Occhio alla grammatica profonda del ministro!

di Salvatore Claudio Sgroi

L'ex ministro della Pubblica istruzione, Valeria Fedeli, qualche giorno fa, in una diretta streaming del Miur si è così
espressa: «C'è il rafforzamento della formazione per i docenti che svolgono le funzioni di tutor dedicati all'alternanza, perché offrano percorsi di assistenza sempre più migliori a studenti e studentesse».
Il che ha suscitato da più parti accuse di gaffe, scivolone", grave errore grammaticale" ecc. a proposito del “(sempre) più migliori” estrapolato dal contesto, ritenuto un comparativo tipico dell'italiano popolare degli incolti (o semi-colti). I quali applicano la regola generale del comparativo di maggioranza formato dall'avv. “più + aggettivo", es. più bello, e quindi “più migliore", ecc.
La forma corretta avrebbe quindi dovuto essere: “(...) perché offrano percorsi di assistenza sempre migliori a studenti e studentesse”.
In realtà, però, nella frase il gruppo “sempre più" va sintatticamente separato da “migliori", in quanto si riferisce come avverbio temporale al verbo “offrano". Infatti, si sarebbe potuto dire: “(...) perché (sempre più offrano) (percorsi di assistenza migliori) a studenti e studentesse”. Il migliori a sua volta è attributo di percorsi.
O era anche possibile far seguire il verbo dall'avverbio e dire: “(...) perché (offrano sempre più) (percorsi di assistenza migliori) a studenti e studentesse”.
La riprova ulteriore che il più non va riferito a migliori è dimostrato dalla variante “sempre di più", che stacca senz'alcun dubbio il comparativo (migliori) dall'avverbio (più): “(...) perché offrano percorsi di assistenza (sempre di più) migliori a studenti e studentesse”. Ovvero “(...) perché offrano (sempre di più) percorsi di assistenza migliori a studenti e studentesse”.
Una ulteriore possibilità di separare l'avv. sempre più dal comparativo migliori sarebbe stata, nella lingua scritta, il ricorso alle virgole: “(...) perché offrano percorsi di assistenza(,) sempre più(,) migliori a studenti e studentesse”.
Se il testo scritto avesse riportato le virgole, avrebbe tra l'altro orientato la lettura del ministro, che invece, sentendolo in YouTube, ha erroneamente staccato sempre da più migliori, avallando l'analisi erronea dei suoi critici.
Insomma, la frase del ministro presenta una corretta struttura profonda, sintattico-semantica, che non va confusa, come hanno invece fatto i suoi critici con la grammatica di superficie basata sull'adiacenza di “più migliori”.

15-01-2021 — Autore: Fausto Raso — permalink


Su o sù?

Il su, in funzione avverbiale, si può anche accentare e non è assolutamente un errore, al contrario di quanto si
legge nel sito della Treccani in La grammatica italiana.

«La grafia con accento, anche se abbastanza diffusa, è scorretta e ingiustificata, perché non c'è possibilità di confusione con omografi (...)».

Il DOP, invece, è di parere diverso e chi scrive segue le sue indicazioni. Si veda qui.

Occorre distinguere, infatti, il su preposizione dal avverbio. Tra i due su c'è una notevolissima diversità di intonazione, di suono e, quindi, di... accento.

Il su preposizione è, in generale, atono: raccogli i panni su uno stenditoio; guarda su quella cima. Il su con valore avverbiale è, invece, fortemente tonico: guarda sù, verso la cima; non andare sù.

Il avverbiale, per tanto, si può accentare per mettere in evidenza la sua sonorità e nessuno, docenti di lingua compresi, potrà dire che è uno strafalcione perché la linguistica lascia ampia libertà di scelta a colui che scrive.

14-01-2021 — Autore: Fausto Raso — permalink


Divisa da o divisa di?

«Il vigile del selfie in divisa da SS reintegrato dopo la sospensione». Questo titolo di un quotidiano in rete contiene un errore che grida vendetta: in divisa DA SS. La preposizione corretta, da usare, è di: divisa DI Ss.

Si tratta di un normalissimo complemento di specificazione. La preposizione di specifica, infatti, di quale divisa si tratta.

Diamo la parola al Treccani:

« (...) Abito di foggia e colore particolare che viene indossato dagli appartenenti a una determinata categoria, perché siano facilmente distinguibili e riconoscibili; livrea, uniforme. Oggi, il termine designa più comunem. l'uniforme militare o di corpi militarizzati, di forze di polizia, e sim.: indossare la d., presentarsi in d.; onorare la propria d.; d. di ufficiale di fanteria; d. di aviere; la d. dei marinai, dei bersaglieri; d. di vigile urbano, di vigile del fuoco, di guardia giurata, ecc.; più raramente, l'uniforme di altre organizzazioni, di una società, di un corpo, ecc.: d. di accademico, di collegiale, di portiere (...)».

13-01-2021 — Autore: Fausto Raso — permalink