dunque? Sotto il profilo linguistico no, sotto quello pratico sì.

18-02-2020 — Autore: Fausto Raso — permalink