Essere in balía di qualcuno

Per la spiegazione e l'origine di questo modo di dire che — come tutti sappiamo — significa "sottostare all'autorità, al potere assoluto di qualcuno", occorre prendere il discorso alla lontana e rifarsi, come il solito, al solito latino. Vediamo, dunque, che cosa è questa "balía", che con il mutar d'accento cambia anche di significato, pur discendendo dalla stessa "madre".
Balia (senza accento sulla i, si badi bene) discende dal latino "bailus", che significa "portatore", "facchino"; il femminile "baiula" era, quindi la portatrice (di bambini). Il verbo "baiulare" significava, infatti, "portare pesi", e i bambini — lo sappiamo benissimo — pesano.
Con il trascorrere del tempo, attraverso l'uso traslato o figurato, si cominciò con il chiamare "bailus" colui che portava sulle spalle non un peso materiale sibbene morale. Il termine, a questo punto, acquistò di volta in volta l'accezione di "tutore", "precettore" (i tutori e i precettori portano sulle spalle il peso morale dell'educazione dei fanciulli) per arrivare, addirittura, al significato di governatore. L'italiano "bailo" era, infatti, ai tempi della Repubblica di Venezia, il titolo che spettava agli ambasciatori della Serenissima accreditati in Turchia.
I nostri cugini di Francia mutarono "bailo" in "baile", dando questo titolo ai ministri di Stato e ai grandi dignitari di corte. La storia di questo "facchino", però, non finisce qui. I discendenti dei Franchi da "baile" coniarono "bailli", da cui il nostro "balí", che dagli inizi del secolo XII fino a tutto il secolo XVII designava un alto ufficiale addetto all'amministrazione della giustizia in nome del re o dei vari signori.
Dal francese "bailli" nasce, quindi, un nuovo sostantivo, "baillie", attraverso il quale si indicava l'autorità, il potere e la funzione di questo personaggio. Ma non finisce ancora. L'italiano muta il termine gallico "baillie" in "balía" (con la i accentata, per distinguerlo da balia, che ha tutt'altro significato) e noi lo adoperiamo per tutto il periodo medievale per designare il potere assoluto conferito alle magistrature ordinarie.
Balía, per tanto, con l'accezione di "potere", "autorità" lo troviamo nell'espressione "essere in balía di qualcuno" e nei vari sensi figurati: "essere in balía delle onde", "essere in balía del vento".

08-05-2018 — Autore: Fausto Raso — permalink


Saltare e salire

Due parole due, su... due verbi "fratelli" che possono essere tanto intransitivi quanto transitivi e possono prendere entrambi gli ausiliari (essere e avere) a seconda del contesto: saltare e salire.
Cominciamo con il primo, che prenderà l'ausiliare avere se si considererà l'azione in sé stessa: la fanciulla ha saltato per tutta la giornata; l'ausiliare essere, invece, se si mette in evidenza l'azione del verbo in rapporto a un luogo di arrivo o di partenza: l'operaio è saltato dal tetto.
Alcuni lo usano come sinonimo del verbo culinario "rosolare": carne saltata in padella e simili. Con questo significato rispecchia il francese "sauter". Chi ama il bel parlare e il bello scrivere lo aborrisca.
E veniamo a salire. Per quanto attiene all'uso degli ausiliari valgono le medesime 'regole' riportate per il verbo fratello saltare: Giovanni ha salito senza mai riposarsi; l'operaio è salito sul tetto per ripararlo.
Un'ultima annotazione. Le forme con l'infisso "-isc-" (salisco, salisce, saliscono, salisca ecc.) sono popolari e da evitare in buona lingua italiana.

07-05-2018 — Autore: Fausto Raso — permalink


A proposito di zeugma

«Cortese dr Raso,
a proposito della garbata polemica sullo zeugma, mi sembra interessante riportare quanto scrive, in proposito, il linguista Leo Pestelli: ...Quando Dante scrisse "parlare e lagrimar vedrai insieme...", non fece grammaticalmente una buona figura, ma i retori, con una controfigura, quella dello "zeugma" o aggiogamento, consistente nel riferire un verbo a più parole diverse mentre per il senso non converrebbe propriamente che a una di esse, ci misero prontamente una toppa....
Grazie dell'ospitalità
Maurizio T.
Imperia»


Grazie, gentile Maurizio. Io riporto uno zeugma di Giacomo Leopardi: "porgea l'orecchio al suon de la tua voce / Ed alla man veloce / Che percorrea la faticosa tela...". Dove "porgea l'orecchio" è appropriato solo per "al suon de la tua voce" e non "alla man veloce".
Lo zeugma, insomma, si può definire "una figura retorica o grammaticale per cui un verbo che abbia un solo significato si fa valere per reggere parecchi predicati, ciascuno dei quali esigerebbe un verbo appropriato".
04-05-2018 — Autore: Fausto Raso — permalink