L'analisi logica: quanto è utile?
«L'analisi logica è un esercizio che trova la sua ragion d'essere nell'individuazione e scomposizione della struttura della frase in soggetto, predicato e complementi e che continua ad essere proposta nella sua versione tradizionale accompagnata spesso da definizioni confuse e discutibili, nonché da liste infinite e discordanti di complementi (F. Sabatini — La Crusca per voi).»
Indubbiamente districarsi nella giungla dei complementi è un compito arduo non soltanto — come si potrebbe pensare — per gli studenti, ma talvolta anche per gli insegnanti, sia per la complessità della materia (complessità intesa soprattutto come numero dei complementi esistenti nella nostra lingua) sia per la varietà di interpretazioni (spesso diverse o contrastanti tra loro) offerte dagli specialisti e dai testi che trattano questo tema.
Sono molti gli studenti che si chiedono quale sia l'utilità dell'analisi logica.
«A che cosa mi servirà quando entrerò nel mondo del lavoro?» è la classica domanda dei giovani, non soltanto per quanto riguarda l'analisi logica, ma per ogni approfondimento culturale in cui non ravvisino la possibile ricaduta (per usare il gergo scolastico), il vantaggio che potrebbero ricavarne in futuro, a meno che non abbiano già definito il percorso di studi e i loro piani professionali.
Sicuramente l'analisi logica facilita lo studio del Latino e del Greco, ma anche delle lingue straniere. Sicuramente costituisce uno strumento di ricerca, di approfondimento e di riflessione linguistica da non sottovalutare, soprattutto in una società sempre più tentata dall'approssimazione e dalla superficialità, nel campo culturale come in ogni campo.
Poniamoci, tuttavia, anche noi la domanda dell'utilità dell'analisi logica ma, soprattutto, chiediamoci se e in quale misura la quantità (e i conseguenti dubbi interpretativi) dei complementi riconosciuti dalla nostra grammatica possa frenare l'interesse degli studenti verso una materia che, a prescindere dalle intrinseche difficoltà e dai possibili tranelli, resta tra le più affascinanti per gli appassionati della lingua.
Avverbi male adoperati
Spulciando qua e là, tra le varie pubblicazioni, abbiamo notato che molto spesso gli avverbi vengono adoperati malamente.
Prima di addentrarci nel particolare riteniamo sia il caso di ricordare la funzione dell'avverbio (dal latino ad verbum, 'presso il verbo') che — come recitano le grammatiche — è quella parte invariabile del discorso che, posta vicino al verbo o a un aggettivo (o a un altro avverbio, ndr) lo modifica, vale a dire vi annette un'idea secondaria di modo, di tempo, di luogo ecc.
E veniamo agli avverbi usati in malo modo, o mal formati (in parentesi quelli corretti). «I due amici stavano conversando allegramente, mentre furono interrotti da un forte boato (in quel mentre; mentre è una congiunzione non può, quindi, svolgere le funzioni di avverbio)»; «Per fortuna che (fortunatamente) all'ultimo momento rinunciarono a imbarcarsi, altrimenti...»; «Il barbone è stato dimesso dall'ospedale, mica era folle (non era mica)»; «Delle volte (a volte) ci pentiamo amaramente di fare del bene»; «Avete fatto il vostro dovere di cittadini? Perfettamente (certamente, sì)»; «Direttore, ci faccia sapere se la nostra relazione l'ha soddisfatta o meno (o no)»; «Il vostro comportamento è stato decisamente (veramente) riprovevole». Sono solo alcuni esempi, ma se ne potrebbero fare a iosa, con il rischio, però, di tediarvi.
Avere la ciabatta del Machiavelli
Chi possiede questa ciabatta, naturalmente in senso figurato? Chi è molto astuto e abile in tutto, come se avesse, per l'appunto, la ciabatta appartenuta a Niccolò Machiavelli capace di trasmetterne le doti agli altri.
Facciamo un po' di chiarezza sull'uso corretto di due tempi del modo indicativo dei verbi: passato remoto e trapassato prossimo. Molto spesso, dunque, questi due tempi ci fanno impazzire: quando adoperare l'uno e quando l'altro?
È noto a tutti (o dovrebbe essere noto) che il trapassato prossimo si usa per indicare un fatto accaduto prima di un altro pure accaduto. Per questo c'è il passato remoto; per l'avvenimento anteriore, più che passato, c'è il trapassato prossimo. Conviene rammentare queste cosucce soprattutto quando, nel raccontare un avvenimento, si è indotti a richiamarne un altro che l'ha preceduto.
Vediamo, per maggior chiarezza, qualche esempio in cui i due tempi non sono adoperati correttamente. In parentesi il tempo corretto. «Il povero alpinista fu rinvenuto in fondo al burrone, vicino al fedele cane che con i suoi gemiti richiamò (aveva richiamato) l'attenzione dei soccorritori»; «Gli anziani coniugi tornarono volentieri nella città lagunare che videro (avevano visto), per la prima volta, durante la luna di miele»; «Il barbone portò subito al commissariato, anziché tenerlo per sé, il portafoglio che trovò (aveva trovato) nel parco»;.

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