Dimagrare

Il verbo che avete appena letto appartiene alla schiera dei verbi sovrabbondanti, vale a dire che può avere due coniugazioni: la prima (dimagrare) e la terza (dimagrire).
Quest'ultima è la più comune e si coniuga inserendo l'infisso -isc-, tra il tema e la desinenza, in alcuni modi e tempi, nel corso della coniugazione.
Volendo pignoleggiare, però, possiamo dire che dimagrare sta per rendere magro, dimagrire per diventare magro.
Alcuni vocabolari attestano dimagrare solo come transitivo: le lunghe malattie lo hanno molto dimagrato; dimagrire, invece, può essere tanto transitivo quanto intransitivo: Luigi, seguendo scrupolosamente la dieta, è dimagrito di 15 chilogrammi.
Consigliamo agli amici che amano la buona lingua di seguire ciò che dice il DOP (Dizionario di Ortografia e di Pronunzia).

04-09-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink


Esser della compagnia della lesina

I lettori che per motivi professionali hanno condotto o conducono una vita di società si saranno imbattuti o si imbattono, senza ombra di dubbio, in qualche persona appartenente a pieno merito alla Compagnia della lesina. Chi sono i componenti di questa compagnia? È presto detto: le persone avarissime.
La lesina — sarà bene dirlo subito, per coloro che non lo sapessero — è uno strumento adoperato dai ciabattini per la cucitura di tomaie e suole. Ma cosa ha che fare con l'avarizia? Vediamolo assieme.
La lesina è divenuta simbolo dell'avarizia grazie a un'opera burlesca pubblicata a Venezia nel XVI secolo, il cui autore, tal Vilardi, vi narra di una compagnia di avari che avevano per emblema una lesina, acquistata per aggiustarsi le scarpe da sé. L'espressione, quindi, è una metafora tratta dal capolavoro del Vilardi.
Crediamo sia interessante sapere anche che l'origine della lesina non è latina, sibbene germanica, "alesna", e che il verbo lesinare, vale a dire fare eccessive economie deriva, per l'appunto, dalla lesina: Giovanni, ti prego, non lesinarmi il centesimo!

03-09-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink


Son finite le messe a S. Gregorio

Questo modo di dire — probabilmente più conosciuto a Roma che nel resto del Paese — si tira in ballo quando si vuol mettere in particolare evidenza il fatto che non c'è più rimedio a una determinata cosa, tutto è finito; i giochi, insomma — come usa dire — sono ormai fatti.
Alcuni studiosi di cose liturgiche ritengono che la locuzione sia di provenienza prettamente romana e derivi dal privilegio di cui godeva — nei tempi andati — la chiesa di S. Gregorio al Celio dove si poteva celebrare una messa un'ora dopo mezzogiorno, per puro comodo dei ritardatari.
Da questo privilegio — per altro non provato — il popolo avrebbe coniato la suddetta espressione a significare, appunto, che tutto è finito, non c'è nient'altro.
Altri studiosi sostengono, invece, che la locuzione sia giunta a noi dalla celebre messa gregoriana che — secondo una pia credenza — ha il potere di liberare un'anina dal purgatorio.

02-09-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink