Aver cotto il culo ne' ceci rossi

Abbiamo deciso di trattare questo modo di dire, per la verità desueto e volgare - e ci scusiamo con i nostri amici lettori - in quanto nonostante la sua vetustà resta sempre di… attualità.
Coloro che hanno quella parte del corpo cotta nei ceci rossi sono molto furbi perché ricchi di esperienza, e il mondo è sempre stato dei furbi. L'origine della locuzione non è chiara, vediamo cosa dice in proposito Ludovico Passarini, il re dei modi di dire, il quale, a sua volta, chiede lumi a un amico dotto.
« Cerchi l'asino, e ci vai a cavallo. Io credo, e mi par di credere il vero, che l'origine da te cercata del volgarissimo e plebeo dettato, 'Aver cotto ecc', sia una pura e semplice metafora. Il significato preciso è 'Avere molta furberia per avere molti anni sul dosso'. Noi uomini diciamo sul dosso, perché gli anni ce lo fanno incurvare: e da tale incurvatura si giudica della nostra età. Le bestie non incurvano: ma essendo pelose, gli anni le spelano: e prime a perdere i peli sono le loro natiche, le quali spelate fan vedere la carne ringrinzita e rossiccia sì , che pare abbia preso il colore de' ceci rossi, e che le siano state cotte con questi. Avrai pur visto, amico mio curiosetto, qualche volta le natiche delle vecchie gatte, delle volpi, delle scimmie e simili bestie: non ti accorgesti che son davvero del colore de' ceci rossi? Ebbene: da queste io penso sia stata presa la metafora, e formato il modo predetto per dire a uno, 'È furbo l'amico', perché ha molta esperienza; sinonimo degli altri modi, 'È volpe vecchia', 'Ha pisciato in più nevi', 'È putta scodata' e 'Sta in cervello'»
Anche il Lasca - uno dei fondatori della Crusca - riporta il modo di dire in una delle sue opere: «Non è il far la salciccia, come forse molti stimano, cosa debole e leggiera, ma come dice il Poeta, chi vuol ben farla, convien sia uomo pratico, sperimentato, e che abbia cognizione di molte cose; e per dirla in proverbio, bisogna ch'egli abbia cotto il culo ne' ceci rossi, e pisciato in più d'una neve, e, se fosse possibile, navicato ancora, ecc.»

30-07-2018 — Autore: Fausto Raso — permalink


Dimenticare e scordare

L'uomo dimentica. Si dice che ciò è opera del tempo; ma troppe cose buone, e troppe ardue opere, si sogliono attribuire al tempo, cioè a un essere che non esiste. No: quella dimenticanza non è opera del tempo; è opera nostra che vogliamo dimenticare e dimentichiamo.
Questo pensiero di Benedetto Croce ci ha fatto venire alla mente, per analogia, il verbo ‘scordare', che quasi tutti adoperano, indiscriminatamente, come sinonimo di dimenticare. Attenzione: sinonimo non vuol dire ‘uguale', ‘identico'; una parola non può mai essere identica a un'altra.
Sinonimo, dal greco συνόνυμος, synònymos , si dice di un vocabolo che, più o meno approssimativamente, esprime il medesimo concetto di un altro vocabolo. Sinonimia, insomma, non è… sinonimo di identicità. I due verbi, quindi, a nostro modesto avviso, non si possono adoperare indifferentemente, ma secondo le varie sfumature di significato.
E qui ci viene in aiuto l'etimologia, che - come si sa - è quella parte della linguistica che studia la derivazione delle parole di una lingua. E proprio da quest'ottica dimenticare e scordare hanno significati diversi: il primo vale allontanare dalla mente ; il secondo allontanare dal cuore . Non si dice, infatti, che il primo amore non si scorda mai? Nessuno, crediamo, direbbe che il primo amore non si dimentica, proprio perché - come recita il verbo scordare - quell'amore non è mai stato allontanato dal fondo del cuore.
Dimenticare, dunque, è il latino tardo dementicare , composto con il prefisso de- - indicante allontanamento - e il sostantivo mens, mentis ( mente ). Scordare, invece, è tratto da recordare , più precisamente da ricordare, col cambio del prefisso ri- (di nuovo, ritorno) in s- per indicare allontanamento e cor, cordis ( cuore ). I ricordi, infatti, che cosa sono se non i ritorni nel cuore?
Coloro che vogliono parlare e scrivere bene diranno, dunque, che hanno dimenticato gli occhiali a casa e che hanno scordato le poesie che avevano imparato. Le poesie non entrano nel cuore? Si scordano, quindi, non si dimenticano. In un certo senso si potrebbe dire, dunque, che le cose spirituali si scordano, le cose fisiche si dimenticano (ho scordato la canzone; ho dimenticato le chiavi).
Alcuni vocabolari sostengono che «scordare ha gli stessi significati e gli stessi costrutti sintattici di “dimenticare”, rispetto al quale è d'uso più popolare». Dissentiamo totalmente, pur prendendo atto del fatto che nell'uso non c'è distinzione alcuna fra i due verbi. Come è nata, allora, la confusione? Probabilmente perché anticamente il cuore era considerato la sede della memoria.

27-07-2018 — Autore: Fausto Raso — permalink


La foresta e il... forestiero

C'è un filo diretto tra la foresta e il… forestiero? Vediamo ciò che dice, in proposito, il linguista Ottorino Pianigiani, il quale molto meglio di chi scrive saprà illuminarci. Noi possiamo solo dire che occorre risalire al padre dell'italiano, il latino foris ( fuori ): forestis ( silva ), ( selva ) fuori del recinto'. Ci accorgiamo, però, di non aver detto… nulla.

Leggiamo, quindi, dal Dizionario etimologico del Pianigiani. « (Foresta, ndr) dal basso latino 'foresta' e 'forasta', che per lungo tempo si è voluto erroneamente trarre dal modello tedesco 'Forst' che vale lo stesso ma che per contro è di origine sicuramente romanza (…) da connettere al latino 'foris' o 'foras', fuori, su cui nella barbara latinità si formò anche 'forasticus', esterno, 'forestare', metter fuori, bandire, onde poi si ebbe 'foresto' e 'forestico' (…) per selvaggio, rozzo, ed anche per solitario (…). Dunque la voce 'foresta' messa su questa stregua avrebbe significato vuoi luogo 'fuori dell'abitato', e quindi solitario, selvatico, vuoi 'luogo posto fuori della legge comune', che è quanto dire luogo bandito, onde si ebbero 'foresta venationis' e 'foresta piscationis', cioè luogo proibito per la caccia, luogo proibito per la pesca e 'forestare' dal significato di 'mettere al bando' sarebbe passato all'altro di porre una foresta (…) »

Il forestiero, quindi, anche se alcuni lo fanno derivare dal provenzale forestier si riconduce sempre al… latino foris ( fuori ) in quanto indica colui che è nato in un luogo diverso (fuori) da quello in cui si trova o vive. Foresta e forestiero, per tanto, si possono considerare cugini sotto il profilo prettamente etimologico in quanto la radice di entrambi i termini è la medesima, vale a dire il latino foris .
Il forestiero, insomma, è colui che viene da fuori . Il forestierismo, infatti, in linguistica non indica un termine o una locuzione derivata da lingue o da paesi stranieri, quindi fuori dei confini nazionali?

26-07-2018 — Autore: Fausto Raso — permalink