Il ministro (servo) e la minestra

Il nostro idioma è ricco di parole di tutti i giorni, di parole, cioè, di uso comune che... usiamo tutti i giorni e che conosciamo per pratica ma dal significato intrinseco nascosto. Chi non conosce, ad esempio, il significato scoperto di minestra, vocabolo sulla bocca di tutti e che ha generato molti modi di dire, tra i quali — quello più conosciuto — è sempre la solita minestra, vale a dire è sempre la stessa cosa?
Se non altro basta aprire un qualsivoglia vocabolario della lingua italiana e leggere, alla voce in oggetto: minestra — vivanda per lo più brodosa che si mangia come primo piatto; pietanza di riso o pasta, in brodo con verdura o legumi o cotta in acqua, scolata e condita e, in senso figurato, operazione, faccenda. Questo, dunque, il significato scoperto. E quello nascosto?
Che cosa è, insomma, questa minestra? Lo scopriamo se risaliamo all'origine del vocabolo che è tratto dal verbo dell'italiano antico minestrare, vale a dire servire, particolarmente porgere, versare i cibi a tavola. E nei tempi antichi chi serviva i cibi a tavola? Il minister, cioè il servo, il domestico. Da minister (tratto dal latino minus, inferiore), vale a dire da colui che prepara e serve le vivande, si è fatto il latino ministrare, da questo l'italiano antico minestrare (somministrare) e, infine, minestra che propriamente vale vivanda servita o da servire in tavola.
Questo vocabolo — dicevamo all'inizio delle nostre noterelle — ha generato molti modi di dire. Vediamoli assieme. Mangiare questa minestra o saltare dalla finestra: accettare una condizione o ricevere di peggio; minestra riscaldata: cosa ormai passata che si vuol far rivivere a tutti i costi; essere un'altra minestra: è tutt'altra cosa; mangiare la minestra in testa a qualcuno: essere più bravo in qualche cosa; essere il prezzemolo d'ogni minestra: intrufolarsi dappertutto.
E a proposito di minestra, come non riportare due frasi celebri che hanno nobilitato questo vocabolo dal... sapore contadino? La prima la estrapoliamo dalle “Opere edite e inedite” di Carlo Cattaneo: niente di più stolto del ricco che trova troppo buona la minestra del contadino! Il contadino miserabile isterilisce la terra e spianta il possidente.
La seconda, da Pellegrino Artusi, nel suo “La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene”: una volta si diceva che la minestra era la biada dell'uomo.
E concludiamo questa modestissima chiacchierata con un'altra parola di uso comune e dal significato nascosto: mansarda. Cominciamo con il dire che non è un termine schiettamente italiano essendoci giunto dal francese mansarde.
Il significato scoperto, dunque, tutti lo conosciamo: piccola sopraelevazione di alcuni edifici a forma di abbaino con tetto a due spioventi e, per estensione, soffitta. Il significato coperto nasconde il nome dell'architetto francese François Mansart (1598-1666) che introdusse questo tipo di costruzione riconvertendo i sottotetti e già usati come abitazione nel periodo medievale.
Quanto ad abbaino, cioè al lucernario, vale a dire all'apertura sopra i tetti, per salirci sopra, o per dar luce a camere che stanno sotto il tetto viene dal genovese abbaén (fratino, piccolo abate).
«Da un documento del Quattrocento — ci fa sapere Gianfranco Lotti — si apprende che in Liguria questo termine era in uso per indicare la “tegola di ardesia”, di colore simile a quello dell'abito di certi frati. A maggior ragione fu chiamata abbaino ogni finestra, praticata sui tetti, con copertura a due spioventi, la cui forma ricorda il cappuccio dei monaci».
Restando in tema di etimologia (e per assonanza), è interessante scoprire l'origine di abate che, attraverso il latino abbate(m), passando per il greco ecclesiastico ci conduce all'aramaico ab (padre). Gli abati, i frati, non sono i nostri padri?

26-10-2020 — Autore: Fausto Raso