Mettere zizzania e gettare olio sulle onde

La prima espressione è nota (o dovrebbe essere nota) a tutti: creare del malcontento; seminare discordia fra più persone.

Ci è stata regalata dalla parabola del Vangelo di Matteo (XIII, 24-30): «Però, mentre gli uomini dormivano venne il nemico e seminò della zizzania (loglio) in mezzo al grano e se ne andò».

La seconda è nota, forse, solo ai marinari. Si adopera questa locuzione quando si vuole riportare la calma in una situazione tesa; quando si vuole, insomma, cercare di mettere pace fra persone che litigano.

Diamo la penna (anzi, la tastiera) per la spiegazione al Dizionario Enciclopedico Moderno: «Con riferimento all'uso, nella navigazione con mare molto grosso, di gettare sulle onde, dalla parte del sopravvento, una piccola quantità di olio vegetale o minerale, che, per effetto della sua elevata tensione superficiale, riesce a frenare l'impeto delle onde impedendo ad esse di infrangersi contro lo scafo».

21-12-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink


Andicappare, meglio che handicappare

Sarebbe ora, a nostro modesto avviso, che si finisse di scrivere handicappato con quell'inutile orpello della h, il termine, ormai, è entrato a pieno titolo a far parte della nostra lingua, che bisogno c'è, quindi, di ricordare la provenienza barbara del vocabolo che si è preferito ai più schietti menomato, invalido? Perché si vuole adoperare, a tutti i costi, un verbo (handicappare) che non è né inglese né italiano?

Togliamo, per tanto, quel retaggio barbarico rappresentato dalla consonante h e scriviamo andicappare (e i suoi derivati), dando a questo verbo, per la verità molto brutto, una parvenza di italianità.

Soloni della lingua, non siate... andicappati mentali, accettate il fatto che la lingua va difesa, e questo è uno dei modi per dimostrarlo.

20-12-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink


L'armadio

Numerosi amici lettori ci hanno scritto, in privato, rimproverandoci di aver trascurato — da un po' di tempo — di parlare, da questa rubrica, dell'etimologia di alcune parole di uso comune. Rimediamo subito.
Qual è quella famiglia che, oggi, non ha in casa un... armadio? Tutti abbiamo questo aggeggio e tutti sappiamo che vi si possono riporre le cose più varie, dai libri agli abiti, agli alimenti, agli utensili e via discorrendo. Non è il caso, per tanto, di soffermarci a descrivere l'oggetto che, comunemente, si indica con questo nome. Con queste noterelle
vogliamo mettere in evidenza il fatto che l'aggeggio di cui parliamo non era poi tanto comune nei secoli passati.
Era un oggetto inventato, oltre tutto, per uno scopo ben preciso: quello di tenervi celate le armi della famiglia. I nostri antenati Latini da arma (le armi) coniarono armarium, vale a dire deposito di armi. Originariamente — in lingua italiana — il termine sonava, infatti, armario; poi, per il solito processo semantico, divenne armadio.
Se prendiamo alcuni libri antichi e abbiamo la pazienza di sfogliarli troviamo la prova provata. Nel Cortegiano di Baldassarre Castiglioni, scrittore famosissimo del Quattrocento, possiamo leggere, per esempio, questa frase. «Crederei... che or che non siete alla guerra né in termine di combattere, fosse buona cosa... tutti i vostri arnesi da battaglia riporre in un armario».
Ma anche nel grande moderno Gabriele d'Annunzio possiamo leggere che «il collezionista prendeva i libri dalle file dell'armario». Ancora oggi in qualche vernacolo italiano, se non cadiamo in errore, la forma arcaica armario è in uso. Attualmente tutti adoperiamo il termine armadio dentro il quale riponiamo ogni sorta di cose non sapendo che in origine, per l'appunto, era nato per tutt'altro scopo.

19-12-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink