La verità viene sempre a galla
Questa locuzione — il cui significato non abbisogna assolutamente di spiegazioni — dovrebbe esser particolarmente nota agli amici lettori siciliani in quanto il detto è nato nella loro bellissima terra. Vediamo, comunque, l'origine del modo di dire.
Secondo una leggenda, che si perde nella notte dei tempi, nei pressi di Adrano (Catania), una graziosa cittadina ai piedi dell'Etna, c'erano moltissime sorgenti che scaturivano dalla roccia lavica.
E qui, sotto gli occhi minacciosi del dio Adrano (antica divinità siciliana venerata nella zona orientale dell'isola, alle falde del vulcano), venivano condotte le persone accusate di gravissimi delitti per essere giudicate: si gettava in acqua un materiale pesante e resistente sul quale veniva inciso il nome del giudicando o la sua dichiarazione di assoluta innocenza.
Se il pesante materiale affondava l'imputato veniva condannato a morte perché ritenuto spergiuro; in caso contrario, cioè se il materiale galleggiava, il reo veniva assolto con formula piena perché la verità era venuta a... galla.
Da questa popolare leggenda, va da sé, è nata l'espressione — notissima — «la verità viene sempre a galla».
La pasta
«Buongiorno,
oggi mentre navigavo, ho notato che sulla pagina di Wikipedia alla voce Pasta è riportata la seguente descrizione: «Il
termine pasta, come sineddoche di pastasciutta, può anche indicare un piatto dove la pasta alimentare sia l'ingrediente principale, accompagnato da una salsa, da un sugo o da altro condimento.».
Leggendo mi è subito sorto il dubbio di dove stesse la sineddoche, poiché la relazione di tipo quantitativo tra pasta e pastasciutta mi sfugge.
La ringrazio nel caso decidesse di dissipare il mio dubbio.
Cordialmente,
Gary
(Località non specificata)»
Cortese Gary, spero di spiegarmi esaurientemente. La sineddoche sta proprio nel termine pasta. Questa figura retorica (sineddoche) non necessariamente deve esprimere un rapporto quantitativo, può indicare anche il trasferimento
di significato basato su una relazione di estensione (ed è il caso di pasta/pastasciutta).
Si ha la sineddoche, insomma, anche quando si usa una parola invece di un'altra che contiene quella stessa idea (la pasta non contiene l'idea di pastasciutta?).
La diatesi
Oggi vogliamo parlare di un termine linguistico poco conosciuto perché ignorato dai sacri testi o, per lo meno, non trattato sufficientemente: la diatesi. Non lasciatevi intimorire dal nome, che forse sentite per la prima volta, l'argomento è più semplice di quanto si possa immaginare.
Con il termine diatesi, tratto dal greco διάθεσις (diàthesis), derivato di διατίθημι (diatithémi, disporre), composto di δία (dìa, attraverso) e τίθημι (tìthemi, porre), si intende il genere del verbo e la sua disposizione attraverso le sue flessioni. Cerchiamo di spiegarci meglio.
La diatesi indica la categoria grammaticale del verbo che esprime il rapporto di relazione che intercorre tra il verbo stesso e il soggetto agente e a cui corrisponde una flessione verbale specifica. La diatesi, insomma, in termini terra terra, è la comune forma di un verbo, che può essere attiva, passiva e riflessiva e indica — come si diceva — il rapporto del verbo con il soggetto e l'oggetto. Semplice, no?
La diatesi è attiva, quindi, quando il soggetto coincide con l'agente dell'azione (il medico visita l'ammalato); passiva quando l'agente non è il soggetto stesso (il malato è visitato dal medico); riflessiva quando l'azione ricade sul soggetto che diventa, nello stesso tempo, oggetto (Giulio si lava).La diatesi passiva e quella riflessiva — ci sembra superfluo ricordarlo — si possono avere solo con i verbi transitivi: lodare, sono lodato (diatesi passiva); lavare, mi lavo (diatesi riflessiva).
A questo punto non si confonda, per carità, la diatesi linguistica con quella medica (l'origine etimologica è la medesima), che è la disposizione, vale a dire la capacità individuale di ogni corpo a contrarre, sopportare e superare ogni malattia.
Da parte nostra, cortesi amici, ci auguriamo che voi siate in grado di "diatesizzare", cioè di sopportare pazientemente le nostre modeste disquisizioni sulla lingua.

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