Onde, comunque, dovunque...

Una riflessione sull'uso improprio, ma forse sarebbe meglio dire errato, di tre avverbi: onde, comunque, dovunque.
Cominciamo con il primo che, come tutti dovrebbero sapere, è il latino unde (da dove) il cui significato fondamentale è quello di da quale luogo (da dove): onde vieni? Da questa accezione primaria sono scaturite tutte le altre, sempre con valore di provenienza; di qui i significati di da cui, di cui, con cui, per cui, nel luogo da cui: c'è una terrazza onde (da cui) si vede tutto.
Da un po' di tempo è invalso l'uso — ed è questo il punto dolente — di usare 'onde' con valore di congiunzione: ti dico ciò onde tu possa regolarti in merito. No, cortesi amici, quest'uso è antiquato e improprio, per non dire errato; meglio ricorrere all'ausilio delle congiunzioni finali (perché, affinché ecc.), le sole legittimate allo scopo: ti dico ciò affinché tu possa regolarti in merito.
Da evitare inoltre, nel modo più assoluto, l'uso di onde seguito da un infinito (anche se c'è qualche esempio d'Autore): ti scrivo onde rendere noto quanto segue. In casi del genere, è bene ribadirlo, si debbono usare le congiunzioni finali.
E veniamo a comunque e dovunque. Il primo (insieme con qualunque) non è propriamente un avverbio, ma un aggettivo-avverbio e significa in qualunque modo, in ogni modo e, checché ne dicano alcuni pesudogrammatici, non può essere adoperato — per la sua natura di aggettivo relativo — in senso assoluto; deve introdurre, insomma, una proposizione; occorre dargli, cioè, la reggenza di un verbo, meglio se al modo congiuntivo: farò quello che dici tu, comunque stiano le cose.
Sì, sappiamo benissimo che questa regola è disattesa da tutti, indistintamente. Si trova, molto spesso, adoperato in modo assoluto, cioè da solo. Voi, amanti del bel parlare e del bello scrivere non seguite questa moda.
Il medesimo discorso per quanto attiene all'avverbio dovunque. Questo, infatti, essendo un avverbio relativo deve introdurre una proposizione, deve, cioè, reggere un verbo: dovunque c'è un fiume c'è umidità; verrò dovunque tu voglia. Moltissime persone lo adoperano nell'accezione (errata) di dappertutto, in ogni luogo: andrò dovunque. Anche in questo caso non seguite la moda, osservate le norme linguistiche che vietano l'uso assoluto di dovunque (e ovunque, che ha il medesimo significato), anche se alcuni pseudolinguisti ritengono essere solo una sottigliezza linguistica.

26-04-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink


La dama e lo scapolo

Il termine, dunque, è l'antico francese dame, derivato — guarda caso — dal latino domina (signora). Più esattamente è la forma accorciata di madame (ma-dame, mia-signora). La dama, quindi, in senso lato è la signora per antonomasia, la gentildonna.
Nel ballo, la donna che fa coppia con il ballerino si chiama, per analogia con il cavaliere, dama, vale a dire donna dai nobili ideali.
Con il trascorrere del tempo la dama ha assunto, poi, un significato prettamente religioso: mia dama, attribuito alla Vergine Maria, dal latino mea domina, mia Signora, appunto.
E già che ci siamo, vediamo l'etimologia di un altro termine: scapolo. Con buona pace delle nostre gentili lettrici il vocabolo in questione significa, alla lettera, sfuggito al cappio (della donna). A questo punto ci affidiamo alla penna di un insigne linguista, Aldo Gabrielli.
«Non ci mettiamo nessuna malignità (per la spiegazione di questo termine, ndr) come facilmente si dimostra col solito latino alla mano; quel latino che per dire prendere, afferrare, diceva capere. Da questo capere si fece il sostantivo càpulus per indicare ciò che serve ad afferrare, cioè il cappio (). Da càpulus, più tardi, nacquero due verbi: capulare, prendere al capulus, cioè accalappiare, e il suo contrario excapulare, uscire dal cappio, scapolare (). Ancora un passetto e ci siamo. Infatti dal nostro scapolare noi facemmo scapolo, che può considerarsi una forma contratta di scapolato, cioè sfuggito al càpulus o cappio che dir si voglia. C'è solo da precisare questo: che quando si cominciò a usare questo scapolo, verso la fine del Trecento, la parola voleva dire semplicemente libero (). Solo un paio di secoli dopo si accostò l'aggettivo non solo ai pensieri o ad altre cose astratte ma anche a cose concrete, come appunto l'uomo privo di moglie»

24-04-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink


Sull'uso corretto della congiunzione se

Due parole due sul corretto uso della congiunzione se, perché non necessariamente deve reggere un verbo al modo congiuntivo, come imparammo ai tempi della scuola.
Innanzi tutto si può apostrofare davanti ai pronomi personali: s'egli m'amasse, s'io parlassi; negli altri casi è preferibile non eliderla: se anche, se una.
Quando è in compagnia di alcuni avverbi subisce il così detto rafforzamento sintattico: semmai, sennonché, sennò, seppure. Se queste forme non piacciono si possono adoperare quelle staccate: se mai, se no, se pure, se non che. Cosa importante, è bene ribadirlo, in grafia univerbata la consonante che segue la congiunzione se deve essere raddoppiata.
Per quanto attiene al verbo introdotto dalla congiunzione se — come dicevamo all'inizio — non sempre è obbligatorio il congiuntivo, anzi, in alcuni casi è addirittura errato.
Quando introduce un periodo ipotetico il verbo che segue la congiunzione deve essere di modo indicativo se anche il verbo della proposizione principale è all'indicativo: se pensi ciò, sei in errore.
Se, invece, il verbo della proposizione principale, chiamata apodosi, è al condizionale il verbo che segue deve essere al congiuntivo: se pensassi ciò, saresti in errore.
Ci sono due casi in cui la congiunzione se va d'amore e d'accordo — ecco il punto cruciale — con il condizionale:
1) quando introduce una proposizione concessiva: anche se potrei aiutarlo, non voglio farlo;
2) quando regge una proposizione interrogativa indiretta: non so se riuscirei anch'io a fare ciò che ha fatto il mio amico.
In questi due casi il congiuntivo sarebbe errato: anche se potessi aiutarlo, non voglio farlo; non so se riuscissi anch'io a fare ciò che ha fatto il mio amico.

23-04-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink