Punti di vista grammaticali

Alcuni insegnanti, spalleggiati da... alcune grammatiche, ritengono errato cominciare un periodo con la congiunzione ma perché essendo avversativa il suo uso è corretto solo con frasi (o due elementi) che indicano contrasto come, per esempio, «era bello ma non elegante».
E dove sta scritto? Si può benissimo, ed è formalmente corretto, cominciare una frase o un periodo con il ma in quanto questa congiunzione indica la conclusione o l'interruzione di un discorso per passare a un altro.
E come liquidiamo la questione della virgola dopo il ma? Ci spieghiamo. I soliti grammatici ritengono errato l'uso della virgola dopo la predetta congiunzione avversativa. A questi soloni della lingua ricordiamo che se la congiunzione avversativa (ma) precede una frase parentetica la virgola non solo è corretta ma è... d'obbligo: avrei voluto telefonarti ma, visti i precedenti, non ho avuto il coraggio.
Nell'esempio riportato, l'espressione “visti i precedenti” è una frase parentetica, la virgola dopo il ma è, per tanto, obbligatoria.
Dunque, cari amici, quando avete dei dubbi grammaticali non consultate testi di lingua scritti da illustri sconosciuti, amici di editori compiacenti: troppo spesso questi sacri testi sono l'esempio della contraddizione, per non dire delle mostruosità linguistiche.
Sarebbe auspicabile e utile, in questo campo, l'intervento dell'Accademia della Crusca. Tutte le pubblicazioni scolastiche dovrebbero avere l'imprimatur della suddetta Accademia: in questo modo si raggiungerebbe — senza la nascita di un apposito organismo — quell'uniformità linguistica invocata, anni fa, dall'insigne prof. Nencioni.
I testi, infatti — seppure scritti con stile personale — conterrebbero le medesime regole e i fruitori non avrebbero possibilità di errore.

16-03-2021 — Autore: Fausto Raso — permalink


Fare le parti del leone

Quest'espressione è talmente conosciuta che quasi ci sembra di offendere l'intelligenza dei lettori il riproporla con la relativa spiegazione. L'esperienza ci dice, però, che molto spesso alcuni adoperano i modi di dire pappagallescamente, senza conoscerne, cioè, la provenienza e il significato recondito.

Questa locuzione, dunque, si usa quando si vuole mettere in evidenza il fatto che una persona divide a proprio vantaggio qualcosa da spartire; oppure quando prende la parte migliore di alcunché (e più abbondante) con la... forza. L'espressione si adopera anche riferita a persone che in una determinata situazione assumono — di propria iniziativa — un ruolo importante, di prestigio, lasciando gli altri in ombra.

Il modo di dire è tratto da alcune favole di Esopo (ma anche di Fedro e La Fontaine) in cui un leone, dopo essere andato a caccia con un asino, divide la preda in tre parti, dicendo: «La prima spetta al primo, vale a dire a me che sono il re. La seconda mi spetta in qualità di socio, quanto alla terza saranno guai tremendi per te se non ti decidi a squagliartela».

15-03-2021 — Autore: Fausto Raso — permalink


L'articolo è sempre obbligatorio?

La norma generale impone l'articolo davanti a tutti i nomi comuni; si omette, però, e l'omissione è obbligatoria, in numerose locuzioni o espressioni particolari come, per esempio, aver sonno, far paura, andare a cavallo, camicia da notte, sopportare con pazienza ecc.
Dei nomi propri richiedono l'articolo determinativo, solo quello, si badi bene, i nomi dei monti: il Cervino, il Bianco; i nomi dei fiumi: il Po, il Tevere; i nomi di regione, di nazione, di continente: il Lazio, la Grecia, l'Asia. È altresì necessario l'uso dell'articolo davanti ai cognomi: il Bianchi, il Rossi, il Ferrari. Davanti ai cognomi di personaggi illustri e conosciuti l'articolo si può porre o omettere, dipende dal gusto di chi scrive o parla: Manzoni o il Manzoni, Leopardi o il Leopardi.
Rifiutano categoricamente l'articolo i nomi di città, salvo quelli in cui l'articolo — per consuetudine popolare — è diventato parte integrante del nome: La Spezia, L'Aquila, La Valletta ecc. È consigliabile, anzi, obbligatorio l'articolo davanti ai nomi di città se sono preceduti da un aggettivo o accompagnati con una specificazione: la Roma umbertina, la Firenze medievale, la dotta Bologna.
E a proposito dei nomi geografici, dei fiumi in particolare, alcune volte ci troviamo di fronte al dubbio amletico circa il genere di articolo da adoperare: maschile o femminile? Si dice, generalmente, che i nomi dei fiumi che terminano in -o, in -e e in -i sono di genere maschile: il Tevere, il Tamigi, il Ticino; quelli la cui terminazione è in -a sono, prevalentemente, femminili: la Senna, la Garonna.
Ma come la mettiamo con il fiume Volga? Stando alla regola dovrebbe essere femminile: la Volga. Nell'uso comune sentiamo, invece, il Volga. Perché? Il motivo è semplicissimo: Volga è femminile in russo e in francese; maschile in spagnolo e in questo genere si usa, generalmente, anche in italiano. La forma originaria femminile si incontra, però, presso alcuni scrittori come il D'Annunzio che scrive dalla Volga al Golfo Persico. Il genere femminile, per tanto, non è da considerare erroneo perché rispecchia la forma originaria russa come usano, soprattutto, gli slavisti.
Ma anche il nostro fiume Piave è ambisesso: la Piave e il Piave. In alcuni vecchi libri prevale il femminile, come si può notare leggendo Antonio Stoppani, Gasaparo Gozzi e il moderno Paolo Monelli. Il Carducci e in particolare Gabriele D'Annunzio mascolinizzarono il fiume sacro alla Patria tanto è vero che la famosissima canzone della Grande Guerra recita: il Piave mormorò.

12-03-2021 — Autore: Fausto Raso — permalink