Superfluità ridicole
Quando scriviamo, anche una lettera a un amico, per esempio, rileggiamo con attenzione quanto scritto perché possiamo infarcire il tutto di superfluità ridicole, a scapito della bellezza e della scorrevolezza del testo. Abbiamo scritto un'ovvietà? Può darsi. Piluccando però, qua e là, in varie pubblicazioni non ci sembra, poi, una ovvietà. Vediamo, dunque.
In corsivo marcato la superfluità: «Sono stato accolto con molto calore tanto che il mese prossimo ritornerò di nuovo a trovarvi»; «Abbiamo visitato il mercato rionale: nel cesto della lattuga c'erano dei piccoli vermiciattoli»; «Dopo l'incidente, i soccorritori lo hanno trasportato al pronto soccorso: aveva una forte emorragia di sangue»»; «Durante la parata militare davanti a tutti precedeva l'alfiere con la bandiera»; «Le persone sequestrate — si apprende da fonti sicure — stanno ottimamente bene»; «Il protagonista ha mostrato di possedere una speciale singolarità d'interpretazione»; «Il ragazzo deve impegnarsi con costante assiduità»; «La colazione sarà al sacco: affettato, frutta e due o tre pagnottelle di pane».
Potremmo continuare, ma non vogliamo tediarvi oltre misura. È bene, per tanto - come dicevamo - rileggere i nostri testi perché mentre scriviamo non sempre ci accorgiamo delle castronerie che inavvertitamente "buttiamo giù".
Fare come quello che portò il cacio al padrone
Questo modo di dire, di uso raro e probabilmente poco conosciuto, si riferisce a una persona che elargisce regali a destra e a manca ma, in seguito, se li riprende in altra forma.
L'espressione è tratta da un racconto di origine popolare. Un contadino andò a far visita al padrone del podere portandogli in dono una forma di formaggio.
Apprezzando molto il pensiero, l'uomo invitò il contadino a fare uno spuntino con il suo stesso formaggio; quest'ultimo, con mille ringraziamenti e salamelecchi, se lo finì tutto.
Amenità (linguistiche)
Dopo le superfluità, alcune amenità linguistiche (non veri e propri errori orto-sintattico-grammaticali, però...) che possono pregiudicare i nostri scritti. Prestiamo, dunque, la massima attenzione nello scrivere, se non vogliamo rasentare la ridicolaggine linguistica.
Pilucchiamo, dunque, qua e là, tra le varie pubblicazioni. In corsivo marcato le amenità.
«Il numero dei morti e dei dispersi si fa salire provvisoriamente a centocinquanta»; «La badante, spaventata dal rumore dei ladri, per richiamare l'attenzione dei vicini ha cominciato a pestare le mani contro la parete»; «Gli sciatori non possono scendere in pista se non indossano gli appositi scarponi»; «Il terremoto ha talmente rovinato l'appartamento da potersi calcolare inabitabile»; «L'accampamento è stato distrutto da un grandioso incendio»; «La donna ha, poi, ringraziato gli invitati per i regali di cui l'hanno voluta colmare»; «Il poveretto, investito da un automobilista pirata, è rimasto sdraiato (se la godeva, dunque, quel poveretto?) sull'asfalto in attesa dei soccorsi»; «Tutte le persone presenti se la ridevano sotto i baffi» (anche le donne hanno i baffi?). Continuiamo? No, meglio di no. Non vogliamo riempirci il viso di rughe per le risate.

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