Americanismi
Con la scoperta del "Nuovo Mondo" (XV secolo) sono entrate nel nostro idioma altre parole perché gli scopritori si trovarono a dover designare gli oggetti, le piante, gli animali, i fenomeni che esistevano nel mondo nuovo e non nel nostro, cosí parecchi di quei nomi - entrati nel nostro lessico - finirono col diventare comunissimi. Basti pensare che provengono dall'America le patate, il granturco, i pomodori, i tacchini, i fagioli e le mele. Oggi nessuno, quando va al mercato a comprare un chilo di patate, per esempio, sa di adoperare un "americanismo" tanto è comune, ormai, questo nome.
E a proposito di piante provenienti dal nuovo mondo, i linguisti di allora si trovarono di fronte a un dilemma: o accettare i nomi adoperati dagli indigeni o coniare nuovi termini. Furono seguite ambedue le strade. Per le patate, per esempio, fu conservato il nome americano un po' alterato; per il pomodoro i linguisti hanno creato un nome nostrano. Ancora oggi, a distanza di secoli, c'è oscillazione tra le due strade per quanto riguarda il nome di una pianta: il granturco. Chi lo chiama con il nome americano "mais", chi con quello italiano "granone", "frumentone", "granturco".
Perché "grano turco" si domanderà - giustamente - qualcuno? La Turchia che cosa c'entra? Nulla, assicurano storici e botanici. Colombo ci fa sapere di aver portato lui stesso i semi di quella pianta in Spagna, di ritorno dal suo primo viaggio "americano". Perché turco, dunque? Perché l'aggettivo turco - secondo i vocabolari - va inteso come "esotico". Di diverso avviso, invece, il linguista Ottorino Pianigiani.
Provengono dall'America anche i cosí detti fichi d'India, cosí denominati perché "provenienti dalle Indie" (senza specificare se venissero proprio dall'India o dal nuovo mondo che, a causa del suo errore geografico, il grande navigatore riteneva essere l'India). Annoieremmo i lettori se elencassimo tutti i "termini americani" entrati a pieno titolo nella nostra lingua, nel Cinquecento e nei secoli successivi, per designare animali e piante, cibi e bevande e altri oggetti di uso comune. Vale la pena, però, citare alcuni nomi di animali di cui si ha conoscenza attraverso gli zoo, come i 'giaguari', i 'lama', i 'mandù', tutti animali che non si sono acclimatati nel vecchio mondo (Europa).
Tra le piante citiamo la 'china' e la 'coca' oltre al famoso legno pregiato 'mogano'. E concludiamo queste noterelle con il "cannibale", nome adoperato per indicare un antropofago, che in realtà non è che l'uso estensivo del nome proprio di una popolazione delle Antille: Cannibali o Caribi. Bisogna anche ricordare, però, che non tutti gli americanismi entrarono nella nostra lingua subito dopo la scoperta del nuovo mondo, ma nei secoli successivi, a mano a mano che giungevano altre notizie dal... Mondo Nuovo.
Far fiasco
Quel giorno Paolino non vedeva l'ora di tornare a casa da scuola: doveva comunicare al padre una bella notizia. Il componimento di italiano che aveva svolto in classe aveva ottenuto un successo straordinario; la maestra si era congratulata: «Bravo Paolino, il tuo tema è meraviglioso, un fiasco completo, complimenti». Non sapeva, il fanciullo, che l'insegnante voleva intendere tutto il contrario: quel "fiasco" stava a significare, appunto, uno sfacelo completo. Il modo di dire "far fiasco" si adopera — come tutti dovrebbero sapere — quando si vuole mettere in evidenza l'insuccesso di qualcuno in un determinato campo.
La locuzione potrebbe essere nata — secondo un fatterello raccontato da alcuni autori — da una disavventura occorsa all'Arlecchino bolognese, Domenico Biancolelli. Questi improvvisò un monologo intorno a un fiasco che aveva tra le mani, il pubblico, però, non rise. Il Biancolelli, non celando un certo disappunto, imputò la colpa del suo insuccesso al fiasco, «è tutta colpa tua», urlò, e gettò il fiasco dietro le spalle. Da allora l'espressione si adopera per indicare l'insuccesso di uno spettacolo teatrale e, per estensione, l'insuccesso di un qualunque
lavoro.
Altri autori, invece, farebbero derivare la locuzione dal gergo dei soffiatori di vetro. Quando sbagliano nel "comporre" un recipiente al quale volevano dare una forma particolare finiscono con il trovarsi fra le mani una grossa bolla di vetro simile a un… fiasco. Di qui la metafora, appunto. Noi ci auguriamo di non far fiasco in queste modeste noterelle che, speriamo, abbiano sempre il gradimento dei nostri gentili lettori.
Pillole di (buona) lingua
Chi ama la lingua non segua l'esempio di taluni scrittori che fanno seguire il verbo preferire dalla preposizione di e un altro verbo all'infinito: preferisco di non esprimermi al riguardo; preferisco di dormire invece di andare a passeggio.
L'uso "corretto" respinge la preposizione di: preferisco non esprimermi... Premesso che la
lingua non si "fa a orecchio", non sentite come quella preposizione stoni... agli orecchi? Alcuni, addirittura, e questo è un vero e proprio errore, adoperano il verbo suddetto come una sorta di comparazione facendolo seguire dall'avverbio piú: preferisco piú l'automobile al treno.
Si dirà, correttamente, preferisco l'automobile al treno; oppure, mi piace di piú l'automobile che il treno.
*
È invalso l'uso, "non ortodosso", di adoperare la locuzione rispetto a... come termine di paragone o di contrapposizione.
Chi ama il bel parlare e il bello scrivere non la usi, anche se c'è l' "imprimatur" di alcuni vocabolari. Una città, per esempio, è piú o meno bella di un'altra (non rispetto a un'altra); cosí come non si dirà che i sindacati rispetto agli industriali rivendicano piú investimenti; si dirà, "correttamente": i sindacati, nei confronti degli industriali, rivendicano piú investimenti.
*
Le persone che amano scrivere e parlare correttamente dovrebbero prestare molta attenzione — a nostro avviso — sull'uso del verbo impegnare, adoperato molto spesso in modo improprio (con la "complicità" — sempre a nostro avviso — di alcuni vocabolari permissivi).
Questo verbo, dunque, composto con il prefisso "in-" e il sostantivo "pegno", propriamente significa dare qualcosa in pegno (anche metaforicamente): il Tizio ha impegnato tutti i mobili di casa per pagare il debito; ha impegnato il suo onore (uso metaforico) in questa faccenda.
Non è adoperato correttamente — come molti fanno, alla testa i mezzi di comunicazione di massa — nel significato di "attaccare battaglia" (i soldati hanno impegnato una feroce battaglia); nel significato di "prenotare un tavolo" (ho impegnatoun tavolo per domani sera); nel significato di "occupare una corsia" e simili (l'automobile ha impegnatola corsia di emergenza).
"Avvenire" e "a venire" - a nostro modo di vedere - non sono la "stessa cosa"; non si potrebbero adoperare indifferentemente. "A venire" è una locuzione con valore aggettivale; "avvenire" è un sostantivo. Scriveremo, dunque, l'"avvenire" dei giovani e gli anni "a venire", cioè gli anni futuri, che devono venire.

- Dizionario italiano
- Grammatica italiana
- Verbi Italiani
- Dizionario latino
- Dizionario greco antico
- Dizionario francese
- Dizionario inglese
- Dizionario tedesco
- Dizionario spagnolo
- Dizionario greco moderno
- Dizionario piemontese