Due parole sull'impossibile

Sappiamo già che saremo sbugiardati dai vocabolari e dai linguisti (se qualcuno di costoro dovesse imbattersi in questa rubrica) su quanto stiamo per scrivere; ma andiamo avanti per la nostra strada, convinti della bontà della tesi che sosteniamo.
Ci riferiamo all'uso corretto dell'aggettivo impossibile, che significa che non può essere, che non si può fare, che non si può attuare, che non può compiersi e simili: è impossibile affrontare un viaggio con due bambini così piccoli; credo sia impossibile che riesca a ottenere quello che chiede. Bene.
Alcuni adoperano quest'aggettivo alla francese, dandogli un significato che non ha, ritenendolo sinonimo di difficile, intollerabile, insopportabile, intrattabile, scontroso, pessimo, insostenibile, inaccettabile e simili: c'è un traffico impossibile; mi ha fatto una proposta impossibile; ha un carattere veramente impossibile; fa un caldo impossibile.
Gli amatori dell'italico idioma adopereranno — in casi del genere — gli aggettivi propri che fanno alla bisogna: c'è un traffico insostenibile; mi ha fatto una proposta inaccettabile; ha un carattere insopportabile, scontroso; fa un caldo insopportabile.
Un'ultima notazione. Il termine in oggetto può anche assumere il valore di sostantivo maschile: volere l'impossibile; tentare l'impossibile; fare l'impossibile ecc.

10-07-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink


La recelliclùna

Tra le parole che ci piacerebbe fossero riesumate e messe di nuovo a lemma nei vocabolari segnaliamo recelliclùna.

Questo sostantivo, di genere femminile e di provenienza latina, indica (indicava) una donna frivola che nel camminare muove i glutei lascivamente.

Il termine era anche un soprannome dato alle meretrici, come si può vedere cliccando su questo collegamento.

09-07-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink


I bagni penali

Il piccolo Maurizio, che era un marinaio appassionato, lì per lì provò un sentimento d'invidia quando apprese che un suo antenato — nell'Ottocento — fu condannato ai bagni penali. La pena, tutto sommato, non era poi molto pesante — pensò — il suo avo era stato fortunato: poteva stare a bagno tutto il tempo che voleva senza che nessuno lo rimproverasse. Non era affatto così; se ne rese conto quando il padre gli narrò tutta la storia.
Marc'Antonio, questo il nome del condannato, durante un litigio provocò la morte di un individuo e, per questo, fu condannato ai bagni penali, vale a dire ai lavori forzati.
Questo tipo di punizione trae origine dal fatto che anticamente i condannati al carcere duro venivano impiegati a remare stipati nella sentina delle galere (di qui galera sinonimo di carcere), cioè nel fondo della stiva dove le acque ricolano e stagnano, quindi erano sempre a bagno.
La sentina, cioè la fogna delle galere — sarà utile ricordarlo — trae il nome, sembra, dal latino sentina, connesso a sentis, cioè a spina perché fatta, appunto, a spina di pesce. Con il passare del tempo si chiamarono bagni penali tutti i luoghi o edifici dove erano rinchiusi i condannati ai lavori forzati.
Nel nostro Paese esistevano fino al 1891 — anno in cui furono chiamati ergastolo e casa di reclusione — i bagni di porto Santo Stefano e di Alghero. Famosi anche i bagni di Livorno, cioè il mastio della Fortezza Vecchia, in parte sotto il livello del mare (quindi a bagno) dove erano rinchiusi gli schiavi turchi.

08-07-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink