Il gotha di...
Molto spesso ci capita di ascoltare nei servizi dei vari radiotelegiornali o di leggere sulla stampa frasi del tipo: «Alla cerimonia è intervenuto tutto il gotha della finanza». Vogliamo vedere che cosa è questo 'gotha'?
Occorre precisare, innanzi tutto, che 'gotha' è l'abbreviazione dell'«Almanacco di Gotha», che si stampava nella città tedesca di Gotha, appunto, fino al 1944.
In origine quest'almanacco conteneva le genealogie dei regnanti d'Europa e di tutti i nobili tedeschi; poi, via via, quelle dell'aristocrazia di altri Paesi e degli ordini cavallereschi.
In senso figurato fanno parte del gotha, quindi, coloro che rappresentano la massima autorità in un determinato campo: il gotha degli scrittori; il gotha degli industriali; il gotha della finanza e via dicendo.
Wikipedia.org - Almanacco_di_Gotha
Il gotha della lingua? L'avverbio
Ho letto l'intervento precedente sul gotha, cortese direttore della rubrica, e vorrei dirle che — a costo di essere tacciato di presunzione — io mi sento di appartenere a quel mondo, precisamente al gotha della lingua. Perché? Perché la mia presenza, anche se non è indispensabile come quella del verbo, dà un certo prestigio tanto ai discorsi quanto agli scritti.
Sono, infatti, l'avverbio: quella parte invariabile del discorso che — come sono soliti definirmi i miei biografi — serve a modificare il significato di un verbo, di un aggettivo o di un altro avverbio.
Il mio nome discende dal nobile latino, il padre della nostra lingua, ad verbum (accanto al verbo) perché, in linea di massima, mi trovo sempre vicino al verbo. Prima di questo o dopo. Posto prima, però, do una maggiore efficacia espressiva al discorso: cordialmente ti saluto.
A differenza del verbo — come accennavo all'inizio — la mia presenza non è indispensabile, il discorso fila lo stesso: ti saluto o cordialmente ti saluto, a prima vista, è la stessa cosa. Con me, però, il saluto acquisisce un pizzico di nobiltà, non è un semplice saluto, è un saluto cordiale. Il mio impiego ha modificato in meglio il verbo salutare, potremmo dire che lo ha precisato.
Per la mia funzione, quindi, a seconda delle 'precisazioni' o modificazioni che apporto al significato del verbo, mi divido in otto gruppi: avverbio di modo; di tempo; di luogo; di affermazione; di negazione; di quantità; di dubbio e aggiuntivo.
Quest'ultimo, il cui nome è forse poco conosciuto, si chiama cosí perché aggiunge qualcosa al valore dell'azione (anche, pure, perfino ecc.). Sono facilmente riconoscibile nel corso del discorso o della frase perché ogni gruppo del quale faccio parte risponde a una precisa domanda sottintesa. Ti saluto cordialmente : ti saluto (come? domanda sottintesa; cordialmente, risposta). Cordialmente è, per tanto, un avverbio di modo o maniera.
Ancora. Partirò domani. Partirò (quando? domani, avverbio di tempo). Alla cerimonia c'era anche (avverbio aggiuntivo) il gotha del mondo culturale. Un'ultima annotazione alla quale tengo moltissimo.
Quando finisco in -one o -oni posso essere preceduto o no dalla preposizione a: tentoni, cavalcioni, carponi ecc. Per non sbagliare, quindi, consultate un buon vocabolario.
Grazie, direttore, della sua ospitalità e un cordiale saluto ai suoi amici lettori.
L'Avverbio
Ubbidire? Anche transitivo
Non tutti i vocabolari ne fanno menzione, ci sembra importante, però, spendere due parole sul verbo ubbidire perché può essere anche transitivo e, quindi, passivo.
È transitivo, soprattutto, se si riferisce alla persona che dà ordini: Michele ubbidí suo padre. La forma transitiva è rara, per la verità, ma correttissima: «In che posso ubbidirla?», disse don Rodrigo, piantandosi in piedi nel mezzo della sala (Manzoni).
Piú frequente la forma passiva: «Ingiunzione forse saggia, ma che non venne mai ubbidita» (Lampedusa).
Etimo.it - ubbidire

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