Padre? Parola rizotonica
Non crediamo di sbagliare se affermiamo che molte persone, anche quelle cosí dette acculturate, alla vista del titolo strabuzzeranno gli occhi e parafrasando il Manzoni si domanderanno: «Rizotonica! Chi era costei?». Sí, perché — come abbiamo 'denunciato' altre volte — buona parte dei sacri testi di lingua non riportano il gergo o glossario linguistico ritenendolo, forse, di esclusiva 'proprietà' degli addetti ai lavori. E sbagliano. La lingua è di tutti.
Le persone assetate di lingua hanno tutto il diritto di abbeverarsi a una fonte limpida e inesauribile. Vediamo, quindi, di colmare — sia pure modestamente — questa lacuna. Si chiamano rizotoniche — in lingua — le parole che hanno l'accento tonico (quello che si legge ma non si segna graficamente) sulla radice o tema: pàdre; céna; sèdia; e, al contrario, si dicono rizoatone (o arizotoniche) le parole il cui accento cade sulla desinenza o sul suffisso: padríno; cenétta; sediòla (abbiamo segnato l'accento, in entrambi i casi, per mettere bene in evidenza la tonicità).
Quando parliamo, quindi, senza rendercene conto, adoperiamo le une e le altre, sempre. I due termini, manco a dirlo, odorano di greco essendo composti, infatti, con la parola greca ῥίζο- (rhizo, da ῥίζα, rhiza, radice).
La differenza tra le parole rizotoniche e quelle rizoatone si nota, particolarmente, quando si coniuga un verbo il cui interno contiene un dittongo mobile: alle forme rizotoniche dittongate si contrappongono quelle rizoatone, con vocale semplice: viene, veniva; nuocere, nociuto; accieca, accecava; suonare, sonava.
Fare la pentola a due manichi
Questo modo di dire ha due distinti significati pur avendo la medesima origine. Il primo, conosciutissimo, è adoperato a ogni piè sospinto e si dice di persona che sta senza far nulla, che ozia, che poltrisce e, in senso lato, si dice anche di persone pigre. Il secondo significato — poco conosciuto — si riferisce a colui (o colei) che ama impartire ordini e basta.
L'origine della locuzione ci sembra intuitiva: si rifà all'immagine di una persona, per lo piú di una certa grassezza, che se ne sta comodamente con le mani sui fianchi, senza far nulla, a mirare gli altri che, al contrario, lavorano incessantemente, venendo in tal modo ad assomigliare a una grossa pentola con due manichi (sic!).
E sempre in tema di pentole, ci viene alla mente l'espressione ogni pentola ha il suo coperchio. Il detto, di origine proverbiale, appena nato si adoperava per dire che ogni popolo ha i capi che si merita, e in questo senso, infatti, è citato anche da San Gerolamo.
Oggi viene impiegato per dire che nella vita non c'è nulla di difficile, di strano, di brutto, di negativo e simili che non trovi qualcosa di adatto alla bisogna. Si adopera, insomma, per ricordare che non c'è problema, per quanto arduo, che non possa avere una sua soluzione.
Dovrebbero esser note anche le varianti «non c'è pentola cosí brutta che non trovi il suo coperchio» e «ogni pentola trova il suo coperchio».
Interrogative nucleari
Tranquilli, amici lettori, non abbiamo intenzione alcuna di impartirvi delle lezioni di fisica nucleare; non è un argomento di nostra pertinenza e, oltretutto, non saremmo neanche all'altezza.
Vogliamo parlarvi, piú modestamente, di una particolarità della linguistica, ignorata — come abbiamo avuto modo di denunciare altre volte — dalla quasi totalità dei sacri testi grammaticali. Siamo fermamente convinti, infatti, del fatto che pochi lettori di questa rubrica hanno sentito parlare delle frasi interrogative nucleari, anche se vengono adoperate, inconsciamente, nel linguaggio di tutti i giorni.
Prima vediamo che cosa si intende per frase interrogativa, e qui basta consultare una qualsivoglia grammatica della lingua italiana: le frasi interrogative pongono una domanda e sono caratterizzate dall'intonazione ascendente per quanto attiene alla pronuncia e dal punto interrogativo per quanto riguarda la scrittura. Bene. Queste frasi — ed è ciò che non tutte le grammatiche riportano — a loro volta si suddividono in interrogative totali (o connessionali) e in interrogative nucleari (o parziali).
Appartengono al primo gruppo le frasi interrogative in cui la domanda verte preminentemente sul legame tra soggetto e predicato; quando, insomma, l'interrogazione riguarda tutto l'insieme della frase: hai visto Giovanni? Vuoi leggere un bel libro? Vi andrebbe di uscire? In questo tipo di interrogative (totali) la risposta che ci si deve attendere è un sí o un no, vale a dire la conferma o la negazione di quanto formulato nella domanda: hai visto Giovanni? No (non l'ho visto).
Talvolta l'avverbio olofrastico di risposta (il sí e il no) può essere inespresso come, per esempio, nella frase ti è piaciuto quel libro? Abbastanza (il sí olofrastico è, appunto, sottinteso). Se la risposta che ci si attende è, invece, un grazie, per non restare incerti sulle varie intenzioni dell'interlocutore è bene ripetere la domanda con la formula grazie sí o grazie no?
E veniamo al secondo gruppo, vale a dire alle interrogative nucleari (o parziali), cosí chiamate in quanto si riferiscono al nucleo, al nocciolo dell'intera frase.
Si chiama nucleare, in grammatica generativa, il nocciolo di una proposizione, vale a dire i componenti elementari che ne costituiscono, appunto, il nucleo, cioè il soggetto, il predicato verbale e, eventualmente, il complemento oggetto.
Appartengono alle interrogative nucleari (o parziali), dunque, le proposizioni interrogative in cui la domanda riguarda esclusivamente uno degli elementi che compongono il nucleo; quando, insomma, il legame soggetto-predicato non è messo minimamente in discussione, ma si sollecita una precisa informazione su un altro elemento nucleare della frase (soggetto, oggetto o complemento indiretto) e la risposta che ci si attende è, appunto, la precisazione dell'elemento sconosciuto: chi parla? (qualcuno parla, ma chi?).
Le interrogative nucleari si riconoscono facilmente perché sono sempre introdotte da specifici elementi d'interrogazione quali aggettivi, pronomi o avverbi (chi, quale, che cosa, come, dove, perché) preceduti, eventualmente, da preposizioni o locuzioni preposizionali. Vediamo ancora qualche esempio di interrogative nucleari per meglio focalizzare l'argomento. E qui gli esempi che proponiamo sono quelli del linguaggio di tutti i giorni: dove abiti?, quando torni?, chi ti ha scritto, che cosa intendi fare?, a chi telefoni? E la risposta che ci si attende — come dicevamo — è la precisazione dell'elemento del nucleo a noi sconosciuto: il luogo (dove abiti?), il tempo (quando torni?), l'identità (a chi telefoni?).
Peccato che i sacri testi, si fa per dire, non prendano nella dovuta considerazione il fatto che queste cose interessino a coloro che amano il bel parlare e il bello scrivere, riservando l'argomento solo agli eletti. No amici, cosí si rende un cattivo servigio alla nostra bella lingua; soprattutto in questo momento in cui la lingua di Albione la fa da padrona in tutti i campi. No, non ci stiamo.

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