Superfluità ridicole

Quando scriviamo, anche una lettera a un amico, per esempio, rileggiamo con attenzione quanto scritto perché possiamo infarcire il tutto di superfluità ridicole, a scapito della bellezza e della scorrevolezza del testo. Abbiamo scritto un'ovvietà? Può darsi. Piluccando però, qua e là, in varie pubblicazioni non ci sembra, poi, una ovvietà. Vediamo, dunque.
In corsivo marcato la superfluità: «Sono stato accolto con molto calore tanto che il mese prossimo ritornerò di nuovo a trovarvi»; «Abbiamo visitato il mercato rionale: nel cesto della lattuga c'erano dei piccoli vermiciattoli»; «Dopo l'incidente, i soccorritori lo hanno trasportato al pronto soccorso: aveva una forte emorragia di sangue»»; «Durante la parata militare davanti a tutti precedeva l'alfiere con la bandiera»; «Le persone sequestrate — si apprende da fonti sicure — stanno ottimamente bene»; «Il protagonista ha mostrato di possedere una speciale singolarità d'interpretazione»; «Il ragazzo deve impegnarsi con costante assiduità»; «La colazione sarà al sacco: affettato, frutta e due o tre pagnottelle di pane».
Potremmo continuare, ma non vogliamo tediarvi oltre misura. È bene, per tanto - come dicevamo - rileggere i nostri testi perché mentre scriviamo non sempre ci accorgiamo delle castronerie che inavvertitamente "buttiamo giù".

26-06-2018 — Autore: Fausto Raso — permalink


Fare come quello che portò il cacio al padrone

Questo modo di dire, di uso raro e probabilmente poco conosciuto, si riferisce a una persona che elargisce regali a destra e a manca ma, in seguito, se li riprende in altra forma.

L'espressione è tratta da un racconto di origine popolare. Un contadino andò a far visita al padrone del podere portandogli in dono una forma di formaggio.

Apprezzando molto il pensiero, l'uomo invitò il contadino a fare uno spuntino con il suo stesso formaggio; quest'ultimo, con mille ringraziamenti e salamelecchi, se lo finì tutto.

25-06-2018 — Autore: Fausto Raso — permalink


Amenità (linguistiche)

Dopo le superfluità, alcune amenità linguistiche (non veri e propri errori orto-sintattico-grammaticali, però...) che possono pregiudicare i nostri scritti. Prestiamo, dunque, la massima attenzione nello scrivere, se non vogliamo rasentare la ridicolaggine linguistica.
Pilucchiamo, dunque, qua e là, tra le varie pubblicazioni. In corsivo marcato le amenità.
«Il numero dei morti e dei dispersi si fa salire provvisoriamente a centocinquanta»; «La badante, spaventata dal rumore dei ladri, per richiamare l'attenzione dei vicini ha cominciato a pestare le mani contro la parete»; «Gli sciatori non possono scendere in pista se non indossano gli appositi scarponi»; «Il terremoto ha talmente rovinato l'appartamento da potersi calcolare inabitabile»; «L'accampamento è stato distrutto da un grandioso incendio»; «La donna ha, poi, ringraziato gli invitati per i regali di cui l'hanno voluta colmare»; «Il poveretto, investito da un automobilista pirata, è rimasto sdraiato (se la godeva, dunque, quel poveretto?) sull'asfalto in attesa dei soccorsi»; «Tutte le persone presenti se la ridevano sotto i baffi» (anche le donne hanno i baffi?). Continuiamo? No, meglio di no. Non vogliamo riempirci il viso di rughe per le risate.

21-06-2018 — Autore: Fausto Raso — permalink